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Walter Tolu in maglia Torres

Walter Tolu: “Questa Torres ha grandi qualità: giusto ambire alla Serie C”

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La nostra intervista a un’autentica leggenda torresina, con un tuffo nei ricordi tra l’amarcord e il presente della squadra rossoblù chiamata al rush finale nel campionato di Serie D.

C’è chi ama il calcio, chi ama una squadra e c’è chi come Walter Tolu ha avuto la possibilità di inseguire un pallone difendendo i colori della squadra che ha sempre amato. Con l’avvicinarsi dei titoli di coda di questo campionato di Serie D abbiamo voluto sentire una delle storiche bandiere della Torres: l’ala destra per eccellenza, uno degli eroi che, trascinati dai cinquemila tifosi presenti in quel 7 giugno 1987 ad Alessandria, riuscirono a conquistare una storica promozione nella Serie C1.

Tolu, lei ha indossato e onorato la maglia della Torres, facendola diventare quasi una seconda pelle: come giudica il percorso dei rossoblù in questa stagione?
“Prima di quest’anno c’era grande incertezza sulle sorti della Torres. La nuova proprietà, attraverso una programmazione seria, ha permesso ai sassaresi di poter ambire a un palcoscenico importante come quello della Serie C. Una squadra è composta da tanti elementi, partendo dal presidente per arrivare al magazziniere, ciascuno con il proprio compito. Chi scende in campo è colui che compie l’atto finale, ma dietro c’è il duro lavoro di tutte le varie componenti della società. Se la Torres si trova nella posizione in cui sta ora è perché lo sta meritando e ha grandi qualità”.

Nelle ultime quattro giornate la Torres affronterà due derby, tra cui quello di Sassari con il Latte Dolce: quanto sono importanti queste gare e come si affrontano?
“Il derby ha un sapore diverso, c’è un coinvolgimento maggiore della tifoseria. Sotto il punto di vista della preparazione e della concentrazione è una partita importante come tutte le altre, ma assume un fascino differente perché la piazza si anima di più. In questi casi è il contesto che rende un derby più coinvolgente e affascinante rispetto alle altre partite”.

Quasi duecento presenze con la maglia rossoblù e qualche gol: torniamo indietro a quel 26 aprile 1987, quando si giocò Olbia-Torres. Bebo Leonardi la fece accomodare in panchina, ma nel secondo tempo lei entra e dopo pochi minuti segna il gol del pareggio…
Ti piace vincere facile…(ride ndr). C’è sicuramente tanto da raccontare su quello che è successo dopo quel gol, ma molto anche su quello che è accaduto prima. Ogni anno facevo uno o due reti e l’Olbia è stata una delle squadre a cui ho segnato di più. Mi è stata sempre particolarmente ‘simpatica’ da questo punto di vista. Dopo una stagione giocata da titolare fisso, in occasione di quella partita Leonardi decide di farmi partire dalla panchina. Nello stadio ho fatto il riscaldamento sotto la curva dei loro tifosi, vi lascio immaginare le dolci parole che mi sono state rivolte in quei minuti: ci sta lo sfottò, il calcio è anche questo. Evidentemente però quel giorno c’era una presenza divina più alta di noi che ha deciso che io dovessi entrare e segnare quel gol. La mia esultanza è stata impulsiva e liberatoria, con l’intento di dimostrare a chi mi dava del giocatore finito: io sono ancora qua!”.

Nella storica promozione in C1 del campionato 1986-87 ottenuta sul campo dell’Alessandria i tifosi rossoblù erano accorsi in tantissimi per sostenere la squadra: quanto conta il supporto del pubblico in questi momenti della stagione?
Non ho inventato io la frase: ‘Il pubblico è il dodicesimo uomo in campo’. Giocare con mille persone non è lo stesso che giocare con diecimila. La tifoseria dà quella carica in più a chi gioca in casa e mette il più delle volte un freno agli avversari“.

A proposito di stadio le dico Vanni Sanna, che ricordi hai di lui c’è un aneddoto particolare che la lega a lui, in molti ne conoscono uno lei che ci dice?
Eravamo in ritiro a Villanova Monteleone, Demarcus e Farina mi dissero di andare al market per comprare qualche bibita. Io allora ero un ragazzino e volevo dimostrare ai miei compagni più esperti che ero uno di loro, volevo farmi notare. Quindi sono andato alla piccola bottega vicino all’albergo e ho comprato qualcosa. Poi ho pensato di rientrare passando dalle scale secondarie dell’hotel, però in quel tragitto mi sono trovato di fronte Vanni Sanna: mi sequestrò tutto e mi diede anche un calcio nel sedere (risata, ndr)”.

Come si vedrebbe nel calcio di adesso? Quanto è cambiato rispetto ai suoi tempi?
Ho smesso di giocare a quarant’anni, ormai ventuno anni fa. Non ho mai allenato e non ho preso il patentino. Faccio fatica a vedere una partita in tv e ad andare allo stadio. Non sono più nel mondo del calcio perché non c’è stato più niente che mi abbia dato la motivazione giusta per esserci. Ho provato insieme a Roberto Ennas ad allenare la Torres Femminile come suo vice: quell’esperienza è stata significativa, mi ha fatto capire che se io scendo in campo non posso stare seduto in panchina. Devo essere protagonista, voglio giocare, amo troppo il calcio per viverlo passivamente. Non vedo un ruolo all’interno di questo settore che mi possa dare le stesse grandi emozioni, lo stesso trasporto e la stessa voglia di dedicare tutto me stesso se non quello sulla fascia destra tra gli undici titolari. Per capirci, quando vado a giocare a calcetto io mangio tre ore prima della partita e 45 minuti prima arrivo al campo per fare riscaldamento. Tutti gli amici mi sfottono e ridono di questa cosa, però non conosco un’altra strada per vivere il calcio. Quella pedata nel sedere di Vanni Sanna mi ha insegnato molto, mi ha fatto capire che non bisogna aggirare l’ostacolo con delle bibite, bisogna lavorare sodo e impegnarsi al massimo“.

Per chiudere l’intervista, qual è il ricordo più bello che la lega alla Torres?
Eh… non riesco a dirne solo uno…(si commuove, ndr). Il mio ricordo più bello si chiama Torres”. 

Andrea Olmeo

TAG:  Torres
 
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