La nostra intervista alla mezzala del Cagliari: una chiacchierata a tutto tondo tra pallone, il rapporto con la Sardegna e le ambizioni per il futuro.
Una vita da mediano, a recuperar palloni: nato senza piedi buoni, lavorare sui polmoni. Chissà quante volte Nunzio Lella avrà ascoltato la canzone di Luciano Ligabue, con la convinzione però di cambiare alcune frasi. Il 22enne pugliese, da questa stagione tornato in forza al Cagliari dopo l’annata in Primavera (2018-19) e il proficuo triennio passato a Olbia (2019-22), è certamente un centrocampista votato a giocare con generosità, ma in grado di andare oltre fatica e botte, tanto da entrare dopo pochi allenamenti nelle grazie di un certo Claudio Ranieri, uno che a 71 anni quando esprime un giudizio lo fa con convinzione. Abbiamo fatto una piacevole chiacchierata, nella cornice cagliaritana di Calamosca: il mare e il sole come compagni in un bel viaggio a ripercorrere varie tappe della vita e della carriera del numero 23 rossoblù.
Tu sei nato a Santeramo in Colle, centro di 26 mila anime nella Città metropolitana di Bari. Qual è il tuo rapporto con la tua terra d’origine? E con quella che ti ha adottato, ovvero la Sardegna?
“Con la Puglia ho un rapporto fantastico: amo tornare a casa, lì ho i miei amici e la mia famiglia. Vedere i loro visi orgogliosi mi fa capire che sto facendo grandi cose. Per quanto riguarda la Sardegna, è stata una terra d’adozione. Sono stato accudito da persone che mi hanno fatto integrare benissimo dopo il fallimento del Bari. Tra Puglia e Sardegna ci sono tanti fattori simili tra cui il clima, un mare stupendo e la gente calorosa: vedo molta correlazione tra queste due regioni. Voi avete i nuraghi, noi le Quite (zona situata sulla Murgia di Santeramo, a pochi chilometri dal centro urbano, caratterizzata da un disegno regolarissimo di lotti e strade, ndr) con trulli, casedde e muretti a secco. Anche le nostre campagne si assomigliano, è stato facile ambientarsi in questa terra”.
Sei arrivato a Cagliari nel 2018 per rinforzare la Primavera allora allenata da Max Canzi: da quell’annata iniziò la cavalcata verso le posizioni di testa del campionato. Che ricordi hai?
“È stata sicuramente un’esperienza fantastica. Mi sono trovato benissimo con la squadra, il mister da subito mi ha dato moltissima fiducia. Ho segnato 3 gol, ma in generale quel Cagliari Primavera era un gruppo forte. Faccio qualche nome: Ladinetti, Riccardo Doratiotto, Verde e Lombardi, che ho ritrovato contro la Reggina. Eravamo una squadra composta alla perfezione e abbiamo provato ad arrivare ai playoff che purtroppo abbiamo solo sfiorato”.
Sei un classe 2000. Nel tuo primo anno in Primavera 1 hai incrociato giocatori che si sono poi affermati come Vlahovic, Raspadori e Kulusevski.
“Abbiamo disputato un campionato Primavera abbastanza tosto, sfidando moltissimi giocatori di valore tra cui Raspadori, Vlahovic o lo stesso Millico. Con Vincenzo parliamo sempre di quell’anno: per me è fortissimo, ma in quell’annata fece davvero cose straordinarie”.
Dopo un anno di Cagliari Primavera arriva la chiamata dell’Olbia. Sei soddisfatto del tuo triennio in maglia bianca?
“Passare dal campionato Primavera a quello di Lega Pro è stato un grande passo. È nel calcio ‘dei grandi’ che capisci la vera importanza dei tre punti, condividendo lo spogliatoio con compagni più grandi di te, con cui devi comportarti con rispetto. Per me è stato un triennio fondamentale. Da subito ho approcciato al meglio un campionato difficile come la Serie C, riuscendo a fare 100 presenze con la maglia dell’Olbia condite da 7 gol. Non nego che siano stati tre anni difficili e abbastanza impegnativi: ho vissuto la prima stagione a soli 19 anni, disputando personalmente un buon campionato. Nel finale abbiamo dovuto convivere con l’emergenza Covid, arrivando a disputare i playout contro la Giana Erminio. Sentire quel tipo pressione è stato molto utile per la mia crescita, specie a livello di consapevolezza dei miei mezzi. Nel secondo anno, con l’arrivo di Max Canzi in panchina, siamo riusciti a salvarci in maniera pulita per poi arrivare alla stagione scorsa, in cui abbiamo centrato il traguardo storico dei playoff. Sia per me sia per l’Olbia sono stati tre anni in crescendo, tuttora mi sento con diversi giocatori, seguo sempre il loro cammino”.
A proposito di playoff, hai qualche rimpianto per come si è chiusa la scorsa annata?
“Forse per alcune partite, dove abbiamo lasciato qualche punto per strada. Abbiamo vissuto una stagione tosta, nel nostro girone c’erano squadre veramente forti come Modena, Reggiana, Virtus Entella. Siamo riusciti ad accedere ai playoff e ci prendiamo quanto di buono abbiamo fatto”.
In base alla tua esperienza, consiglieresti a un giovane del settore giovanile rossoblù il trasferimento all’Olbia?
“Da subito ho detto alla società che volevo andare a giocare tra i grandi. Secondo me è un passaggio importantissimo, che aiuta un giovane a crescere”.
Torniamo indietro alle tue origini calcistiche. Sei cresciuto nel Bari, allenandoti con giocatori come Brienza, Floro Flores, Valiani e un emergente Castrovilli. Raccontaci un po’ quell’esperienza.
“Per me, tifoso del Bari fin dalla nascita, è stato fantastico poter fare la trafila nelle giovanili della squadra della mia città. Arrivare poi a essere convocato in Serie B e in prima squadra per me ha rappresentato un sogno, così come portare addosso lo stemma con il galletto. È stata un’esperienza che porterò sempre dentro di me. Ora penso al presente e al Cagliari, che mi ha adottato dopo il fallimento della società. Quella però resta una ferita aperta. Non tutti lo sanno, ma quando si è diffusa la notizia che il Bari è fallito io ero in ritiro con la prima squadra: è stato brutto vedere piangere i magazzinieri, eravamo tutti sconcertati da quello che era successo. L’importante però era ripartire al meglio, mi si è presentata l’opportunità Cagliari e non ho esitato a venire qua”.
Quest’anno si è giocata Bari-Cagliari al San Nicola. Com’è stato viverla da ex?
“Un’emozione indescrivibile. Calpestare il campo del San Nicola era un sogno che avevo fin da piccolo, mi ha fatto effetto farlo con la maglia del Cagliari. Ho visto moltissimi volti conosciuti, vederli lì sugli spalti mi ha fatto fermare un secondo per realizzare che stava succedendo davvero. In più c’è un’aneddoto: mister Ranieri, negli spogliatoi, mi ha guardato e mi ha detto: “Nunzio, non ti voglio vedere emozionato” (ride, ndr). Ho cercato di fare la mia partita e penso sia andata bene. È stato un peccato aver perso due punti al 95′ su rigore, ma ci sta”.
Entriamo nel vivo del discorso Cagliari. Com’è stato il tuo inserimento in Prima squadra?
“Conoscevo già Pavoletti e Deiola dai tempi della Primavera. Sono stato accolto benissimo fin da subito. I grandi hanno fatto capire a noi giovani cosa significa indossare la maglia del Cagliari, battendo sul fatto che dovessimo tutti dare il massimo dopo la retrocessione dello scorso campionato”.
C’è tanta concorrenza a centrocampo. Come si cerca di vivere bene questa situazione?
“Indubbiamente cerco ogni giorno di rubare qualcosa dai compagni di reparto più esperti, tutti giocatori fortissimi che non scopro certo io. Fin qui ho sempre cercato di dare il massimo in allenamento e farmi vedere dal mister. È giusto che ci sia una sana concorrenza, perché il Cagliari è una squadra molto importante ed è giusto che abbia difensori, centrocampisti e attaccanti forti per la categoria”.
Sei giovane, hai fame e vieni “dalla provincia”: sei l’emblema della nuova filosofia del Cagliari che sta ricostruendo dopo la retrocessione. Ti ritrovi in questa descrizione?
“Assolutamente. Io, ma anche ragazzi come Dossena e altri, abbiamo sempre cercato di allenarci al massimo per farci trovare pronti e alla prima occasione ci siamo fatti valere. Abbiamo mostrato il nostro valore alla squadra, ma pure ai tifosi e alla società. È giusto prendersi i propri meriti, non abbiamo mai mollato e abbiamo sempre pensato a lavorare”.
Facciamo un gioco. Ti faccio un nome di un compagno e tu devi usare una sola parola per definirlo. Iniziamo da Lapadula.
“Si potrebbe dire bomber, ma dico carismatico”.
Nández.
“Lottatore, instancabile”.
Luvumbo.
“Per me Zito è allegria (ride, ndr)”. .
Altare.
“Un muro”.
Paulo Azzi.
“Una freccia”.
Pavoletti.
“È sicuramente un leader”.
Rog.
“Forza pura”.
Deiola.
“Lo definirei autoritario”.
Mancosu.
“Genio e talento”.
Nella conferenza pre-gara di Modena-Cagliari, Ranieri ha avuto parole di enorme stima e fiducia nei tuoi confronti. Cos’hai pensato quando le hai ascoltate?
“La cosa bella del mister è che dà fiducia a tutti e ci fa sentire importanti. Sentirsi dire queste parole da un allenatore del genere non può che fare piacere. Quando un allenatore mi parla così vuol dire che ci tiene a me, quindi io posso solo andare a 110 mila all’ora in campo e dimostrargli che magari ha ragione”.
Cosa significa per un giovane essere allenato da Ranieri?
“Lui ha un occhio di riguardo per i giovani, li sprona a dare il massimo ed è normale che tutti lo seguano. Ha vinto una Premier League con il Leicester, coronando una favola meravigliosa. Quando lui parla e lo si ascolta, si dà sempre il massimo in campo”.
Con Liverani eri ai margini ma con Ranieri sei diventato titolare. Come si vive un cambio di status così radicale?
“Si resta tranquilli pensando a se stessi. Io ero consapevole delle mie qualità: anche quando non giocavo con mister Liverani, ho sempre cercato di dare il massimo e di farmi rispettare da tutti”.
Cerchiamo di scoprire qualcosa di più sul Nunzio al di fuori del campo da gioco. Quali sono le tue passioni?
“Amo andare al cinema, sono un fan sfegatato della saga Marvel. D’estate mi piace giocare a basket con i miei amici, anche perché sono scarsi a calcio (ride, ndr). Ultimamente, invece, sto provando anche con il padel”.
Numero di maglia: ora indossi la maglia numero 23, ma spesso in carriera hai indossato la 7.
“In realtà la 7 me l’hanno data all’Olbia, ero appena arrivato e l’ho presa di buon grado. L’ho usata anche nella Primavera del Cagliari, ma il mio preferito è il numero 23. Per due motivi: intanto per Michael Jordan, per la sua mentalità e per quello che è stato nel basket, un idolo assoluto. La seconda motivazione è per Barella. Quando sono arrivato a Cagliari ho potuto apprezzare la sua qualità, è tuttora il mio giocatore preferito”.
In conclusione, proviamo a spostare l’orizzonte sul futuro, buttando palla in avanti. Come si vede Nunzio Lella tra 20 anni?
“Spero di avere una bella famiglia, magari con dei bambini. Spero anche di aver dato qualcosa al mondo del calcio ed essere felice. E, chissà, magari di tornare in un bel posto come Cagliari”.
Francesco Aresu