Dopo l’annuncio fatto da Fabio Aru del suo ritiro dalla carriera di ciclista professionista al termine della Vuelta 2021, abbiamo fatto quattro chiacchiere con il telecronista di Eurosport, che da anni segue i grandi eventi del ciclismo mondiale.
Luca, partiamo dalle tempistiche di questo annuncio: te lo aspettavi così presto, specie dopo l’exploit della Vuelta a Burgos?
“No, in effetti è stato proprio un fulmine a ciel sereno perché è vero che veniva anche in questo 2021 da mesi tormentati, perciò non era soddisfatto. Ma le ultime sensazioni, specialmente a Burgos con un parterre di livello, ci aveva fatto ben sperare: subito dopo aveva anche annunciato di partecipare alla Vuelta magari non da protagonista, ma da cacciatore di tappe, faceva presagire che dal punto di vista fisico e mentale si fosse rimesso in sesto. Invece è arrivato questo annuncio abbastanza scioccante: evidentemente ha prevalso il calvario di questi ultimi quasi quattro anni”.
Parliamo del presente: conoscendo l’amore di Aru per la Vuelta e per le strade spagnole, cosa ci si deve aspettare da lui nelle prossime tre settimane?
“Dopo quello che ha passato nelle ultime stagioni, penso non sia giusto porsi delle aspettative esagerate su Aru. In questo particolare momento, tutto ciò che arriva è grasso che cola: lo è il secondo posto alla Vuelta a Burgos, per intenderci. Finire dietro a Landa e davanti ad altri ottimi corridori è una gran cosa, specie dopo il periodo di quasi semi-inattività. La Vuelta è una corsa pazza, perché ha un percorso strano ricco di opportunità per un attaccante come Aru, che potrebbe trovare la giornata giusta se mantiene questa gamba. Penso che non farà classifica, perché il livello del ciclismo è troppo alto per lui, mentre la vittoria di una tappa è un obiettivo più che realistico. Il fatto di aver annunciato il ritiro al termine della Vuelta gli permetterà di correre senza pressioni, ma sarà come sempre la strada a far da giudice. Mi piacerebbe, onestamente, che lui riuscisse in questo: per quello che ci ha fatto vivere, sarebbe una giusta e degna conclusione dopo anni tormentati”.
È stato il Tour de France 2020 la sua ultima, vera occasione di essere “qualcuno” nel ciclismo di oggi? È stata la mazzata decisiva per la sua carriera?
“Secondo me lui ha subito molto il suo ingaggio monstre nel contratto triennale alla UAE (3 milioni di euro, ndr): tra l’aspetto economico, i risultati che mancavano e il suo carattere, non sempre semplicissimo, indubbiamente tutto il mix lo ha portato a vivere male quella fase di carriera. Il Tour 2020 è stato umiliante per le parole di Saronni, oltre alle immagini che lo vedevano vicino al carro-scopa in quella giornata di calvario. Ma la mazzata conclusiva è arrivata nei primi mesi del 2021, nel senso che in pochi a quel punto pensavano potesse essere competitivo in una squadra World Tour. Gli ha dato un’opportunità la Assos-Qhubeka, ma penso che lui sperasse in qualcosa di meglio a livello di risultati e come colpo di pedale, ritrovato forse soltanto nelle ultime due corse. Tornando alla sua decisione penso che sia maturata nei primi mesi di quest’anno, vedendo il livello attuale”.
Futuro: cosa potrebbe fare Fabio Aru una volta chiusa la carriera professionistica?
“Intanto dovrà fare la Vuelta, poi immagino che abbia preso decisione importante insieme alla sua famiglia. È prematuro pensare cosa farà in futuro, è chiaro che lui si sia costruito un’immagine in questo mondo, anche se forse in parte bruciata negli ultimi quattro anni con aspettative altissime e risultati non all’altezza: la scelta di fermarsi ora, invece di protrarre un’eventuale assenza di risultati nei prossimi anni, magari con un bel risultato alla Vuelta potrebbe essere quella giusta. Il mio augurio è che possa fare qualcosa di importante per la vostra terra, a livello di sviluppo dei giovani ciclisti in Sardegna con la sua esperienza. Sarebbe proprio una bella opportunità, ma fare previsioni ora è impossibile”.
Francesco Aresu