Tanta amarezza nella parole di Vittorio Attili al termine della gara di Coppa Italia che ha visto il suo Atletico Uri perdere per 3-0 contro il Latte Dolce tra le mura amiche del Ninetto Martinez. Dispiacere, a dire del trequartista romano, causato non solo dal risultato sportivo ma in particolare per quanto accaduto in seguito alla sua espulsione, con la querelle su presunte offese da parte dell’arbitro del match, il signor Gabriele Caggiari di Cagliari. Di seguito le parole del calciatore giallorosso.
L’episodio incriminato
“Voglio partire da quanto avvenuto in occasione della mia espulsione – le parole di Attili ai nostri microfoni –. Sono stato aggredito verbalmente dall’arbitro con riferimenti offensivi relativi al mio luogo di nascita. Questo non è accaduto solo a me ma anche al capitano Alessio Fadda. Sono episodi che non devono accadere in particolare su un campo da calcio. Non so che gli sia successo all’arbitro. Mi ha detto che puzzavo, che ero romano e che eravamo dei pecorari. Insomma delle parole brutte e di cattivo gusto”.
Sulla partita
“Quella di oggi è stata una partita equilibrata, abbiamo subito gol su una nostra disattenzione da calcio piazzato, peccato sono situazioni che capitano sul quale bisogna lavorare. Poi dopo quel brutto episodio la partita è scivolata in favore del Latte Dolce”
Sulla scelta di trasferirsi all’Atletico Uri
“Mi ha convinto la loro voglia di far bene, ero già stato in Sardegna. Volevo ritornare perché qua mi sento a casa. Voglio ringraziare tutti: il mister, il suo staff e il paese per l’accoglienza che mi hanno riservato. Mi sento veramente bene a Uri e sono contento di indossare la maglia giallorossa. Vengo da una retrocessione lo scorso anno, voglio rilanciarmi e credo che questo sia il posto giusto per far bene”.
Sul gruppo
“Questo gruppo ha tanta voglia e tanta fame, vogliamo salvarci il prima possibile, ci stiamo impegnando al massimo. Peccato per la sconfitta di oggi però tutto sommato abbiamo fatto bene. Ripartiamo dalle cose positive e cerchiamo di colmare le lacune”.
Andrea Olmeo