Quinta puntata della nuova rubrica di Centotrentuno: una serie di interviste a personaggi e protagonisti dello sport sardo, con un excursus che parte da un evento del passato per poi arrivare a chiacchierare di presente e futuro.
Centocinquantotto partite e sessantaquattro gol in maglia rossoblù. Sono questi i numeri lasciati nel suo passaggio in Sardegna da Roberto Muzzi, bomber laziale che nella seconda metà degli anni Novanta è diventato ben più di un semplice giocatore per tanti tifosi cagliaritani. Protagonista sin dal suo arrivo in Sardegna nel 1994 nel tridente con Lulù Oliveira e Dely Valdes, ma soprattutto deciso nel voler rimanere nell’Isola dopo lo spareggio del San Paolo del 1998 per riuscire a riportare subito il Cagliari in Serie A. E proprio nella stagione del ritorno nella massima serie, Muzzi fu decisivo in uno dei successi più importanti, il primo in trasferta dell’annata, proprio contro la Salernitana. Una partita da cui siamo partiti per arrivare a parlare del presente rossoblù.
3 gennaio 1999. Cagliari in svantaggio nel primo tempo fino al pareggio di Macellari, poi nel secondo una sua doppietta che significò 1-3 e la prima vittoria in trasferta di quel Cagliari con Gianpiero Ventura in panchina. Che ricordi ha di quella partita?
“Ho bellissimi ricordi di quella partita, perché era davvero delicata. Per noi era importante vincere, l’ambiente era veramente ostico con lo stadio tutto pieno. Loro proprio grazie al pubblico erano partiti forte, però dopo eravamo riusciti a pareggiare con Macellari e poi avevo chiuso io con una doppietta. Era stata una felicità immensa, anche perché i tifosi della Salernitana erano stati sportivi e si erano alzati in piedi ad applaudirmi per quanto avevo fatto”.
Quella 1998-1999 fu anche la sua ultima stagione al Cagliari. Prima di un addio che fu amaro visto il suo affetto per la piazza però la salvezza fu raggiunta da una squadra che nel suo anno di purgatorio in Serie B aveva fatto vedere delle doti importanti con giocatori come O’Neill, Macellari, Villa, Scarpi. Che ricordi ha di quel gruppo e di quella stagione?
“Eravamo un gran gruppo. Eravamo davvero uniti, sapevamo tutti quanto pesava la maglia del Cagliari, i sacrifici che facevano i tifosi per seguirci. Sono tantissime le cose che ti facevano giocare con un certo spirito per una maglia come quella rossoblù, io la sentivo addosso e credo fosse lo stesso per tutti i miei compagni. Pur non essendo un gruppo di grandissima qualità mettevamo il cuore dentro al campo e avevamo avuto per questo dei risultati positivi”.
È arrivato in Sardegna dopo le prime stagioni a Roma e l’anno a Pisa cercando conferme e spazio ed è rimasto per cinque anni. Che giocatore e che uomo è diventato Roberto Muzzi in quegli anni sull’Isola?
“Il Cagliari e i suoi tifosi mi hanno dato tutto. Mi hanno fatto crescere come uomo e come giocatore. Dal primo giorno che sono arrivato in Sardegna ho sentito un grandissimo affetto dai tifosi e dalla città. Se sono diventato chi sono è grazie a loro, perché mi è stato dato quell’amore che desideravo”.
Passiamo all’attualità e a un Salernitana-Cagliari che si preannuncia fondamentale nella corsa salvezza dei rossoblù. Che partita potrebbe essere e quali saranno gli aspetti più importanti nella sfida dell’Arechi?
“Sarà una partita delicata. L’ambiente sarà ostico visto che ci sarà lo stadio pieno. Ci vogliono cuore e qualità, non bisogna pensare a nient’altro se non a quanti tifosi arriveranno a Salerno e quanti sacrifici faranno per esserci all’Arechi: i giocatori devono mettere tutto quello che hanno dentro per loro, poi sarà il campo a dire la sua. Sarà però importante dare dimostrazione di quanto si vuole vincere, quell’aspetto che noi non abbiamo trascurato quando siamo retrocessi con lo spareggio del San Paolo contro il Piacenza nel 1997. Perché in quella partita avevamo dato il massimo e quando siamo tornati in Sardegna abbiamo preso applausi: ecco, questi sono i tifosi del Cagliari, vogliono vedere che tu metti il cuore in campo”.
Il Cagliari vive un momento difficile, sul campo e fuori. Si aspettava la conclusione dell’era Mazzarri? Cosa può portare Alessandro Agostini in una fase così concitata ma fondamentale per le sorti dei sardi? Cosa non deve mancare in uno spogliatoio in momenti come questo?
“Mi aspettavo l’esonero di Mazzarri. Pur essendo un buon allenatore, non è facile allenare il Cagliari perché devi entrare in una certa mentalità e lui non c’è riuscito. Per quanto riguarda Agostini, è stato giusto affidarsi a lui in un momento così anche perché stava facendo bene con la Primavera ma giocatori come Joao Pedro dovranno dargli una mano perché è un allenatore giovane. Tutti i componenti della rosa dovranno schierarsi al suo fianco per cercare di rimanere in Serie A”.
Negli ultimi due mesi, al di là di Joao Pedro, il Cagliari ha visto rimanere a secco tutto il suo reparto offensivo. I nomi ci sarebbero, quali caratteristiche stanno mancando?
“Credo manchi qualcuno che attacchi la profondità. L’attaccante vive di annate, può capitare che tutti, al di là di Joao Pedro, vivano un brutto periodo, ma per come la vedo io manca proprio una punta con caratteristiche diverse da lui, a cui piace venire incontro, giocare il pallone. Dall’altra parte, invece, manca un attaccante che allunghi la squadra, che cerchi la profondità. E anche un bomber vero che ti fa venti gol all’anno”.
Passando invece a un quadro generale della situazione nel suo ruolo, lei è stato un attaccante di spicco in Serie A eppure non ha mai guadagnato la Nazionale se non quella Under 21 diventandone anche protagonista. L’Italia non andrà ancora una volta al Mondiale e l’attacco sembra essere il reparto più in difficoltà. C’è qualche giovane che secondo lei può essere una speranza per il futuro nel ruolo di centravanti?
“Per me Scamacca, Pinamonti, Raspadori sono giocatori a cui bisogna dar fiducia. Devono crescere ma per me possono far parte della Nazionale ed esserne il futuro ma bisogna già farli giocare. Quando io non andavo in Nazionale è perché davanti avevo Vialli, Baggio, Mancini, Casiraghi, tutti giocatori fortissimi. Adesso è andato un po’ a scemare tutto perché non abbiamo più pensato ai nostri settori giovanili, anche se ora sta venendo fuori qualcosa fra i nomi che ho fatto prima. Tuttavia, bisogna guardare la realtà e dirsi che se non abbiamo dei buoni attaccanti da tempo è perché c’è un problema nei nostri vivai”.
Matteo Cardia