Una prestazione potenzialmente positiva, un risultato che ha rispecchiato quanto visto in termini di occasioni concrete, ma non quanto visto per controllo della partita. Il Cagliari visto all’Olimpico contro la Lazio, pur se uscito con zero punti dopo il 2-0 firmato Isaksen-Zaccagni, ha dimostrato di aver svoltato dopo la sconfitta casalinga contro il Sassuolo. Risultati identici nella sostanza, simili nel punteggio, ma frutto di due prestazioni quasi opposte.
Pressione e compattezza
La gara del Monday Night contro i biancocelesti di Maurizio Sarri ha ridato fiducia ai rossoblù di Fabio Pisacane. Non sono mancate le difficoltà , restano da correggere errori e da migliorare aspetti significativi, ma la strada intrapresa sia nelle scelte di formazione che in quelle tattiche può rappresentare un primo mattone per costruire la strada del prossimo futuro. A partire da Como, dove il Cagliari troverà una squadra sostanzialmente diversa dalla Lazio: differenze tecniche sì, come contro Zaccagni e compagni, ma una strategia di gioco che porterà necessariamente a uno sviluppo di gara differente.

Rispetto alla linea generale della prima parte di stagione, all’Olimpico Pisacane ha optato per una strategia differente nella fase di non possesso. La prima costruzione della Lazio, infatti, veniva affrontata con una pressione alta quasi uomo su uomo. In questo contesto Adopo e Folorunsho avevano come riferimenti i due terzini biancocelesti – Marusic per il primo, Lazzari per il secondo – mentre Borrelli si occupava di uno dei due centrali, Esposito si alternava tra l’altro centrale e il centrocampista che si proponeva come regista (Cataldi o Guendouzi), mentre Gaetano e Prati si dividevano a seconda della loro posizione Cataldi e Basic.


L’idea era quella di non far uscire con tranquillità la Lazio e, quando possibile, recuperare palla nella metà campo dei padroni di casa per ripartire con transizioni positive rapide o, in alternativa, consolidare il possesso. In questo contesto rivestivano un ruolo fondamentale il duo Prati-Zappa, con il centrocampista che non si limitava a un gioco più di posizione davanti alla difesa, ma andava ad aggredire il proprio riferimento anche in prossimità dell’area della Lazio, mentre il terzino seguiva Zaccagni a tutto campo.


Una volta che i biancocelesti riuscivano a superare la prima pressione del Cagliari, l’obiettivo dei rossoblù era quello di ricompattarsi rapidamente con reparti corti e con attenzione massima sulle catene laterali. La posizione di Gaetano ha per certi versi sorpreso, perché al contrario di quanto si potesse pensare il numero 10 ha giostrato come partner di Prati in mezzo al campo e, soprattutto in fase di non possesso, in linea con il mediano ravennate.


Fondamentale il compito di Adopo quando la Lazio riusciva a superare la prima pressione del Cagliari. Il centrocampista francese, infatti, con il pallone in posizione centrale andava a completare la linea mediana come quarto a destra, mentre con l’azione degli avversari sul lato opposto andava a riempire e creare densità in una zona più centrale. Una sorta di elastico che vedeva Adopo prendere come riferimento Basic con il pallone sulla fascia destra d’attacco della Lazio e aiutare Zappa andando spesso su Marusic on in raddoppio su Zaccagni con il pallone nella sua zona di competenza, quella sinistra d’attacco dei biancocelesti.

Come per Adopo così per Folorunsho i compiti erano praticamente gli stessi. Largo come schieramento di base, quarto a sinistra di centrocampo in sostanza, più stretto e centrale con il pallone sul lato opposto al proprio e con riferimento Guendouzi e non più Lazzari, mentre con il possesso della Lazio sul suo lato ecco che arrivavano o il raddoppio su Isaksen per aiutare Palestra o la copertura delle sovrapposizioni del terzino.

Uno dei problemi per certi versi cronici del Cagliari sì è ripresentato non appena la Lazio riusciva a scardinare la densità laterale liberando o l’esterno offensivo o il terzino o, ancora, l’interno di centrocampo di parte. A quel punto, con l’azione che si sviluppava verso la linea di fondo, la linea difensiva scivolava troppo verso Caprile e i centrocampisti (soprattutto Prati e Gaetano) non erano in grado di coprire con successo gli inserimenti delle mezzali avversarie, come nel caso dell’occasione di Basic a metà primo tempo.
Possesso difensivo
La gestione della fase di possesso impostata da Pisacane non è stata in chiave offensiva e di dominio della gara, ma piuttosto come arma difensiva per annullare le caratteristiche di sviluppo del gioco della Lazio. La squadra di Sarri, infatti, è solita difendersi con un blocco relativamente basso per poi sfruttare la transizioni positive rapide e gli uno contro uno dei due esterni d’attacco Isaksen e Zaccagni, oltre agli inserimenti di Basic e Guendouzi. Il Cagliari, per ovviare alla filosofia di gioco biancoceleste, si è organizzato in modo da mantenere il possesso, cercare senza forzare lo spazio nella zona di rifinitura e, se non possibile, tornare indietro per consolidare nuovamente il possesso.

La costruzione del Cagliari si basava su un 4+2 pronto a trasformarsi in un 3+2 a seconda delle situazioni. La linea a 4 formata da Zappa, Mina, Luperto e Palestra vedeva in Prati e Gaetano i riferimenti per l’uscita centrale, ma spesso e volentieri l’esterno basso di sinistra (Palestra) si alzava per creare densità in una zona più alta della fascia. In questo contesto Adopo, normalmente esterno in fase di non possesso, si spostava dentro il campo creando una mediana quasi a tre e, soprattutto, andando a prepararsi il terreno per gli inserimenti verticali.

Una delle opzioni utilizzate come costante all’Olimpico è stata la ricerca della fascia sinistra, con la creazione di densità attraverso lo spostamento di più uomini su quel lato. Folorunsho, già di base largo nella fase di non possesso, veniva sostenuto da Palestra e a loro si aggiungevano l’interno di centrocampo Gaetano e, soprattutto, Esposito e Borrelli. Una soluzione che contemporaneamente metteva in condizione Adopo di attaccare la profondità sulla zona di centrodestra con maggiore libertà .


Un aspetto che si è rivisto dopo alcune gare di difficoltà è stato la presenza di più uomini ad attaccare l’area di rigore della Lazio. Spesso e volentieri sfruttando la densità creata a sinistra, per poi, una volta superata la pressione dei biancocelesti, provare il cross nei sedici metri attaccati da Borrelli, Adopo e in alcuni casi anche da Zappa, con Esposito che rimaneva come riferimento fuori dai sedici metri per ricevere a rimorchio o raccogliere le seconde palle.

La partita contro la Lazio ha mostrato, inoltre, un Cagliari pronto a sfruttare maggiormente le rotazioni dei suoi interpreti, con un gioco meno strutturato in possesso e maggiore libertà per alcuni elementi come Esposito, Adopo e Gaetano. Un esempio è arrivato con l’occasione per Folorunsho, oltre a diverse opportunità potenziali che non sono diventate concrete soltanto per le caratteristiche del centravanti. Le difficoltà di Borrelli nel legare il gioco – almeno tre le volte in cui l’attaccante ha perso il tempo della giocata, fosse essa l’apertura sul lato opposto o la sponda a terra rapida – hanno limitato la fluidità di una manovra offensiva decisamente migliorata rispetto al recente passato. Interessante nell’occasione specifica la costruzione dalla metà campo con una sorta di difesa a tre, con Mina centrale, Luperto braccetto di sinistra e Prati a scivolare come braccetto di destra. Adopo occupava così la posizione di interno destro, mentre Gaetano si alzava come mediano di centrosinistra con compiti di regia e di inserimento. Zappa e Palestra esterni di centrocampo, Folorunsho, Esposito e Borrelli a formare il tridente.


Con Adopo che riceveva il passaggio verticale, Gaetano andava ad attaccare lo spazio e la disposizione orientata verso la destra d’attacco lasciava Folorunsho libero sul lato opposto. A quel punto, con Borrelli largo a destra e Esposito in zona centrale – entrambi a chiamare a sé i centrali della Lazio – Lazzari si ritrovava costretto a stringere per chiudere la diagonale e così Folorunsho aveva l’opportunità di dare l’opzione di scarico a Gaetano. La conclusione fiacca del numero 90 rossoblù da ottima posizione non può, dunque, cancellare la giocata che ha creato i presupposti per liberarlo, una soluzione che – sia partendo da destra sia da sinistra – dovrà trovare continuità anche all’interno della stessa partita.

Dal 5-3-2 al 2-3-5, una piramide rovesciata (nuovamente, per citare un famoso libro di Jonathan Wilson sull’evoluzione della tattica nella storia del calcio), è questo il cambio sostanziale che ha messo in mostra il Cagliari a Roma. Una predisposizione all’attacco, con personalità , che può rappresentare il primo passo verso una squadra maggiormente propositiva. Con Mina e Luperto a garantire più affidabilità (e una linea più alta), con Prati, Adopo e Gaetano a combinare tecnica e fisicità (chi più, chi meno), con i cinque canali verticali offensivi occupati sugli esterni dai due terzini contemporaneamente, nei mezzi spazi da Folorunsho e alternativamente da Borrelli o Esposito e centralmente da uno dei due attaccanti. Una strategia che può essere utile solo se c’è la capacità di recuperare le posizioni per non subire transizioni negative pericolose, dettaglio che ha influito non appena Gaetano ha lasciato il posto a Felici e quest’ultimo ha preso i compiti di Folorunsho senza la stessa applicazione tattica.
Disattenzioni fatali
Le due reti della Lazio sono arrivate per la bravura di chi ha calciato, ma anche come conseguenza di disattenzioni ed errori, oltre che – soprattutto nel primo gol – di un dettaglio di posizionamento che è mancato rispetto alla prima ora di gioco.


Quando la Lazio attacca verso l’area del Cagliari trova i rossoblù schierati, ma con una differenza rispetto ai primi sessanta minuti. Con Felici sulla sinistra come supporto a Palestra – e con Folorunsho spostato nella posizione di Gaetano come mediano – ecco che il terzino del Cagliari viene lasciato colpevolmente solo nell’uno contro uno con Isaksen. Vero è che Palestra consegna il centro al danese, che può così puntare l’area con il suo piede forte, ma è altrettanto vero che l’unico che prova a rientrare è Esposito, mentre Felici tiene erroneamente come riferimento Lazzari e non corre all’indietro per il raddoppio e Folorunsho è altrettanto statico.

Oltre a ciò, anche Luperto non si coordina con Prati nel seguire il taglio centrale di Vecino, perdendo dunque la possibilità di sostituirsi nel raddoppio su Isaksen e rendendo il movimento dell’uruguaiano vincente per creare lo spazio per la conclusione del numero 18 della Lazio.

Infine il secondo gol arrivato nel primo minuto dei quattro di recupero, una rete semplice da spiegare. L’errore di Prati nell’uscita dal basso è evidente, meno la ragione che lo fa nascere. Corretta la soluzione scelta da Luperto nel servire il compagno in verticale, mentre Prati sbaglia principalmente perché gioca a memoria con un passaggio verso Mina letto anticipatamente da Zaccagni e che arriva a prescindere da ciò che accade intorno al numero 16. Prati sceglie fin da quando si propone come opzione di uscita di servire Mina, senza che la sua idea possa cambiare a seconda dello sviluppo della pressione avversaria. Una disattenzione mentale più che tecnico-tattica, un regalo figlio di una giocata consolidata che non ha lasciato spazio all’inventiva e al cambio di piano. E che ha reso negativa nel punteggio una sconfitta con anche dettagli positivi.
Matteo Zizola















