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Cagliari, Pavoletti: “Voglio la salvezza, con Mazzarri abbiamo iniziato a capirci”

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Leonardo Pavoletti in Cagliari-Bologna | Foto Luigi Canu
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Appuntamento con DAZN Talks per Leonardo Pavoletti. L’attaccante del Cagliari, in una lunga chiacchierata, ha parlato non solo delle questioni di campo e dei suoi ricordi in carriera, ma di diversi argomenti.

«Sto bene, sono contento che la squadra si stia riprendendo», esordisce Pavoletti dando le sue condizioni in vista di Bergamo. «Abbiamo lavorato tanto dentro di noi soprattutto, perché i valori ci sono sempre stati ma non riuscivamo a esprimerci. Ora abbiamo la mentalità giusta e questo ci fa ben sperare per il futuro. La svolta l’anno scorso col Parma? Ancora oggi non ho il coraggio di riguardare la partita, per quanto è stata emozionante e provante. Abbiamo toccato la Serie B con un dito, non so nemmeno io come siamo riusciti a portare a casa quella vittoria che ci ha dato una scossa e un’adrenalina per arrivare all’ultima partita. A fine stagione era un peccato che finisse, perché eravamo entrati in forma e ci riusciva tutto. Avevamo scavallato: da una squadra perdente era diventata una che poteva ambire a posizioni più alte. Ma va benissimo la salvezza, alla quale puntiamo quest’anno, ma quel Cagliari-Parma è stata la partita più bella della mia carriera».

Fase realizzativa

«Quello al Parma il gol più emozionante? Il più bello sicuramente no, però sullo 0-2 a fine primo tempo quella partita non l’avremmo mai ripresa. L’unica palla giocabile dentro l’area sono riuscito a colpirla e a fare gol, ha dato la speranza alla squadra di non mollare: 0-2 in casa contro la squadra con cui ti giocavi la Serie A sarebbe stata dura, invece così è stato un lampo di fiducia dentro di me e dei miei compagni. Quanti gol faccio da qui a fine stagione? Chi mi ha al fantacalcio deve credere nel progetto Pavoletti, tanti allenatori non ci hanno creduto ma io sto bene e ho tanta voglia. Voglio salvare il Cagliari, ci sono tanti ragazzi che ora sono in fiducia con la voglia di giocarcela con tutti. Credo che qualche altro gol lo posso fare. È giunta l’ora di un bel gol di testa, però non mi lamento: l’importante è farlo. I rigori? Gli ultimi li ho battuti nel Varese, sono passati sette-otto anni però sono un giocatore che si prende le sue responsabilità».

João Pedro

«Sono cinque anni che giochiamo insieme, da quando lo spostarono in avanti il primo anno aveva movimenti veramente da attaccante completo. Poi, naturalmente, doveva essere più cinico in certe occasioni: ora ha fatto quello step e adesso è nella top-5 degli attaccanti della Serie A. Fa assist, fa gol, gioca per la squadra e corre: è un capitano leader. Se ha preso spunto da me mi toccherà guardare i miei movimenti, perché non sapevo di essere così bravo…»

Capitano in Coppa Italia da ex col Sassuolo

«È stato bellissimo, dico la verità. Mi sono sempre sentito un leader nello spogliatoio: a volte il capitano porta la fascia ma non lo è. Noi abbiamo un capitano che porta la fascia e lo è anche nello spogliatoio, ma mi sono sempre sentito uno dei senatori della squadra. Poi è arrivata per la prima volta la fascia, in una partita per me speciale perché sono stato anni al Sassuolo e ci avevo discusso perché mi sentivo pronto e mi mandavano in prestito senza che lo capissi. Hanno fatto un percorso interessante, non hanno avuto fretta di lanciarmi e l’hanno fatto nel momento giusto. Il Sassuolo è una squadra che sa lavorare coi giovani, sta facendo risultati: è stato un percorso difficile ma bello. Poi il Cagliari è la squadra dove faccio più anni: al Genoa erano due, qui sono cinque. Mi sono nati i figli a Cagliari, ho comprato casa a Cagliari e la fascia è stata la ciliegina sulla torta. Mi sono goduto quella partita, purtroppo abbiamo perso ma è stato un grande onore. È stato emozionante, ci pensavo a fine partita: il calcio è romantico e ti lascia delle cose che non si dimenticano».

Il colpo di testa marchio di fabbrica di Pavoletti

«Negli ultimi anni l’ho allenato anche molto meno il colpo di testa. Giocando palla a terra, con dinamiche e strategie diverse, anche allenamenti con cross ne facciamo sempre meno. Sarà un caso, ma ora sto segnando solo di piede. Ricordo il secondo mio anno con Maran: il venerdì era tattica e poi c’era un’esercitazione di quaranta minuti con cross e colpi di testa, non è un caso che abbia fatto dodici gol così. Tutte le cose nel calcio si migliorano e vanno allenate, poi sicuramente avrò il tempismo di natura però più ti alleni più sei pronto. In area è una frazione di secondo: se pensi o ti anticipano o hai perso la giocata. Se la mente è già abituata a quel colpo viene in automatico, a volte ho segnato e non ricordavo come avessi colpito il pallone, dovevo rivederlo a fine partita. Era proprio la mia mente abituata a colpire, col pilota automatico. È una cosa strana, sembra paradossale ma a volte mi è successo».

Gli avversari

«Credo che Koulibaly e Chiellini siano stati i più bravi con cui ho giocato contro. Poi ho avuto col primo al fortuna di giocarci in squadra e col secondo in Nazionale, ho conosciuto la persona e il professionista che c’è dietro al campione. Mi fa piacere, a volte è una battaglia incredibile però se perdi sai che perdi con un campione. È uno stimolo e mi porta a dare qualcosa in più. Qualche parola in sardo? È difficilissimo, solo le parole base… L’unica cosa mio figlio, che ora ha tre anni, ha degli accenti ogni tanto sardi: lui me lo insegnerà meglio, perché alla fine stando a scuola con compagni e maestre sarde sta prendendo la fonetica sarda».

La promessa

«La canzone che parte in casa quando faccio gol? È un progetto divertente. Avevo visto un video con quella canzone di chi mi aveva preso al fantacalcio prima che mi rompessi sette mesi. Ero a Innsbruck, l’avevo contattato e gli ho chiesto di fare qualcosa di simpatico. Mi sarebbe piaciuto avere una bella voce e cantare, in spogliatoio dopo un po’ mi fermano… Promettere via barba e capelli in caso di salvezza? I capelli erano una sfida con me stesso, che ho portato avanti contro varie offese di tutti i tipi da tutte le parti. Però prima o poi me li voglio tagliare: potrebbe essere a salvezza raggiunta, però vediamo».

Gasperini

«Avere Gasperini a una certa età mi ha dato il turbo. Avere un anno e mezzo Gasperini mi ha fatto fare il salto di qualità mentale, potevo credere nei miei mezzi: mi ha fatto crescere più di tutti. Lui ti entra come pochi allenatori, ha un modo tante volte anche tosto. Devi accettare il suo modo di essere, però quando capisci che lui fa di tutto per vincere allora il resto diventa più facile. All’inizio rapportarsi con il mister non è stato semplicissimo: non giocavo mai, ero la terza punta dopo Borriello e Niang. Dopo un allenamento mi disse: “Pavoletti, sei pronto?” La partita dopo ero in panchina, pensavo fosse uno che chiacchiera ma si fa male Borriello. C’era Niang in panchina, non avevo neanche i parastinchi e pensavo entrassi gli ultimi dieci minuti. Invece lui: “Pavoletti, entra!” Non sopporta che uno non sia pronto, sono entrato in campo che mi diceva di tutto e per i primi-cinque dieci minuti non capivo nulla. Poi per fortuna ho fatto gol, da lì ho giocato sempre più e quell’anno col Genoa avevamo i punti per andare in Europa League, che per questioni societarie non ci siamo andati. Ho fatto cinque-sei gol ed è nata la leggenda di Pavoloso. Mazzarri? Anche con lui siamo partiti un po’ strani. Abbiamo avuto delle discussioni, siamo partiti un po’ a rilento ma ora si parla spesso. Abbiamo iniziato a capirci, ora siamo sulla stessa lunghezza d’onda».

Il rapporto con la gente

«Regalare la maglia a chi me la chiede? Ci casco spesso, però tutte le volte è difficile accontentare chi me la chiede. Sono tanti anni che sono qui, ormai mi vedono come il ragazzo della porta accanto: i bambini mi dicono di tutto e mi vogliono bene. È stato bellissimo il giorno del mio compleanno, quando ho segnato con la Salernitana, che i bambini hanno fatto una coreografia per me. Marassi è il miglior stadio dove giocare, poi la Unipol Domus è diventata veramente casa mia: spero di giocarci tante volte. Sono uno che prova ad accontentare il più possibile, però quando vedo che uno se ne approfitta divento indifferente. Aver donato il sangue l’altro giorno? Non sono il donatore più bravo, però mi voglio sforzare di più perché qui in Sardegna c’è bisogno e riescono a reperire il sangue sempre meno. Tanti donatori che vogliono iniziare questa strada a volte non possono donare per vari problemi. Mi hanno invogliato a farlo, ho accettato subito e ha riscosso grande interesse: mi ha fatto piacere finire in prima pagina sul giornale per un’iniziativa così importante. Anche oggi ci tengo a ribadire che dobbiamo donare, soprattutto in questi tempi ci sono pazienti che ne hanno bisogno. Chi dona fa un atto d’amore, bellissimo: se vi capita fatelo».

Pavoletti cagliaritano a tutti gli effetti

«Restare a vivere qui? A volte con la mia compagna ci pensiamo, potrebbe essere una scelta. Però ancora sarebbe illogico, ho ancora alcuni anni di carriera. Tutto dipenderà da quello che farò dopo: ho una casa bella a Livorno e una qui, poi dipenderà cosa farò fra dieci anni. Ho messo dieci anni perché non so cosa farò, però io vengo dalla Serie D e ho fatto tutta la trafila, non sono uno di quelli che dice di voler finire al top per il nome. Mi piacciono le sfide, anche girare l’Italia: chi ha la possibilità di vivere tante città diverse? È un’opportunità il calcio, mi piacerebbe vivere anche un’esperienza all’estero. A me piace vivere il quotidiano di una città e di una cultura, il calcio ti aiuta in questo e non vorrei perdere quest’opportunità. Poi magari smetto di giocare nel Cagliari, mi prendono come dirigente, allenatore o qualsiasi cosa e uno fa la sua scelta».

I ricordi di Pavoletti

«Mister Mario Simonti è stato uno dei miei primi allenatori. Con lui, nell’Armando Picchi del 1988, avevamo una squadra che vinceva tutti i campionati regionali e provinciali. Non avevamo una squadra professionistica, Mario era un padre come noi: gli potevi dire tutto e sapeva come allenare. Era la selezione dei migliori giocatori non andati al Livorno, quindi già bravi. Far convivere e far vivere quel gruppo così bene era bello, ci dava spazio e parlava con tutti facendoci divertire. È un bel ricordo, a Livorno ogni tanto l’ho rivisto e conosco bene il figlio perché abbiamo fatto le medie insieme. È uno di famiglia. Ripetere i ventiquattro gol di Varese? Sono tanti, però quello che mi tiene il fuoco dentro è che tante volte gioco poco ma sento che posso fare ancora come tre anni fa l’annata coi sedici gol. Quell’anno lì non avevo la mentalità e la dedizione che ho ora, mi sento meglio e ho una conoscenza del gioco migliore. È tutta una questione di trovare l’annata giusta, partire col piede giusto. Naturalmente quest’anno non riuscirò a fare venti gol, ma dopo l’operazione al ginocchio sto avendo un percorso migliore rispetto a prima. Avevo un sacco di infiammazioni, probabilmente mi hanno portato alla rottura del crociato: ora non ne ho più».

I compagni al Cagliari

«Il più brontolone era Cigarini, che è tremendo, ora il posto di Cigarini l’ha preso Cragno. Se gli dici che quello è bianco per lui è nero: una lotta, ogni tanto si litiga perché vuole avere sempre ragione. Il più simpatico? Un tempo io, ora devo fare anche la parte del più serio. Però ti dico: ci sono tanti ragazzi giovani in questo spogliatoio che stanno venendo fuori alla lunga. Mi piacciono un sacco, hanno fatto questo gruppetto che si trovano e sono veramente forti. Ci sono Zappa, Altare, Bellanova, Grassi, ora si è unito Goldaniga. Spero di non dimenticarne nessuno. Ora inizio a diventare uno dei più vecchi in campo, più vecchio anche degli arbitri: mi trattano come uno scemo, a volte la prima cosa che dico subito ammonito. Inizio a essere vecchio e fa paura questa cosa. Un tempo poi c’era il nostro latin lover Ceppitelli, però si è accasato. Ora si vive tutto di social: io faccio famiglia e cazzate, poi con la pandemia e tutto è più difficile. Ma non devo essere io a dire cosa pubblicare e cosa scrivere».

Fantacalcio

«Credo che qualcuno lo faccia, però con amici della propria città. Di spogliatoio sicuramente non c’è. Uno da consigliare? Credo e spero che Bellanova sia arrivato un momento che faccia assist e gol, poi il nostro pupillo per come è fatto e per il giocatore che è Marin: deve darci qualche bonus per la salvezza, non per il fantacalcio. Ha un potenziale incredibile, io punto tanto su di lui e Bellanova. Pereiro? Ha qualità disumane, però dipende da lui. Come tutti i giocatori estrosi dipende da lui, noi lo dobbiamo coccolare e quando sta in forma ci fa vincere le partite».

La Redazione

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