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Ultimo Tango a Cagliari | Memorie, suggestioni, deliri in rosso e blu. A cura di Andrea Valentini.

La mia vita suddivisa in campionati di calcio

Sono più che sicuro sia successo anche a voi.
Intendo, sorprendervi a pensare al tempo come alle stagioni calcistiche.
Non è solo un sintomo della nostra malattia, è anche un comodo esercizio per la memoria.

“Guarda, sono sicuro che fosse l’anno del quarto ginnasio, perché Suazo fece quella stagione da 22 gol…” etc, etc…o no?
Questo accade perché il calcio, per dirla con Arrigo Sacchi, è la cosa più importante tra quelle meno importanti.
Inoltre, è scientificamente diviso in stagioni, per cui a 1998/99 seguirà 1999/2000, ai Mondiali USA ‘94 quelli di Francia ‘98, e così via.
Ed ecco spiegato perché mia madre si ricorda i periodi storici degli avvenimenti ma raramente l’anno solare esatto: non segue il calcio, non come noi.

Ad esempio, io non sono mica nato nel 1991.
Direi piuttosto che vidi la luce in piena lotta salvezza: Ranieri, gli uruguaiani ed altri signori attaccati alla maglia, tipo mio padre, stavano disputando un girone di ritorno da record, e attorno al mio battesimo avrebbero ottenuto la permanenza in Serie A.
Oppure, non so, potrei raccontarvi che iniziai ad andare a scuola nello stesso anno in cui vidi il Cagliari allo stadio per la prima volta: Cagliari-Lucchese al Sant’Elia, nell’anno della promozione targata Ventura, di FIFA ‘98, Song 2 dei Blur e una versione giurassica di Windows.
Il mio primo bacio? Nulla di più facile.
Era il 2005, e so anche che doveva essere il 7 gennaio, poiché la sera prima una pessima Lazio trascinata da Di Canio aveva vinto per 3-1 un derby dell’Epifania contro gli odiati cugini giallorossi.

Voglio dire, ci sono mille indizi, come si può sbagliare?
Se ti hanno regalato una maglia rossoblù con lo sponsor Dahlia TV (qualcuno ha poi visto davvero qualche partita del Cagliari su questo simpatico canale digitale?), quello non potrà essere stato il Natale del 2013, diamine! Dahlia TV non solo era fallita, ma aveva lasciato spazio alla Regione Autonoma sull’addome dei nostri beniamini.

Ammetto di vergognarmi un po’ per tutto questo.
Soprattutto quando sento che i check point dei miei interlocutori sono ben diversi, tipo: “Me lo ricordo perché quell’anno operarono mio padre” o ancora “… Sì perché era il periodo in cui Al Qaeda aveva appena tirato giù le Torri Gemelle” (vabbè, così si pensava all’epoca…), e via dicendo.
A quel punto, capita che eviti di controbattere con “ti sbagli, nel 2001 eravamo in Serie B”, perché per me il calcio sarà anche questione di vita o di morte, ma devo sempre tenere a mente che – per i più – resterà solo “la cosa più importante tra quelle meno importanti”.

Cambierò mai? Temo di no.
Insomma, un fenomeno di massa che entra così facilmente nel cuore della gente avrà ottime possibilità di restare incastonato anche nel cassetto dei ricordi di ognuno di noi.
Non biasimateci, voialtri benpensanti, quando pensiamo al calcio anziché all’ultimo attentato o all’imminente manovra di governo.
Piuttosto, Dio – o chi per lui – benedica questo sport che ci fa ancora sognare.
Questo “gioco”, come lo chiamate voialtri, che ci fa dimenticare di vivere in un mondo cattivo, pieno di egoismo, sete di potere, avarizia, violenza, paura.
Se fosse solo un gioco, credetemi, non avrebbe un ruolo così determinante nelle nostre vite.

Cambierò mai, dunque? No.
Continuerò a pensare alle statistiche con precisione degna di Dustin Hoffman in Rain Man, per ricordarmi delle più ortodosse unità di misura del tempo.
Anche se avrò 50 anni.
Pardon, 50 campionati, o 12 Coppe del Mondo.

Andrea Valentini