Dopo la pausa nazionali la Serie A torna in campo. Domenica 20 ottobre alla Unipol Domus è in programma Cagliari-Torino, sfida interessante e utile per i rossoblù di Davide Nicola a capire il livello di crescita dopo le due recenti trasferte di Parma e Torino. Anche in passato la partita con i granata spesso è stata importante: lo sa bene Renato Copparoni, ex portiere dei rossoblù tra il 1969 e il 1978, che nella stagione 1972-73 fu protagonista della vittoria del Cagliari al Sant’Elia per 1-0 all’esordio tra i pali in massima serie. Passato al Torino nel 1979, vestì la maglia granata fino al 1986, diventando il primo portiere italiano a parare un rigore a Diego Armando Maradona. Dopo il trasferimento al Verona a 35 anni esordì in Coppa Uefa, toccando il punto più alto della sua carriera, prima di ritirarsi dal calcio giocato. Abbiamo intervistato l’ex portiere di San Gavino Monreale che ci ha parlato delle sue impressioni sul momento delle due squadre in vista di questo importante impegno in campionato.
Copparoni, parliamo di quel Cagliari-Torino, finito 1-0 con lei per la prima volta tra i pali in Serie A in cui riuscì a mantenere la porta inviolata. Che ricordo ha di quel pomeriggio?
“È stato bellissimo, emozionante. L’esordio per un giocatore è qualcosa di unico che conservi dentro per sempre. Ironia della sorte ho fatto l’esordio in Serie A con la maglia rossoblù contro il Torino, mentre nella mia prima in Coppa Italia ho fatto ritorno al Sant’Elia proprio contro il Cagliari. Queste due squadre erano nel mio destino (ride, ndr). Cagliari è sempre stata una piazza meravigliosa, fatta di gente straordinaria: quando vesti questi colori è come essere all’interno di una famiglia, ti senti gratificato e apprezzato. È una piazza esigente, questo sì: quando le cose non vanno bene, anche ai miei tempi, c’è sempre stato spazio per contestazioni civili. La tifoseria è davvero il dodicesimo uomo in campo di questa società, sono dei veri trascinatori, giocare per questi colori è stato meraviglioso. Il mio trasferimento al Toro? È stata una decisione maturata nel tempo, ma era qualcosa di scritto nel mio destino. Feci il mio esordio nel 1973 con in panchina Edmondo Fabbri che, quando passò ai granata, mi volle portare con lui: ma la società rossoblù e in particolare Andrea Arrica dissero no. Due anni dopo la situazione si ripresentò, con mister Radice che mi voleva con lui a Torino: ancora una volta Arrica mi disse che la sua stima nei miei confronti era molta e la società aveva un’alta considerazione di me, così decisi di rimanere. Due anni più tardi però Radice tornò alla carica, con il Cagliari che affrontava un momento difficile a livello economico. Nel 1978 Gigi Riva mi portò a Capo Boi per incontrare Radice, là in vacanza, e trovammo l’accordo. Era una cifra che quel Cagliari non poteva rifiutare, 400 milioni. Gigi mi disse: “Accetta”, così io colsi l’opportunità”.
Passiamo invece al Cagliari-Torino dei giorni nostri. Le due squadre arrivano alla sfida in maniera completamente diversa, quanto sarà importante il risultato?
“Sono due squadre diverse. Il Toro segna molto, ha un potenziale d’attacco forte che fin qui ha fatto 12 gol e ne ha subiti 11. Il Cagliari invece ha subito tanto, segnando meno. Le due difese scricchiolano un po’, ma quel che peserà è l’assenza di Zapata, la punta di diamante dei granata: tornerà Vlasic, ma Sanabria e Adams, con tutto il rispetto, sono giocatori ben diversi dal colombiano. La partita è importantissima per il Cagliari per dare continuità ai risultati: l’entusiasmo non manca, prima c’era sfiducia per le prestazioni negative contro squadre sulla carta agevoli, ma dopo la vittoria a Parma e il pareggio contro la Juve fiducia e consapevolezza stanno aumentando. Il lavoro di Nicola sta iniziando a dare i suoi frutti ma questa gara sarà ostica. La sosta per il Cagliari è stata controproducente, perché spezza un pò quell’energia positiva che si era creata, di contro il Toro ha potuto riordinare le fila dopo le due battute d’arresto. Sarà una partita aperta a qualsiasi risultato, mi aspetto diversi gol. Vincere questa gara significa tanto perché il Cagliari andrebbe a 9 punti tenendo dietro 4-5 squadre, che darebbe una botta di morale pazzesca al momento fondamentale. In casa il Cagliari deve fare risultato: dopo le prime quattro gare alla Unipol lo score è altamente negativo, c’è bisogno di una scossa positiva davanti ai propri tifosi. Serve fare punti in casa perché la salvezza, lo dice la storia rossoblù, si raggiunge soprattutto grazie al bottino casalingo. Il Cagliari deve costruire la sua stagione pensando di fare il più presto possibile quei 38-40 punti che ti garantiscono la salvezza, sfruttando soprattutto la spinta dei suoi tifosi, poi tutto ciò che arriverà in più sarà ben accetto”.
Come vede il Cagliari di Nicola? Secondo lei rappresenta il giusto profilo per i rossoblù?
“Nicola è un allenatore completamente diverso da Ranieri, che aveva un aplomb nettamente diverso e difficilmente si scomponeva. Nicola si agita molto, sprona i giocatori, ha un modo di interpretare le partite e il ruolo di allenatore molto diverso rispetto a Claudio. Questo però potrebbe essere una cosa positiva per il Cagliari e i suoi giocatori, che sembrano aver bisogno di essere stimolati. Conosco bene Nicola: è un allenatore che non guarda in faccia nessuno e tutti i giocatori a sua disposizione sono considerati uguali. È molto bravo nella gestione di un gruppo, soprattutto dal punto di vista mentale. La sua carriera parla per lui, ha fatto sempre cose importanti in tutte le piazze in cui è stato. Ha salvato l’Empoli, la Salernitana: è uno che evidentemente sa mantenere un gruppo, sa stimolarlo, riuscendo ad avere credibilità dai suoi giocatori, che puntualmente lo seguono perché altrimenti i risultati non arriverebbero. Bisogna dargli fiducia”.
Come valuta fin qui il rendimento della squadra? Crede che i rossoblù possano riuscire a dare continuità agli ultimi risultati?
“Se dovessi dare un voto sarebbe un 6 -, ovvero una sufficienza non piena. Due partite giocate bene con degli ottimi risultati non bastano, perché se fai una valutazione devi vedere tutte le prestazioni. Siamo all’inizio è vero, ma un primo bilancio non può essere sufficiente. Ci sono grandi possibilità di miglioramento, è evidente. Soprattutto adesso dove il momento sembra propizio, bisogna essere bravi a sfruttare l’onda dell’entusiasmo e della fiducia nel proprio lavoro per fare bene. Le prospettive sembrano ottime, speriamo bene”.
Il Cagliari può lottare per qualcosa di più oltre la salvezza?
“In questo momento no e lo dico a malincuore. Detto che tutto può succedere in campionato, come l’exploit del Bologna l’anno scorso, ma per la rosa a disposizione e la situazione delle altre squadre mi sembra difficile aspettarsi qualcosa di più da questo Cagliari. Mai dire mai comunque. L’Importante è fare bene, magari con una lunga serie di risultati positivi, poi si possono fare i calcoli. A gennaio bisognerà vedere il posizionamento di questa squadra: da lì in poi può succedere di tutto. È chiaro che se ti ritrovi a lottare per obiettivi importanti la società, per prima, dovrà dimostrare di crederci e, se sarà necessario, essere disposta a migliorare qualcosa, magari cedendo due giocatori che non si sono inseriti al meglio prendendone uno di spessore. Ma al momento la classifica non ci sta dando questo tipo di indicazioni, vedremo in seguito quello che accadrà”.
Da grande ex Torino le chiedo: come valuta il lavoro di Paolo Vanoli fin qui e che tipo di campionato si aspetta dai granata?
“Io rimango un grande tifoso del Torino, ho trascorso nove anni in questo club vestendo una maglia gloriosa quindi provo tanto affetto per questi colori. Vanoli penso sia un bravo allenatore, sta ricalcando quanto di buono fatto a Venezia l’anno scorso in Serie B. Una squadra come il Toro punta ad avere ambizioni diverse, ma i giocatori lo stanno seguendo e fin qui ha dimostrato di poter fare bene anche in Serie A. L’infortunio di Zapata non ci voleva, è un problema grave alla quale la società spero provi a mettere rimedio a gennaio. L’assenza di un giocatore come lui davanti è troppo importante, garantiva gol e fisicità alla squadra, caratteristiche che Sanabria e Adams ovviamente non possiedono, pur essendo ottimi giocatori. Per l’espressione di gioco vista finora, credo comunque che questo Torino possa competere per un posto in Europa e io glielo auguro. È vero, ci sono dei limiti in difesa ma rispetto alla squadra di Juric la rosa attuale è in grado di fare molti più gol. Ha un modello di gioco più offensivo e votato all’attacco, quindi è normale subire qualche gol di troppo, ma credo davvero sia una squadra che potrà riuscire a togliersi più di qualche soddisfazione”.
Un’ultima battuta, da ex portiere, su Scuffet e Milinkovic-Savic. Come valuta fin qui la loro stagione e chi preferisce lei tra i due?
“Tra i due preferisco Scuffet. Milinkovic-Savic è un portiere troppo discontinuo: i tifosi del Toro sono spesso insoddisfatti per i diversi errori grossolani commessi lungo la sua carriera. Scuffet dal mio punto di vista è un portiere più solido che da quando è diventato titolare nel Cagliari ha fatto sempre bene. Quest’anno ha fatto qualche errore, ma niente di così grave. In occasione della gara contro il Napoli ha sbagliato un disimpegno, ma a mio avviso non tutte le colpe erano le sue. Nel complesso ripeto, scelgo Scuffet perché è più completo, sempre attento, guida bene la difesa, nelle uscite è sempre molto bravo. Sì, scelgo lui”.
Giuseppe Meloni