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Tra speaker e parole al vento

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Ore 22.35 di domenica 26 maggio. Il Cagliari ha appena concluso il campionato offrendo l’ennesima prova scialba di un’annata mediocre.

La squadra si raduna a metà campo, davanti ai pochi eroi ancora presenti sugli spalti dopo aver resistito a oltre tre ore di pioggia, mentre lo speaker annuncia, con tono trionfale: “RINGRAZIAMO I CALCIATORI CHE CI HANNO GARANTITO ANCHE PER L’ANNO PROSSIMO LA PERMANENZA IN SERIE A”. Un ringraziamento opportuno come un canguro in uno scantinato di un metro di altezza.

Il risultato minimo che si tenta ancora una volta di spacciare come grande trionfo, quasi a certificare una mentalità limitata difficile da scrollarsi o, ancor peggio, comoda da cavalcare. Un non gioco elementare e soporifero, corroborato da qualche impennata di ardore agonistico: tanto è bastato per salvarsi. Per quanto visto in campo a livello di prestazioni, concetti e atteggiamento mentale, squadre come Parma, Genoa e lo stesso Cagliari avrebbero meritato la retrocessione, così come l’Empoli della gestione Iachini. Di certo non quello di Andreazzoli.

Così è passata un’altra stagione, con l’amara sensazione finale di non aver gettato – nemmeno stavolta – basi concrete su cui costruire un futuro migliore. Sia a livello sportivo, con una gestione spesso indecifrabile e incomprensibile (talvolta figlia della casualità del momento), sia nella guida tecnica e nella gestione del mercato. A livello societario, poi, con l’ennesimo slittamento della tabella di marcia sul nuovo stadio e l’aggiunta dell’immancabile frase “La Sardegna Arena è un gioiellino per cui riceviamo copiosi complimenti”.

A riguardo sarebbe opportuno chiedere ai presenti domenica sera nelle due curve e nel settore Distinti, quanto abbiano apprezzato il tanto decantato gioiellino che, alle soglie del 2020 (anno del Centenario), quando il tempo si dimostra inclemente (come domenica), costringe il tifoso a essere ostaggio della pioggia. Si dirà, sul fattore climatico un club calcistico può fare ben poco. Ma cominciamo a dare alle cose la propria definizione: la Sardegna Arena (detto da chi c’è stato più di una volta) è formata da nient’altro che una decorosa tribuna coperta, attorniata da tre settori in tubi innocenti (scomodi, peraltro) e nulla più. Dove ci si bagna quando piove e ci si ustiona quando picchia il sole. Non un gioiellino, ma solo una sistemazione provvisoria, che si spera rimanga tale.

A conclusione della stagione appena andata in archivio, permane la fastidiosa sensazione di aver assistito, ancora una volta, a qualcosa di incompiuto. Di aver ascoltato frasi a effetto, con l’impressione di doverle necessariamente accogliere come oro colato ma poi, puntualmente, smentite dai fatti. Un discorso valido per il tema stadio, così come per quanto dimostrato dalla squadra sul campo e quanto, soprattutto, per i propositi bellicosi di decimo posto alla vigilia del match contro l’Udinese, tramutatasi poi magicamente in partita inutile dopo la sconfitta.

Mirko Trudu