La terra di nessuno è il territorio tra due trincee, il più pericoloso perché si resta scoperti, senza difese. Nel Cagliari di Di Francesco è lo spazio dal quale spesso nascono i pericoli, assenza di pressione feroce che non è compensata da una retroguardia che arretra con i tempi giusti.
Questione di (non) scelte – Quando gli avversari riconquistano palla o provano a imbastire una manovra d’attacco è buona regola scegliere chiaramente come contrapporsi. Pressare immediatamente e accorciare il campo oppure serrare le linee e aspettare? Il Cagliari non sceglie, ormai da tempo, nessuna delle due opzioni. Tenere la linea difensiva alta è l’indicazione di massima, ma senza un’adeguata aggressione dei portatori di palla diventa difficile non essere presi alle spalle.
In occasione dell’azione che ha portato al rigore fischiato da Abisso per fallo di Lykogiannis il problema nasce a monte. Intanto la verticalizzazione senza disturbo da parte di Kjaer verso Brahim Diaz, abbassatosi a metà campo per ricevere la sfera. Manca la chiusura delle linee di passaggio, aspetto sul quale prova a ovviare il neo arrivato Duncan cercando l’anticipo sull’avversario. Il ghanese, però, arriva con un leggero ritardo, Diaz lo taglia fuori e può così andare a campo pressoché aperto in verticale.
A questo punto l’unica soluzione sarebbe quella di scappare all’indietro in attesa dei rinforzi, una sorta di ritirata mentre le truppe del centrocampo provano a recuperare terreno. Inizialmente è quanto decidono di fare i quattro della linea arretrata, fino al momento in cui Godín improvvisamente sceglie l’opzione di puntare su Diaz piuttosto che continuare a scappare all’indietro di fianco a Ibrahimovic. Il centrale uruguaiano avrebbe avuto l’occasione di prendere ulteriormente tempo, rischiando sì il tiro dalla distanza, ma con buone probabilità di favorire il rientro di Nainggolan sull’avversario.
Ciò che accade successivamente con il rigore fischiato a favore dei rossoneri è una combinazione tra ingenuità di Lykogiannis e una decisione arbitrale sulla quale non è questa la sede in cui discutere.
Errare è umano, perseverare… – Lo si ripete da settimane, anche quando alcuni risultati avevano nascosto la polvere sotto il tappeto era già evidente la difficoltà del Cagliari nel coprire la zona destra della propria difesa. Non a caso fin dai giorni successivi alla fine del mercato estivo la parola d’ordine è stata terzino destro. Calabresi è ormai prossimo a vestire la maglia rossoblù, ma nel frattempo sembrerebbe che poco è stato fatto per correggere delle mancanze che sembrano note soprattutto agli avversari.
In questa immagine si ha il riassunto della premessa iniziale. Joao Pedro e i compagni sono molli nell’aggressione su Calabria, che ha il tempo di preparare il lancio in diagonale verso Ibrahimovic. Una giocata leggibile come detto proprio da Di Francesco nel post partita, non solo in quanto tale ma anche perché costante nel gioco dei rossoneri con lo svedese in campo. Senza l’aggressione sul portatore di palla, la difesa resta comunque alta senza reagire alla situazione di gioco e adattarsi di conseguenza.
L’innocenza di Lykogiannis- Se da un lato è vero che è Lykogiannis a tenere in gioco l’attaccante del Milan, dall’altro ritenere il terzino greco responsabile del gol è un errore. Qualora il giocatore rossoblù fosse disallineato di un metro (o perfino di più) allora sarebbe legittimo accusarlo di aver tenuto in gioco Ibrahimovic, ma data la situazione il dito andrebbe puntato sul collettivo in primis e sul lato Zappa – Ceppitelli in second’ordine. Il lancio in diagonale è leggibile e parlando proprio di diagonale manca quella di Zappa a coprire la zona verso Cragno piuttosto che un poco pericoloso – in quanto largo – Hauge. Non solo, ma Ceppitelli dovrebbe scappare anche lui, invece lascia che Ibrahimovic vada a ricevere indisturbato guardando solo la palla e non l’uomo. Anche Godín, pur meno responsabile, è concentrato su chi lancia piuttosto che su chi potrebbe ricevere.
Al Cagliari dunque non manca solo un regista, come dichiarato da Di Francesco nel post partita, ma manca soprattutto la gestione tattica dei momenti chiave. Non una questione soltanto di singoli, ma soprattutto di scelte di reparto, collettive, di aggressività che manca e che rende la linea difensiva alta un difetto da attaccare più che un pregio con cui mettere alle corde gli avversari. Questione di testa, ma non solo, perché se certi errori si ripetono con precisione svizzera allora forse servirebbe un adattamento tattico alle caratteristiche dei giocatori piuttosto che insistere su una filosofia che, è evidente, fa raccogliere dividendi solo agli avversari e non ai rossoblù.
Matteo Zizola