Un gol, l’undicesimo in campionato, in casa di quella Lazio di cui il padre Diego è stato idolo e bandiera. Giovanni Simeone – il secondo marcatore più prolifico del Cagliari in questa stagione – è il grande bomber dell’era Zenga con 5 reti realizzate dopo l’arrivo dell’ “Uomo Ragno” in panchina. L’ex attaccante di Genoa e Fiorentina sta attraversando un vero e proprio momento d’oro, ripercorso in una lunga intervista concessa a Sportweek, rivista settimanale della Gazzetta dello Sport.
Cosa è cambiato da quando sulla panchina del Cagliari è arrivato Zenga?
“Io lo so che corro tanto, troppo. Me lo dicono tutti, Zenga compreso: ‘Non ho bisogno che tu rincorra gli avversari. Devi stare lì davanti e scattare quando ti lanciano il pallone, perché sono sicuro che lo prendi’. Ma a te è mai capitato che qualcuno ti dica: devi fare questo e quello, e tu non vedi, non capisci di cosa stia parlando? A me è successo proprio questo. Mi consigliavano di imparare a dosare le energie, correre nel modo giusto, sfruttare meglio la forza che ho nelle gambe: qualità e non quantità, come ripete mio padre quando parla delle poche occasioni che abbiamo per stare insieme. Il tempo darà ragione ai nostri consigli, dicevano. E io di tempo avevo bisogno. Me lo sono preso col lockdown”.
E lo hai sfruttato come?
“Mi sono riguardato un po’ di gare del Cagliari. Mio padre mi ha mandato qualche video di quelle dell’Atletico e degli allenamenti, così ho potuto vedere come si muovono i suoi attaccanti. E ho pensato: se invece di fare dodici chilometri a partita mi fossi comportato come loro, oggi avrei qualche gol in più”.
Zenga cosa ti sta dando?
“Lui è nato il 28 aprile come mio padre, e davvero certe volte mi sembra di sentire lui quando allena. Stesso tono, stesso carisma, quasi le stesse parole. Glielo dico: ‘Mister, lo fai apposta?’. Zenga è uno che dà fiducia, ti sta addosso. Non c’è cosa migliore per un giocatore. E la cosa che mi ripete più spesso è sempre la stessa: ‘Giovanni, fammi un favore, non correre. Stai lì davanti, per favore’. E io che all’inizio non capivo niente (ride). E poi: ‘Pensi troppo. Gioca d’istinto’ “.
L’estate scorsa sei arrivato a Cagliari a fine mercato, lasciando Firenze. Sinceramente, in quel momento ti sembrava un passo indietro nella tua carriera?
“Stavo molto bene a Firenze. Ero lì da due anni, mi piaceva la città, avevo amici e mi ero fidanzato. Avevo perso il posto in squadra, è vero, ma avevo voglia di riconquistarlo e lo avevo detto a Montella: ‘Mister, io voglio restare, mi sento più forte degli altri attaccanti che sono qui e che lei mi ha messo davanti. A meno che mi dica che non mi vuole, rimango e mi riprendo la maglia’. La sua risposta? Nelle prime due partite di campionato non giocai un minuto. Allora capii che l’unica era andarmene. Il Cagliari è stata la squadra che mi ha voluto di più, la società è ambiziosa, aveva costruito un gruppo già forte a cui mancava un attaccante dopo l’infortunio di Pavoletti. Insomma, il posto giusto per me. Sono arrivato dopo una stagione in cui avevo segnato 6 gol, e la gente mi ha accolto come un re”.