Quattro amichevoli, due vittorie contro Ospitaletto e Saint-Etienne e due sconfitte contro Galatasaray e Hannover. Chiamatela rivoluzione, chiamatela svolta, chiamatela transizione: il Cagliari di Fabio Pisacane è una novità nel percorso delle ultime stagioni rossoblù, tecnica e di sostanza. L’età media abbassata, gli addii e i nuovi arrivi, una squadra diversa che l’allenatore prova a modellare secondo i propri dettami. L’ultima gara contro il Saint-Etienne è stato un ulteriore passo verso l’obiettivo, un obiettivo che con la dovuta pazienza dovrà portare a un Cagliari fatto di nuovi principi e nuovi orizzonti. Ancora lontana la meta, com’è normale che sia ai primi di agosto, ma alcuni dettagli sono apparsi già visibili: una strada tracciata da seguire e da migliorare giorno dopo giorno.
Spazi
“Il modulo è un tema superato, cerchiamo di lavorare su principi e concetti per applicare lo spazio. Siamo all’inizio, ma sono contento perché sto lavorando con un gruppo che ha dedizione e sacrificio”. Così Pisacane dopo la vittoria per 1-0 contro il Saint-Etienne valida per il primo trofeo Gigi Riva, un manifesto che allontana discorsi su numeri tattici concentrandosi su idee e strategia. Principi che partono dalla fase di costruzione che di fronte ai francesi ha avuto uno sviluppo chiaro.

Partenza dal basso, linea a quattro con i due terzini larghi e i due centrali di difesa ai lati del portiere. Rimessa con il primo passaggio che va da uno dei due centrali verso Caprile, un 4+1 con Prati come riferimento in costruzione a volte supportato da una delle due mezzali. Una volta ricevuta palla, il portiere ha diverse opzioni. Seguendo il gioco palla a terra, la principale quella di appoggiarsi al centrocampista con quest’ultimo che scarica sul terzino. L’alternativa andare direttamente sull’esterno di difesa. Infine la terza via, che con o senza lo step intermedio è risultata la più cercata.

Con il giro palla che, in caso di pressione alta degli avversari, può tornare verso Caprile, ecco aprirsi la soluzione verticale. Il Cagliari ha provato nella fase di preparazione alla stagione la ricerca del riferimento offensivo con verticali dirette. O con il regista, o con gli esterni di difesa o, appunto, con il portiere. Piccoli, infatti, ha spesso e volentieri dato opzioni di giocata sul lungo sia attraverso palloni alti sia attraverso verticalizzazioni rasoterra. Una soluzione che apre spazi alle spalle del riferimento offensivo, spazi che vengono attaccati sia dalla seconda punta (Luvumbo), sia dall’esterno offensivo (Felici), sia dalle due mezzali (Adopo e Deiola).

Una delle caratteristiche principali del Cagliari di Pisacane è appunto la rapidità nella ricerca della verticalità. Con il “pivot” a fare da regista offensivo o con spizzate – sia alle proprie spalle sia con appoggi verso i centrocampisti – o con la gestione del pallone in attesa dell’attacco della profondità veloce dei compagni.

La costante nelle azioni offensive del Cagliari è quella di transizioni rapide che sfruttino o il recupero palla e la ripartenza immediata oppure lo spazio creato appositamente attraverso la costruzione dal basso. E nell’ottica di sfruttare collettivamente l’idea di gioco, fondamentale è il supporto immediato alla transizione da parte di almeno cinque giocatori, se non sei. Una volta partita la giocata – qualunque sia delle opzioni menzionate quelle utilizzata – i due giocatori più offensivi di supporto a Piccoli attaccano lo spazio verticale restando nei mezzi spazi – tra centrali e terzini avversari su entrambi i lati – mentre le due mezzali cercano una zona più centrale. A supporto, spesso e volentieri, anche il terzino – soprattutto a destra con il Saint-Etienne – mentre un aspetto decisivo è mantenere i reparti corti grazie al lavoro del 3+1 creato dai difendenti, i due centrali (Luperto e Mina), l’altro terzino (Obert) e il mediano-regista (Prati). In questo senso importante l’utilizzo come esterni di difesa di un giocatore di spinta (Zappa) e di uno più di contenimento (Obert), opposti per caratteristiche ai riferimenti avanzati sui rispettivi lati (Adopo a destra e Felici a sinistra).

Una volta raggiunto l’ultimo terzo di campo è ancora più evidente la divisione della squadra in due tronconi, con comunque la necessità di restare corti per evitare le transizioni rapide degli avversari. Sono sei i giocatori “offensivi” e in questo contesto diventano chiari i nuovi compiti da centrocampista box to box di Adopo, chiamato ad abbinare lavoro tattico di posizione a corsa verticale per occupare gli spazi in prossimità o fin dentro l’area di rigore avversaria.
Corti
Difendere per creare gli spazi per attaccare. Una contraddizione soltanto apparente, perché è in come si affrontano gli attacchi avversari che, nel calcio moderno, si creano i presupposti per le transizioni e per creare pericoli di rimando.

Non sempre è necessaria la pressione alta e il recupero palla nella metà campo avversaria per aumentare le possibilità di colpire in ripartenza. Anzi, far scoprire per poi andare verso gli spazi aperti con verticalità rapida è una delle chiavi che sembrano in via di sviluppo nel Cagliari di Pisacane. Contro il Saint-Etienne, seppur con poca continuità dettata anche dalla poca freschezza atletica, si sono visti attacchi della profondità veloci. Il recupero del pallone nella propria metà campo ha portato a transizioni offensive con un supporto costante delle mezzali, una corsa in avanti che potrà essere la chiave. Non una gestione orizzontale del possesso, ma piuttosto l’idea di andare verso l’area avversaria nel minor tempo possibile per cogliere impreparata la difesa.


Se dal punto di vista offensivo il Cagliari visto contro il Saint-Etienne ha puntato più su una sorta di 4-1-2-1-2, dove gli uno sono Prati e Felici con il secondo asimmetrico rispetto a Luvumbo più centrale – in fase difensiva lo scivolamento di alcuni giocatori ha permesso il passaggio a un classico 4-4-2 o 4-4-1-1. Importante notare i compiti di Adopo che da mezzala di destra in possesso diventava esterno in quella di non possesso, con Prati e Deiola a fare da dighe centrali e Felici a scalare come centrocampista di sinistra fino, all’occorrenza, diventare un quinto se necessario. E un’altra chiave apprezzabile è stata la decisione, già vista nelle precedenti amichevoli, di non chiedere eccessivi sacrifici a Piccoli e Luvumbo. Una scelta offensiva nella fase difensiva, con il centravanti quasi mai sotto la linea della palla e al contrario pronto a fare da riferimento per le transizioni rapide, così come Luvumbo lasciato anche lui sopra la linea di possesso avversario seppure all’occorrenza chiamato all’aiuto nella zona centrale o esterna a seconda della scelta tattica di Adopo. Se in passato la compattezza era data anche dagli attaccanti chiamati a rientrare sotto la linea del pallone, Pisacane appare più orientato a lasciare più avanzate le punte, aspetto che risponde anche alla scelta di portare in Sardegna Kılıçsoy, non un esterno d’attacco, ma piuttosto una seconda punta sia di raccordo che soprattutto di profondità.


Nel contesto appena descritto diventano decisivi l’atteggiamento difensivo e la struttura collettiva dei reparti. Con le due punte lasciate sopra la linea della palla, centrocampo e difesa hanno il compito di mantenere le distanze corte a prescindere dal baricentro più o meno basso. Il tentativo, anche con i francesi in fase offensiva, è apparso quello di non schiacciarsi verso Caprile, mantenendo le due linee molto ravvicinate e i due attaccanti in zona più offensiva per sfruttare quanto più possibile le transizioni rapide. Una strategia che prevede una condizione atletica rilevante che, giocoforza, non è risultata sempre brillante in una fase della stagione di carichi più che di velocità nelle gambe. Un atteggiamento difensivo comunque non fine a se stesso, ma propedeutico all’attacco successivo: cogliere impreparati gli avversari, verticalizzare con il pallone quanto più possibile a terra, supportare la manovra andando in avanti con le mezzali e non restando statici una volta recuperata palla. Per questo fondamentale diventa anche la crescita di Prati in regia, chiamato a unire lavoro da mediano a verticalizzazioni nello spazio, così come l’attitudine degli interni di centrocampo e della seconda punta alla corsa in avanti, dettaglio che conferma il perché di giocatori come Folorunsho e Kılıçsoy arrivati dal mercato.
Matteo Zizola














