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Francesco Loi, mister della Costa Orientale Sarda | Foto Costa Orientale Sarda

Serie D | Loi: “Costa Orientale Sarda, è stata una grande stagione”

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Salvezza con un turno d’anticipo, valorizzazione di tanti talenti del territorio, abbraccio della gente. Da qualche settimana si è chiusa la prima stagione in Serie D in casa Costa Orientale Sarda e ora è tempo dei primi bilanci.  L’allenatore gialloblù, Francesco Loi, ha parlato a bocce ferme dell’annata del nuovo progetto che lega Sarrabus e Ogliastra. Tra i temi trattati ai nostri microfoni, il tecnico di Loceri ha ripercorso le tappe principali della stagione della sua squadra, culminata con la salvezza diretta nel girone G della Serie D. Queste le sue dichiarazioni.

Mister Loi, al termine di un’annata vissuta a mille all’ora, finalmente riusciamo a vederla un po’ più rilassato.

“Siamo arrivati a fine stagione dopo aver raggiunto l’obiettivo salvezza, ora possiamo anche rilassarci per poi ripartire più carichi di prima (sorride, ndr). È stata un’annata eccezionale, dopo tante stagioni ricche di risultati raggiunti e traguardi tagliati penso che questo sia stato l’anno più bello. Si è creato qualcosa di importante e si sono messe delle basi per fare bene in futuro: questa è una realtà che è nata dal nulla, portandosi dietro un titolo sportivo importante (quello del Muravera, ndr), cambiando però totalmente mentalità, indirizzi e obiettivi. È stato un anno faticoso e difficile, ma allo stesso tempo esaltante e ci ha regalato tantissima soddisfazione”.

Abbiamo deciso di rivivere il film della stagione utilizzando le tue parole ai nostri microfoni nei tanti post-partita di questi mesi.  Cominciamo dall’amichevole del 6 agosto 2022 contro l’Olbia: “Questa squadra dovremo scoprirla pian piano, lo scopo è far diventare il territorio alla pari delle grandi piazze che troviamo in trasferta”. Quanta paura c’era allora nel pronunciare parole pesanti come queste?

“Più che paura parlerei di incoscienza (sorride, ndr). In quell’occasione andammo a Olbia dopo soli cinque giorni di preparazione, a differenza loro che invece avevano già un mese di allenamenti nelle gambe. Giocammo per circa 70-80 minuti in inferiorità numerica per l’espulsione di Piredda, una situazione particolare in amichevole. Sotto certi aspetti, però, già allora è emersa sia la qualità dei ragazzi, sia a livello tecnico che di attaccamento alla maglia, nonostante una sola settimana di lavoro. Ma soprattutto la grande capacità di credere in qualcosa di nuovo, nonostante qualche dubbio e perplessità iniziali: grazie a una grande curiosità si sono tutti allineati subito alle direttive della società e ai suoi obiettivi. Quel giorno, sorprendentemente, si è vista una squadra molto forte, ben messa in campo, con grandi qualità individuali e spirito di sacrificio, tanto che siamo riusciti a portare a casa un pareggio contro una squadra di categoria superiore come l’Olbia. Tutti noi conosciamo bene la differenza tra dilettantismo e professionismo, ma è ovvio che alla base di quel risultato ci sia stata la grande voglia del gruppo di mettersi in mostra. In più sappiamo bene che un’amichevole estiva contro Cagliari o Olbia non fa testo, perché i giocatori tendono a dare anche più di quello che hanno in quel momento, però i segnali erano buoni. In quel momento anche quella partita ha rinfrancato tutti coloro avevano scommesso in questo progetto, dando la fiducia nel credere di poter fare una stagione importante”.

Passiamo all’esordio casalingo a Is Arranas, l’11 settembre 2022 contro il Pomezia. Quel 2-5 è stato il punto più basso della stagione?

“È stata una gran lezione, nel senso che ha portato tutti a capire quale fosse il livello del campionato. Ricordo che durante la settimana passai più tempo a riportare qualcuno sul pianeta Terra che a far l’allenatore. Noi non conoscevamo il girone, chi ci circondava non conosceva la categoria e ai più tutto inizialmente sembrava molto semplice. Continuavo a dire ai ragazzi: “Occhio, voi non sapete di che livello stiamo parlando. Quest’anno dobbiamo soffrire”. Ma non lo facevo per scaramanzia o per usare le solite frasi fatte. Ero sicuro che avremmo sofferto tantissimo: nel momento in cui sono stati fatti i gironi, conoscendo da anni questo livello di calcio e rispettive rose, allenatori, piazze e società, avevo grandissima difficoltà a trovare sei squadre da mettere dietro di noi in classifica. Qualcosa che negli altri anni non succedeva, perché il livello era più semplice. La partita con il Pomezia è stata uno schiaffo. Però, paradossalmente, parlando il martedì successivo con il mio vice Antonio Carta, gli dissi: “Il Pomezia è la dimostrazione del livello di difficoltà di questo campionato”, grazie a un reparto d’attacco fortissimo e ancora: “Sarà una delle nostre contendenti per la salvezza”. Quel giorno sembrava che giocasse il Real Madrid contro l’Armata Brancaleone. Quella gara ci è servita da lezione, ha riportato tutti sul pezzo e ha fatto capire che da lì in avanti ci sarebbe stato da sputare sangue. Probabilmente è anche grazie a partite di questo genere se poi siamo riusciti a fare un girone di ritorno con ambizioni e una mentalità rinnovata, perché dalle sberle ci siamo sempre rialzati. Il campionato ha raccontato questa storia. Le mie dichiarazioni post Pomezia viste oggi? Nelle mie affermazioni c’erano anche delle supposizioni, per cercare di leggere qualcosa che non si conosceva benissimo. Sorrento e Paganese non erano mai state nel girone, il Tivoli era una realtà poco conosciuta. Poi però, per come si è delineato, il campionato ha esattamente espresso quelle che erano state le mie dichiarazioni, in modo più pesante di quanto si pensasse. Oltre al peso delle piazze, ci siamo trovati ad affrontare una diversa forza sia tecnica che economica: parlo per tre squadre sarde su quattro, ovvero Atletico Uri, Cos e Ilvamaddalena che viaggiano in un binario, l’Arzachena potenzialmente viaggia su un altro. C’era una disparità enorme, nonostante la nostra rosa fosse di tutto rispetto per il campionato. Ma non basta, perché in questo campionato tutto il contorno fa la differenza: la forza della società, dei tifosi, della storia di una piazza pesano. Questo è stato il livello del girone G, non c’è stata una partita scontata e ogni singolo punto ognuno se lo doveva sudare: ogni sconfitta ti riportava dal centro classifica al fondo, non è facile affrontare situazioni simili se non sei molto forte mentalmente e hai alle spalle una società forte che non si fa abbindolare alla prima sbandata”. 

Facciamo un salto di due mesi: a novembre è arrivato forse il successo più prestigioso dell’annata, il 3-1 casalingo contro il Sorrento. Eppure lei ha usato queste parole: “Finché ci sarò io in panchina, nessuno si dimenticherà quell’ultimo posto in classifica, che è scolpito in spogliatoio. È qualcosa che serve, perché un progetto nuovo ha bisogno di tempo, perché siamo gli ultimi degli ultimi: siamo gli ultimi arrivati, con una rosa di giocatori fatta per il 95% da giovani sardi, senza un pedigree griffato. Siamo qui per far crescere l’ambiente con qualità e umiltà”.

“Sono parole che dicono tanta verità, a partire dal 95% della rosa composta da giocatori sardi. Quando siamo arrivati a Muravera, nelle due stagioni precedenti la società prima si era salvata per un punto, poi era retrocessa in Eccellenza perdendo la finale playout. Durante la nostra esperienza abbiamo conquistato un settimo, un ottavo e un nono posto. Sicuramente, però, non era mai successo che avessimo una rosa composta per il 95% da giocatori sardi: questo tipo di filosofia era esattamente uno dei nostri obiettivi, e lo sarà anche nel prosieguo della nostra avventura in categoria. Ovvero dare la possibilità a chi generalmente non ne ha di poter emergere in un campionato dilettantistico, ma alle soglie del professionismo. Inoltre, uno degli aspetti che ha caratterizzato la nostra esperienza a Muravera è stato il valorizzare ogni anno diversi under, che la stagione successiva spesso e volentieri diventavano oggetto della spesa da parte di club economicamente più forti e ambiziosi. Checché se ne dica, tanti di quei giovani sono poi andati a fare campionati importanti, spesso tra i professionisti, giocando da titolari. Il lavoro fatto in passato sui ragazzi è stato importante, quest’anno ripartivamo totalmente da zero e, come ogni anno, abbiamo preso molti “signori Nessuno” e li abbiamo fatti diventare giocatori perlomeno di questa categoria. E penso che in molti stiano osservando i ragazzi che hanno fatto qui il percorso da under. Il senso di quello che dissi allora è questo: il nostro progetto in quel momento aveva alcune difficoltà, la più grossa era la mancanza di esperienza in categoria di quattro o cinque elementi tra gli undici che scendevano in campo. Esperienza che si sarebbero dovuti costruire solo giocando partite determinanti per rimanere in Serie D: ecco perché sapevo che avremmo dovuto sudare  “.

Se quella con il Sorrento è stata la vittoria più prestigiosa, il 3-4 di Pomezia è senza dubbio quella più pazza. Dopo il ko dell’andata, è stata per voi una sorta di legge del contrappasso?

“È stata la dimostrazione di una legge non scritta del calcio, di quelle che non si dicono mai ma che tutti pensano. Chi ha fatto calcio lo sa: quando prendi una sberla in casa come è successo a noi con il 2-5 dell’andata, al ritorno scendi in campo con una fame agonistica devastante, fuori dal normale. Nonostante questa voglia, però, dopo venti minuti eravamo sotto di tre gol. In quel momento erano due le strade da percorrere: cercare di limitare i danni, oppure tentare di fare il miracolo, provando l’impossibile. A dieci minuti dalla fine del primo tempo siamo riusciti a segnare su palla inattiva, replicando con Mattia Floris il gol fatto una settimana prima contro l’Arzachena. Siamo rientrati negli spogliatoi sul 3-1: paradossalmente, nel calcio tra 3-0 e 3-1 c’è una grandissima differenza. Tanto che nella ripresa prima abbiamo segnato il 3-2, poco dopo è arrivato il 3-3. Loro sono crollati, sono spariti totalmente dal campo e abbiamo trovato il definitivo 3-4, ma potevamo fargliene otto. Quella è stata la gara della svolta, perché abbiamo tolto certezze a una diretta concorrente per la salvezza, fin lì molto spavalda. Non dimenticherò mai quando Nanni (attaccante del Pomezia, ndr) nel match di andata, sullo 0-4, da classico giocatore esperto e convinto di sé si avvicinò alla panchina dicendomi: “Mister, tu parli così solo perché stai rosicando perché perdi 4-0 con quattro pappine”. Io, che ero intervenuto solo per difendere l’orgoglio personale dei miei ragazzi, gli risposi: “Ricordati che il campionato non finisce oggi, alla seconda giornata”. Al triplice fischio della gara di ritorno, dopo la nostra vittoria, lo stesso giocatore non ha avuto il coraggio di alzare lo sguardo e stringermi la mano, perché magari da me si aspettava la stessa risposta. Ma il calcio è questo: è uno sport che ti toglie qualcosa, ma ti ridà sempre la possibilità di rifarti. Quella partita ha rappresentato per il Cos non un campionato vinto, ma quasi”.

Spesso avete dovuto affrontare squadre decisamente più blasonate di voi, con annesse decisioni arbitrali costantemente a favore delle big. Quante volte vi siete sentiti Davide contro Golia?

“Tante, tantissime. Faccio un esempio: la sconfitta contro la Palmese nel girone d’andata, in un momento in cui loro stavano andando molto bene. Abbiamo fatto la partita per 45 minuti, poi sul finire di primo tempo Simone Pinna (oggi alla Tharros, ndr) ha subito un fallo assurdo mentre proteggeva la palla e su quell’azione abbiamo preso gol. Una cosa impossibile da non fischiare. Da là è cambiato il trend. Abbiamo fatto tante partite dove i nostri attaccanti sono stati penalizzati, in particolare Sergio Nurchi che non ha di per sé una struttura fisica imponente. Lui è un giocatore molto veloce, ma ha una caratteristica : non simula mai. In questa stagione, gli sono stati negati forse dieci rigori netti. Però fa parte del gioco, piangersi addosso non aveva senso. Io ho tenuto i nervi saldi fino a quando ho potuto, ma poi sentendo le dichiarazioni di tutti i miei colleghi dove ognuno invocava giustizia arbitrale, abbiamo dovuto prendere una posizione netta, seppur inutile dal punto di vista pratico. Però volevamo far capire a tutti che quel che stava succedendo non lo avremmo subito in silenzio. Al di là di tutto, c’è poi una curiosa coincidenza: alla settima del girone d’andata eravamo ultimi in classifica, alla settima del girone di ritorno dopo 35 minuti di partita eravamo sotto 1-0 e con l’uomo in meno. Nuovamente ultimi in classifica, a distanza di un girone. Eppure, siamo riusciti a vincere quella partita, in 10 contro 11. Non chiedermi come, ma nel secondo tempo i ragazzi sembravano essere in 15 in campo e loro in 7. Quel successo, all’epoca, ci avrebbe potuto far rimbalzare verso le alte posizioni in classifica. Tuttavia, con i due match persi contro Sorrento e Paganese, le prime della classe a pari punti, ci venne tolta qualsiasi possibilità di ambire a un piazzamento a ridosso dei playoff. Le due sconfitte consecutive ci fecero capire: “Ragazzi state belli calmi, il vostro obiettivo in campionato è la salvezza”.

Il 30 aprile ecco la tanto agognata salvezza matematica: Cos-Tivoli 4-3. Nelle sue parole di commento ha detto:“Per noi era l’anno zero. Rifarei tutto quello che ho fatto. Il nostro merito è stato quello di aver messo in piedi in 10-15 giorni una rosa altamente competitiva per la categoria, cercando di tenere dei saldi principi come valorizzare i ragazzi sardi, avere un grande cuore, fare una squadra prima di tutto di uomini e poter continuare a intraprendere un percorso che continuerà a darci delle soddisfazioni. Rappresentiamo un intero territorio”Qual è, quindi, il bilancio di Francesco Loi dopo questa stagione?

“Sono orgoglioso e più che soddisfatto, ma prima di tutto grato a tutte le persone che ci hanno dato una mano concreta per poter far sì che questo progetto potesse sopravvivere. Abbiamo fatto, come società, il record di contratti di sponsorizzazione e anche quello relativo agli incassi, decisamente superiori rispetto al quadriennio Muravera considerando anche il campionato vinto in Eccellenza. La struttura societaria, così come l’immagine del brand a livello di marketing, hanno avuto una crescita impressionante. Dal punto di vista tecnico, la squadra ha fatto dei passi in avanti giganteschi. Come dissi poco meno di un mese fa, rifarei tutto quello che ho fatto ma sono soprattutto orgoglioso di quanto fatto dai ragazzi e anche dalla società. Sono orgoglioso di aver potuto contare sul supporto reale, non fittizio, della parte che riguarda l’economia del territorio, che ci ha dato supporto e permesso che società e squadra crescessero e affrontassero il campionato con il massimo della serietà e il rispetto di tutti gli impegni presi con chiunque. Ma soprattutto ha messo le basi perché il progetto possa migliorare. Io non posso dimenticare un’affermazione, un attacco gratuito che mi venne fatto su Facebook da parte dell’assessore allo Sport del Comune di Muravera dove diceva, in poche parole: “Gli avvocati devono fare gli avvocati, gli ingegneri devono fare gli ingegneri, i presidenti devono fare i presidenti e gli allenatori devono fare gli allenatori e se poi non raggiungono gli obiettivi che si prefissano devono chiedere scusa”. Io non faccio l’avvocato, né l’ingegnere o il tecnico: io faccio l’allenatore, come mi pare e piace, perché non c’è una regola che definisca il modo migliore di farlo. Lo faccio da vent’anni, ma una cosa è sicura: le cose le dico e le faccio. Il 20 ottobre 2022 era stato garantito che il 30 giugno 2023 sarebbe stato pronto il campo di Muravera: sono stati esclusi anche dal bando “Sport e periferie”, o meglio non fanno proprio parte della lista. La notizia di qualche giorno fa è che il Comune di Muravera in data 19 maggio 2023 ha fatto una delibera dove “pensa” di fare domanda per poter accedere a un finanziamento per progettare un campo sportivo. Stiamo parlando, a un anno di distanza dal nostro trasferimento, di una situazione uguale a quella che si presentava il giorno che noi siamo dovuti andare via da Muravera. Io, a questo punto, mi porrei un problema: noi come società e squadra abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo fissati, anzi molto meglio della più rosea aspettativa. Gli assessori devono fare gli assessori, se hanno la delega allo Sport devono dare risposte e prendersi le responsabilità. Io ci ho sempre messo la faccia in prima persona, mi farebbe piacere se qualcun altro ce la mettesse, evitando di raccontare balle alla gente. Perché alle balle ormai non crede più nessuno, perché nella vita contano i fatti e questi dicono che la situazione per la quale noi siamo andati via da Muravera è addirittura peggiorata rispetto ad allora, per quanto fosse difficile che peggiorasse ancora, perché il 30 giugno prossimo scadrà la deroga che dice che non sarà più possibile esercitare alcun tipo di attività sportiva su quella struttura. Noi abbiamo la fortuna di avere al nostro fianco un’amministrazione comunale, quella di Tertenia, che è stata lungimirante: ci ha accolto a braccia aperte e che ci ha permesso di disputare un campionato a livello nazionale, cosa che fino a qualche tempo fa sembrava impensabile. Invece abbiamo dimostrato che si può far calcio a Tertenia e che lo si può fare con persone serie, che si può avere un dialogo con tutti e anche sbagliare, riconoscendo i propri errori. Noi quando sbagliamo lo riconosciamo con obiettività, però cerchiamo sempre di migliorarci. Non mi è piaciuto questo tipo di atteggiamento, dove si è cercato di scaricare delle responsabilità non nostre sulle spalle di questa società, che ha un grandissimo merito: aver salvato il lavoro di anni ricchi di sacrifici, nei quali l’amministrazione comunale di Muravera ha partecipato ai sacrifici della squadra di calcio per lo 0,05 per cento. Quindi il diritto di parlare è esattamente lo stesso, in percentuale, di quanto hanno partecipato a livello di sacrifici. Parole 0,05 per cento, silenzio e magari un po’ di riflessione farebbe bene a tutti”. 

La prima stagione è andata in archivio, ma ora è già tempo di programmazione, in vista della prossima. 

“Il mio ultimo giorno di riposo dal calcio risale al 2019 (sorride, ndr). Purtroppo o per fortuna, la nostra società è fatta di gente che dal giorno successivo alla salvezza sta pensando a costruire la prossima stagione. Con un grandissimo vantaggio, rispetto allo scorso anno, che è quello di avere molto più tempo a disposizione, con una casa e una struttura avviata. Siamo consapevoli dei nostri limiti che si sono palesati in alcune situazioni anche quest’anno, ma non per incapacità quanto per il nostro bisogno di crescere, sia nello staff tecnico e quindi a partire dall’allenatore, sia nella parte organizzativa. Stiamo lavorando tanto su questo più che sulla squadra, per strutturarci con delle figure importanti a livello organizzativo e di staff: sicuramente, in tal senso, ci saranno grandi novità. Ma le novità riguarderanno anche il progetto in sé, nato per rappresentare un territorio e valorizzare le realtà locali, intendo tutte coloro che fanno parte a livello geografico del Costa Orientale Sarda, quindi non solo Sarrabus o Ogliastra, ma una bella fascia della costa orientale. Come la rappresentano altre realtà come Villasimius, Dorgali o San Teodoro-Porto Rotondo. Noi in questo momento abbiamo “il peso” di rappresentare, da Sassari in giù, buona parte della Sardegna e su questo continueremo a lavorare. Lo faremo partendo dal basso, quindi dai bambini. Il prossimo passo che farà questa società sarà quello di andare nelle scuole con progetti mirati, a riportare i bambini e le bambine al divertimento puro del calcio. Il mondo è cambiato e noi dobbiamo essere al passo con i tempi, capendo che oggi il calcio è ancora uno sport fortemente maschile ma la componente femminile a breve diventerà quantomeno paritaria. Magari non tra un giorno, ma ormai è una strada tracciata che non si fermerà mai e siamo tutti contenti e felici che questo accada. A tal proposito, voglio raccontare un aneddoto relativo all’ultima trasferta in campionato: eravamo in ritiro nello stesso albergo di Paganese e Napoli Femminile, due squadre che si stavano giocando rispettivamente il campionato di D e di Serie B Femminile. In quell’occasione, notammo come l’approccio delle ragazze partenopee fosse esattamente uguale a quello di una squadra quotata e importante come appunto la Paganese. Dieci anni fa ci sarebbe stata una differenza incredibile, ma la struttura organizzativa del Napoli Femminile era dello stesso livello di quella della Paganese. Entrare nelle scuole per ridare entusiasmo ai bambini e riportarli al campo o a giocare per strada, lasciando qualche ora il telefono da parte. Non ci interessa creare campioni, ci interessa creare sociale. E questo lo hanno capito tutte le realtà commerciali e imprenditoriali del territorio, per questo ci stanno supportando. Abbiamo lasciato tutto sul sociale, con una marginalità di crescita importante: su questo dobbiamo lavorare, senza mai montarci la testa o abbatterci nei periodi positivi e negativi che fanno parte del calcio e dello sport”.

Chiudiamo con uno sguardo al futuro e obiettivi: cosa si devono aspettare i tifosi gialloblù?

“Quest’anno, paradossalmente vista la stagione tribolata, avremmo potuto portare a casa un risultato storico per questa squadra. Se fossimo riusciti a vincere sul campo del Real Monterotondo Scalo saremmo arrivati settimi da soli: l’unica volta che avevamo tagliato un traguardo del genere, ai tempi del Muravera, abbiamo chiuso a pari punti con il Lanusei, ma per differenza reti siamo arrivati ottavi. Avremmo potuto fare la storia, ma abbiamo preferito goderci un pranzo a base di pesce a Roma, a ridere e scherzare dopo una stagione di sacrifici. Abbiamo festeggiato perché i risultati vanno festeggiati, perché il calcio è un gioco che ti dà felicità nelle vittorie e tristezza nelle sconfitte. Abbiamo lasciato da parte il risultato sportivo, rispetto al risultato che a noi interessa di più per quello che siamo noi e per quello che valiamo. Dentro il nostro spogliatoio ci sono uomini prima ancora che calciatori: tutte le cose si vivono con molta professionalità, ma anche con lo spirito del dilettante, perché questa è la nostra realtà. Non dobbiamo cercare di scopiazzare chissà chi, noi dobbiamo creare la nostra identità. Ne abbiamo una e su questa possiamo lavorarci. Da questo punto di vista, i ragazzi sono stati fenomenali, dentro il nostro spogliatoio c’era di tutto (sorride, ndr): mi sono divertito molto a osservarli. C’è il 15enne e il 40enne, ci sono tre o quattro religioni diverse, ci sono colori, tradizione e tanta dignità, oltre alla serietà. E soprattutto i panni sporchi ce li siamo sempre lavati in casa, una grande lezione di crescita soprattutto per i più giovani. Al risultato abbiamo partecipato tutti, ci sono tante persone che hanno lavorato materialmente gratis e sono coloro che ringrazio di più: dal nostro cuoco al nostro lavapiatti, tutte persone che nella vita hanno una posizione diversa, che non hanno avuto problemi ad alzare le maniche della camicia. Il nostro magazziniere ha 77 anni ed è una persona che abbiamo portato con orgoglio in giro per l’Italia. I calciatori e i dirigenti sono stati bravissimi, perché questo era un anno dove si poteva benissimo retrocedere a picco e far finire tutto, invece si lascia una base solida da cui ripartire”.

Una cosa difficilmente migliorabile però c’è: il vostro terzo tempo…

“Eh no, miglioreremo anche in quello (ride, ndr), anche se lì il livello è molto alto: è un tre stelle e mezzo che vorremmo portare a quattro (altra risata, ndr). Quello siamo noi: vinto o perso, in tutte le partite di questo campionato e voi ne siete testimoni, abbiamo fatto un terzo tempo più che onorevole. E aggiungo una cosa che mi ha reso molto contento, perché non è affatto scontata: faccio i complimenti alle altre squadre sarde del girone G che hanno raggiunto i propri obiettivi, e un in bocca al lupo a chi non ce l’ha fatta come l’Ilvamaddalena. Sono molto contento dei rapporti che siamo riusciti a instaurare con i dirigenti delle società sarde, in particolare con Atletico Uri e Ilvamaddalena appunto, con i quali abbiamo collaborato sugli aspetti comuni. C’è stato molto dialogo e, soprattutto, molta collaborazione dal punto di vista pratico: sono arrivati molti risultati soltanto perché su alcune cose ci siamo mossi insieme. Questo spirito associazionistico, perlomeno negli aspetti più importanti, spero vada a crescere anche quest’anno e ne son sicuro, perché il ritorno del Latte Dolce in Serie D riporta in categoria persone di un certo spessore a livello di serietà e culturale che ben conosciamo. Persone da cui possiamo imparare tanto soprattutto nell’organizzazione del settore giovanile, perché con i fatti hanno messo in piedi un progetto basato su una squadra giovane con una grande parte di giocatori espressi dalle proprie giovanili e con un allenatore di pochi fronzoli, ma molto abile nella gestione del gruppo. Hanno vinto il campionato di Eccellenza contro una grande squadra come il Budoni, alla vigilia grande favorita del torneo. Da queste realtà dobbiamo imparare, ma c’è grande sinergia e questo spero ci porti a prendere decisioni comuni. Per poter provare, magari un giorno, a cambiare girone e fare un’esperienza diversa da quella di quest’anno, che è stata devastante a livello di trasferte per via dei voli che son sempre meno. L’unica regione con cui siamo collegati bene è la Lombardia, dovremmo almeno cercare di far sentire la nostra voce per poter cambiare”. 

Francesco Aresu (ha collaborato Fabio Loi)

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