Ultimo Tango a Cagliari | Emozioni, ricordi, deliri in rossoblù a cura di Andrea Valentini.
“Olé!”
Il grido scanzonato di una voce bianca rompe il religioso silenzio.
Lo scenario?
Cagliari, Sardegna, Italia.
Nella fattispecie: una bollente stanza adibita a sala video, adiacente il campo d’allenamento del Cagliari, sul lungomare Poetto.
La data?
Tanti martedì pomeriggio, negli ultimi mesi del 1990.
Ovvero, durante le noiose riunioni tecniche, atte a rivedere la gara della domenica, per capire cosa va e cosa non va (in quel momento, ahinoi, troppe cose).
Dicevamo: “Olè!”
Torna a gridare qualcuno, nascosto nel buio.
Ma chi è? In molti si girano, qualcuno sghignazza perché un’idea se l’è fatta.
Solo un uomo ha ben chiaro di chi si tratti, e non fa una piega.
Il giovane allenatore testaccino, reduce da due promozioni consecutive sulla panchina del Cagliari, non si abbatte per l’inizio di stagione deprimente, e riprende a spiegare.
Spiega, spiega, spiega.
A Festa e Valentini, marcatori per vocazione, fa presente che sì, sono stati attenti, ma in Serie A basta una mezza distrazione perché uno come Klinsmann ti esulti in faccia.
Cerca di convincere Matteoli e Francescoli che in un’orchestra che funzioni, certe volte, c’è bisogno di due primi violini.
Mostra a Daniel Fonseca che i suoi movimenti sono ancora troppo istintivi per poter impensierire le difese avversarie.
Ogni tanto, il proiettore mostra un cambio di gioco perfetto, una scivolata con grande scelta di tempo, una giocata di fino da parte di uno dei subentranti.
E, puntualmente, si sente: “Olé!”.
“Pepe, smettila” si scoccia Ranieri, e giù tutti a ridere.
Pepe altro non è che un nomignolo, un’abbreviazione (come il nostro “Beppe”) per José Oscar Herrera, lottatore uruguaiano sbarcato a Cagliari con El Principe Francescoli ed il giovane Fonseca dopo aver disputato il Mondiale di Italia ‘90 con la Celeste.
Di professione centrocampista, ma in realtà il Mister, per provare a giustificare l’investimento e la sua presenza in rosa, lo schiera un po’ ovunque.
Terzino sinistro (tremenda lacuna di quel Cagliari a.P., “avanti Pusceddu”) a piede invertito, mediano, mezzala, perfino stopper in caso di difesa a cinque.
Il guaio – almeno per Claudio Ranieri – è che Pepe è molto amato non solo dai compagni per il suo genuino carattere latino, ma ben presto anche dai tifosi, che notano la sua tendenza a sacrificarsi, a non mollare un centimetro, a non tirare indietro la gamba in un contrasto neanche per sogno.
In più, ha invidiabili doti tecniche, sa giocare il pallone e calcia meravigliosamente le punizioni, sia di prima che di seconda.
Insomma, se nei primi mesi Fonseca è un oggetto misterioso e Francescoli, complice una fastidiosa microfrattura, fatica ad adattarsi ai ritmi del calcio italiano, è proprio Herrera a trainare moralmente i connazionali, con il suo sorriso da bravo ragazzo che nasconde una cattiveria agonistica con pochi eguali (insomma, quella cosa che oggi Lele Adani ci dice chiamarsi “garra charrùa”).
Sorride Pepe, con quella faccia pulita, tanto poi se c’è da darti una randellata non si fa pregare.
E, soprattutto, chiede spazio.
Non importa dove, sa di meritarselo.
Così, importuna simpaticamente l’allenatore romano durante le sue soporifere video analisi.
“Olé!” e sottolinea la sua giocata.
Ranieri risponde piccato ma sa che quel ragazzo gli serve.
Lo utilizza, dapprima col contagocce, poi con continuità, nel ruolo di scudiero di capitan Matteoli, laddove non avevano convinto De Paola e Coppola.
Non che si limiti all’oscuro lavoro di interdizione, a una vita da mediano a recuperar palloni etc etc!
Gol su punizione all’Olimpico contro la Lazio, che vale un punto d’oro in extremis, oltre alla sua presenza fissa nell’undici titolare.
E, nel finale di campionato, dopo una commovente rimonta con girone di ritorno da lotta Scudetto, peseranno eccome i gol di Pepe contro il Lecce, la Fiorentina ed il Parma.
Gol di rabbia, come quando spacca la porta in pieno recupero contro i ducali.
Gol che festeggia correndo come un invasato con le braccia al cielo, per poi abbracciare i tifosi della Nord.
Genuino, dicevamo. Impossibile non amarlo.
E Cagliari, difatti, lo ama.
Lo ama anche Massimo Cellino, che lo elegge suo calciatore preferito della squadra, quando subentra ad Orrù quale presidente del Cagliari.
Di più, il patron ne impone la presenza in ritiro a Carletto Mazzone, che aveva deciso di “tagliarlo” in quanto fuori dai suoi piani tattici.
Nemmeno a dirlo, Sor Magara prima lo accoglierà con la cordialità degli uomini d’altri tempi, poi si cospargerà il capo di cenere facendone un perno del centrocampo del Cagliari più bello degli ultimi 40 anni, quello che si qualificherà per la Coppa UEFA, oltre ad onorarla arrivando alle soglie della finale, sempre con Pepe a lottare per i nostri colori.
Ma questa, dolceamara, romantica, tutta cagliaritana, è ben altra storia…
Lunga vita a Pepe, l’uomo che nessuno voleva ma che tutti finivano per far giocare tutte le domeniche.
Ah, e naturalmente:
Avanti Cagliari!
Andrea Valentini