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Cagliari, Gigi Riva: “I miei figli mi hanno salvato dalla depressione”

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Gigi Riva si racconta. Lo storico numero 11 del Cagliari, che a novembre uscirà in libreria con “Mi chiamavano Rombo di Tuono”, scritto dallo stesso Riva con la collaborazione dell’editorialista della Stampa, Gigi Garanzini, regala qualche anticipazione dei contenuti presenti nel suo libro. Eccone alcuni passaggi significativi ripresi da ilnapolista.it:

Juventus-Cagliari del 15-03-1970

“Il primo tempo era filato via liscio. Oddio, liscio, il primo gol lo aveva segnato il nostro stopper nella nostra porta, ma diciamo – sorridendo – che con Niccolai poteva anche succedere. Pareggiai io poco prima dell’intervallo ed è ovvio che con due punti di vantaggio in classifica il risultato ci stava bene. Non avevamo fatto i conti con Lo Bello”.

Il Riva introverso

“Non sono mai stato un chiacchierone. Mi piacciono i silenzi, mi piace semmai parlare con me stesso. Il silenzio è stata una parte importante della mia vita, che quand’ero troppo giovane mi ha detto: “Arrangiati”. E io mi son dovuto arrangiare. Mi sono chiuso, questo sì. Ma non è vero che sono diventato triste o malinconico: ho dovuto semplicemente fare i conti con l’infanzia che ho avuto, con i lutti, con le nottate a occhi spalancati aspettando il sonno che non arrivava”.

L’aiuto del calcio

“Il calcio mi ha aiutato, mi ha dato tanto per non dire tutto.  Ma quando sono uscito per sempre dal campo, dal sogno che si era avverato e aveva tenuto lontani, entro certi limiti, i fantasmi notturni, ho dovuto cominciare a fare i conti, fino a lì sempre rimandati, con quella parola. Depressione. Che fatico persino a pronunciare, perché significa farmi del male. Il calcio, la carriera, i gol erano stati la reazione che mi serviva: prima una spinta, poi un propellente vero e proprio a mano a mano che arrivavano i successi. Venendomi a mancare tutto questo di colpo, non con un declino progressivo come avevo sempre pensato, mi sono sentito perso”.

La nascita dei figli che l’ha salvato

“La depressione è regredita, tornando a manifestarsi ogni tanto ma non in quella misura. Un problema di testa con cui ho imparato a convivere. Mai del tutto, perché quando si rifà vivo rimane un brutto avversario da affrontare. Mi vien da dire che invecchiare non aiuta, per tante ragioni, ma è vero fino a un certo punto: avevo poco più di trent’anni quando l’ho conosciuta nella sua forma peggiore. Un altro periodo brutto, poco meno di dieci anni fa”.

La Redazione

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