Benvenuti in Serie A, atto primo. Potrebbe essere questo il titolo del film visto alla Unipol Domus nella serata di lunedì 28 agosto, il Cagliari di Claudio Ranieri come attore principale e l’Inter di Simone Inzaghi nel ruolo dell’antieroe. Al contrario di quanto accade nel cinema americano, però, questa volta il cattivo ha avuto la meglio e i buoni hanno dovuto semplicemente accettare la realtà: troppa la differenza tecnica, mentale, tattica. Troppo nerazzurro e poco rossoblù, in sostanza. Con aspetti positivi da tenere a mente e diverse difficoltà sulle quali lavorare.
Opposti
Alcune premesse sono obbligatorie. Al netto delle possibili sorprese, come d’altronde accaduto nelle prime due giornate di Serie A, i valori in campo sulla carta non lasciavano troppe speranze. Da una parte i vicecampioni d’Europa, dall’altra una neopromossa. Da un lato un gruppo che nell’undici iniziale aveva nove undicesimi identici alla passata stagione, dall’altra una squadra giovane, con poca esperienza della categoria, con nuovi innesti da miscelare all’esistente e ancora in costruzione sul mercato. E, con questi dettagli davanti agli occhi, la gestione generale della partita e un secondo tempo di solidità e maggiore stabilità – tattica e mentale – non può che essere un aspetto positivo. Il Cagliari contro l’Inter ha rischiato, dopo un primo tempo in apnea, di perdere non solo la partita ma anche per certi versi sicurezze e dignità. Bravo Ranieri a rimettere in sesto la barca in tempesta, bravi i giocatori a ritrovarsi senza andare a un arrembaggio controproducente. Eppure non si può cancellare quanto visto nella prima frazione, peraltro dopo un approccio iniziale che sembrava lasciar trasparire un canovaccio differente. Impatto positivo che si è fermato ai primissimi minuti, qualche fiammata in mezzo a tanta Inter tra due colpi di testa fiacchi di Pavoletti e l’inserimento in verticale di Nández fermato da Calhanoglu. Tanta Inter, appunto. Gli uomini di Inzaghi hanno prima atteso, poi appena trovato la quadra delle distanze e dei punti deboli del Cagliari hanno preso il sopravvento. Battendo la lingua dove il dente rossoblù doleva maggiormente, quella zona di destra della fase difensiva che ha lasciato libertà infinità al trio Bastoni-Dimarco-Mkhitaryan con le incursioni di Lautaro a completare l’immagine. Ed è qui che nascono le perplessità sulle contromisure, perché se è fin troppo facile il gioco del senno del poi sulla formazione iniziale, non lo è quello su correzioni che sono apparse ben presto necessarie per ovviare a una disposizione e a un atteggiamento che lasciavano campo aperto alla corsia mancina nerazzurra.
Ritardo
Ranieri ha scelto il ritorno alla difesa a quattro, un centrocampo sulla stessa falsariga e un attacco da uno più uno atto alla copertura delle fonti di gioco dell’Inter piuttosto che all’offesa della retroguardia nerazzurra. Scelte condivisibili vista la natura dell’avversario, ma che hanno mostrato il proprio lato debole non tanto nei numeri, quanto nell’applicazione. Il tecnico rossoblù ha infatti pensato a una sorta di uomo su uomo, ma rinunciando alla disposizione a specchio. Così se da una parte il trio formato da Jankto, Sulemana e Augello riusciva per certi versi a contenere quello classico di Inzaghi con Darmian, Barella e Dumfries, dall’altra il già citato terzetto Bastoni, Dimarco, Mkhitaryan faceva il bello e il cattivo tempo contro Oristanio, Makoumbou e Zappa. Questione di distanze, di una difficoltà della catena più esterna a scegliere quando e come andare in pressione e con il centrocampista congolese spesso a metà tra la scalata e l’uomo su uomo costante. Una situazione che ha fatto sfilacciare minuto dopo minuto il collettivo e che ha prodotto occasioni in serie per l’Inter. La conseguenza logica è arrivata con il vantaggio, perché quando ti ritrovi a inseguire con leggero ritardo avversari tecnicamente e tatticamente sopra la media, ecco che un anticipo mancato, un passaggio impreciso, un tempo di gioco perso si possono trasformare in un effetto domino che porta alla frittata. Dossena che esce con troppa sicurezza palla al piede, Pavoletti che fa da sponda lunga su Sulemana con un passaggio velenoso, il ghanese preso alla sprovvista che viene contrastato da Thuram, la transizione rapida con Augello che resta a metà, Sulemana che non legge il taglio di Dumfries e Obert che non chiude lo spazio alle spalle del compagno. Ma se un indizio non fa una prova, lo fanno quelli in serie che chiamavano a ciò che è poi accaduto a inizio ripresa. Un cambio tattico e di idee, la fine di una pressione alta e uomo su uomo e l’inizio di un controllo degli spazi a costo di lasciare il pallino all’Inter in tutto e per tutto. Certo, ci sono gli avversari, e nel caso specifico in buona condizione fisica e mentale. Così come la ripresa più tranquilla non può non essere quantificata anche da un’Inter più serena, in controllo. Tutte lezioni da prendere e portare a Bologna, senza dimenticare quelle ormai chiare da tempo su una rosa che ha bisogno di alcuni innesti mirati.
Problemi
Zero reti in due partite e una quantità di occasioni nitide che non arrivano a completare le dita di una mano. Torino in trasferta e Inter in casa non sono passeggiate di salute, ma che il Cagliari abbia bisogno di linfa nel reparto offensivo è evidente. L’infortunio di Gianluca Lapadula solo un’ulteriore segnale, al quale nella serata della Unipol Domus si sono aggiunti i problemi muscolari di Leonardo Pavoletti. Con Ranieri facile profeta quando nella prima conferenza stagionale disse che le sue due punte, in sostanza, avrebbero dovuto fare i conti con l’età e che nuove frecce sarebbero state necessarie. Bene Zito Luvumbo, male Gaetano Oristanio, non può bastare un Eldor Shomurodov al quale sono stati concessi appena dieci minuti – recupero incluso – e che non può essere la soluzione dei mali d’attacco del Cagliari. Nulla di nuovo, insomma, ma con il mercato ormai agli sgoccioli – venerdì 1 settembre la chiusura delle operazioni – la società di Sa Ruina dovrà giocoforza arrivare in soccorso al proprio tecnico. Con una punta che conosca la categoria e che possa garantire gioco collettivo e soprattutto gol. Che sia Andrea Petagna o chi per lui, considerato che in un mondo ideale i rossoblù avrebbero bisogno non di una, ma di due nuovi terminali offensivi. Con l’altra nota dolente – l’assenza di alternative nella retroguardia – che è ormai superata con gli arrivi di Hatzidiakos e Wieteska, il primo pronto a unirsi al gruppo dopo la sosta per le nazionali e il secondo per il quale ogni ora potrebbe essere quella buona. Il resto è un’attesa generale che riguarda diversi nuovi innesti, chiamati a trovare la condizione migliore per dare a Ranieri le scelte delle quali ha bisogno. Jakub Jankto ci ha provato, ma è evidente che manchi la brillantezza. Matteo Prati avrà bisogno di tempo sia per adattarsi alla nuova categoria sia perché l’estate da separato in casa alla Spal lo fa partire con un ritardo sostanziale. I giovani e gli esordienti in Serie A dovranno accumulare esperienza, sbagliando e imparando dagli errori. Shomurodov dovrà salire progressivamente di condizione, mentale e fisica, in attesa del compagno – o dei compagni – in arrivo dal mercato. Mancosu e Lapadula recuperare dai rispettivi infortuni. E infine sarà necessaria pazienza, del gruppo e dell’ambiente ché a Ranieri non manca affatto. Perché il calcio d’agosto, per quanto ufficiale, resta atipico e non reale espressione dei valori sul medio lungo termine. E perché dopo una rivoluzione necessaria e la scelta di ripartire da tanti giovani – sia anagraficamente che per esperienza in A – la calma e il sangue freddo sono condizioni necessarie per non buttare via bambino e acqua sporca.
Matteo Zizola














