Essere squadra, esserlo nella mente. Parafrasando quello che è forse lo slogan più famoso della tifoseria organizzata del Cagliari si può spiegare la svolta dei rossoblù nelle ultime tre gare di campionato, con il picco della vittoria contro l’Empoli, contemporaneamente la prima lontano dalla Unipol Domus e con la porta di Scuffet rimasta inviolata in trasferta come non accadeva dalla prima giornata contro il Torino. Un’inversione di rotta soprattutto mentale che ha permesso, di fatto, quella tattica. Claudio Ranieri ha trovato così il vestito tattico adatto alla sua squadra, un 4-4-2 che si adatta in diverse forme a seconda delle differenti situazioni.
Sporchi e vincenti
“Una squadra perfetta deve avere un portiere che para tutto, un assassino in difesa, un genio a centrocampo, un mona che segna e sette asini che corrono“. Il nuovo Cagliari di Ranieri, presentato nella trasferta di Udine per poi essere confermato contro Napoli ed Empoli, è quanto di più simile possa esserci alle parole di Nereo Rocco, storico allenatore degli anni tra il 1947 e la fine dei ’70. Da Scuffet con un’affidabilità necessaria per ambire alla salvezza a Yerry Mina, leader totale e non solo della retroguardia. Da Gaetano che anche in pomeriggi non esaltanti trova le giocate illuminanti a Jankto, goleador inatteso pur se sperato a lungo. E, soprattutto, i sette asini che corrono, metafora perfetta per descrivere la rinnovata mentalità di Deiola e compagni, capaci di aiutarsi a vicenda e di compensare una tecnica non eccelsa con abnegazione e sacrificio per andare oltre i propri limiti. Il tutto costruito su un vestito tattico per certi versi semplice e scolastico, un classico 4-4-2 – o 4-4-1-1 e 4-2-3-1 che si voglia – che ha ridato solidità e certezze a una squadra fino a quel momento vittima delle proprie paure.

Poco spazio ai fronzoli, tanto, tantissimo all’unità di intenti che si trasferisce all’unità delle linee sul terreno di gioco. Se gli attaccanti chiamano la pressione i centrocampisti seguono di conseguenza e così la retroguardia, grazie all’apporto di elementi che, non va dimenticato, non facevano parte della rosa prima degli ultimi giorni del mercato di gennaio. La personalità e la classe di Mina e Gaetano, infatti, sono state le chiavi di volta della rivoluzione gentile di Sir Claudio. Non solo mentale, per quanto soprattutto l’aspetto della testa abbia influito su gambe che hanno iniziato a girare. C’è tanto di tattico, in fondo. L’esempio al 16′, quando sul rinvio impreciso di Caprile i rossoblù sono pronti, attenti, volitivi. Deiola e Makoumbou alti e reattivi sui palloni sporchi, Jankto, Gaetano e Augello altrettanto presenti mentalmente e abili a stringere e creare densità laddove si può presentare l’occasione della transizione rapida.

Lo schieramento che non lascia spazio all’essere lunghi e sfilacciati è il presupposto per la creazione di pericoli per gli avversari di turno. Così quando Deiola ruba il tempo a Kovalenko sono diversi i giocatori del Cagliari che possono supportare il ribaltamento improvviso. Lapadula funge da perno offensivo, più che terminale un playmaker alto che può distribuire per gli accorrenti compagni. Un aspetto mancato nella prima parte di stagione, con Gaetano a fare le veci del tanto atteso e praticamente mai ritrovato Mancosu. L’intelligenza tattica del numero 70 napoletano è evidente nel cogliere l’attimo per superare senza palla Marin e presentarsi libero per la ricezione della sponda del numero 9. Il numero di giocatori in proiezione offensiva fa sì che la manovra non sia più affidata alle qualità di singoli contro difese schierate, ma a un collettivo che si muove compatto e in maniera organica.
Collettivo
L’aiuto reciproco è il dettaglio più evidente della nuova veste del Cagliari post Lazio. Non più una somma di individualità, ma un vero e proprio collettivo che si supporta a vicenda. L’esempio è nella coppia di centrocampisti centrali formata da Makoumbou e Deiola, con il primo meno portato ai fronzoli e più all’attenzione in copertura e il secondo a fare da equilibratore con licenza di attacco e corsa verticale senza palla.

Non solo rose e fiori, perché oltre a un gioco che non ha strizzato l’occhio all’estetica anche la fase difensiva ha avuto alcuni momenti critici. La prima vera occasione per l’Empoli arriva infatti grazie a un contropiede fulmineo che vede i rossoblù ripiegare sì rapidamente con un buon numero di elementi, ma senza che nessuno legga al meglio il pericolo. Se Jankto è bravo nell’andare al raddoppio su Cambiaghi aiutando così Makoumbou, non altrettanto bravi sono Deiola e Augello: nessuno dei due infatti capisce che aumentare la presenza contro l’attaccante avversario può lasciare scoperto Nández sul duo Destro-Maleh. In sostanza manca il taglio diagonale di almeno uno dei giocatori che rientra verso la propria area, solo l’imprecisione del centrocampista ex Fiorentina nel secondo tentativo dopo il palo di Cambiaghi salva il Cagliari dallo svantaggio.

L’importanza del lavoro oscuro di Makoumbou è chiara nel momento del rigore richiesto dai padroni di casa per il tocco con la mano del numero 29 del Cagliari. Messo da parte l’episodio arbitrale in sé, è importante notare come sia l’ex Maribor nell’occasione che Deiola in altri frangenti siano sempre pronti al supporto dell’esterno basso, andando al raddoppio ed evitando pericolosi uno contro uno delle ali offensive dell’Empoli. In questa situazione Makoumbou scivola verso la linea difensiva andando a occupare lo spazio tra Mina e Zappa evitando così un pericoloso uomo contro uomo dentro l’area di rigore.

Altrettanto importante la capacità di Deiola di unire equilibrio difensivo a proiezione offensiva quando possibile. Il colpo di testa di Lapadula in chiusura di primo tempo, sventato da Caprile, ne è l’esempio più eclatante. Il Cagliari, infatti, porta più uomini che in passato a disturbare la fase difensiva degli avversari con proprio il centrocampista sangavinese che con il suo movimento distoglie l’attenzione dalla marcatura del numero 9 affidata a quel punto al solo Luperto. Il fatto che Deiola non riceva il pallone di Gaetano diventa secondario nel momento in cui la sua corsa verticale sposta il focus dell’Empoli dal solo Lapadula, permettendo così al centravanti di poter eseguire il taglio davanti all’avversario con maggiore libertà.
Formato Leicester
Una vittoria con il minimo scarto e ricca di cinismo. Pensare però che i tre punti di Empoli siano arrivati in maniera casuale e perfino fortunata sarebbe non dare merito al modo in cui il Cagliari ha portato a casa l’intera posta in palio. A fare la differenza non solo l’aver sfruttato una delle due grandi occasioni avute, ma piuttosto la coralità dell’azione che ha portato al gol di Jankto. Una sorta di manifesto di una squadra che inizia ad assomigliare al Leicester che Ranieri portò alla vittoria della Premier League tra lo stupore generale. Attenzione, non un paragone tecnico, ma semplicemente tattico e di caratteristiche degli interpreti pur con le dovute proporzioni.

Il Cagliari ha di fatto rinunciato al regista in mezzo al campo, ma non a diversi playmaker in zone diverse da quella classica. Come le Foxes di Sir Claudio con la coppia Drinkwater-Kante, così i rossoblù di oggi con Makoumbou-Deiola non presentano il classico tessitore di gioco dal quale ruotano tutte le azioni d’attacco. A farne le veci sono infatti il numero 10, un trequartista con compiti anche da seconda punta che risponde al nome di Gaetano, e soprattutto gli esterni di centrocampo. Il resto è la densità elevata nella zona del pallone, con movimenti senza palla stretti e rapidi.

La posizione di Nández una volta uscito per infortunio Luvumbo spiega tanto del nuovo Cagliari di Ranieri visto da Udine in poi. Ancora una volta, fatte sempre le proporzioni del caso, è il Leicester a tornare alla mente. Un esterno di centrocampo che dà equilibrio tattico – Jankto nelle veci dell’Albrighton degli inglesi – e un altro che funge non solo da ala pura. Il compito del centrocampista più offensivo appare dunque codificato, che sia il Luvumbo di inizio gara o che sia il Nández passato nella sua posizione dopo l’ingresso di Zappa da terzino. Non un corridore sul binario esterno, ma un giocatore libero di tagliare verso il centro e funzionare spesso e volentieri da seconda punta più che da semplice ala. Una sorta di Mahrez in salsa rossoblù, come evidenziato dalla posizione del León nell’azione del vantaggio siglato da Jankto.

Durante la prima parte di stagione raramente le analisi si sono potute concentrare sulla fase offensiva. Il cambio di rotta ha nella possibilità di mettere a fuoco le scelte nell’area avversaria la risposta definitiva alla domanda di miglioramento di questa fase di gioco. Il gol di Jankto nella sua costruzione ne è esempio lampante, ma non solo nella creazione e nelle giocate dei singoli, ma anche se non soprattutto nell’occupazione dell’area dell’Empoli. Aspetto che ha permesso a Zappa di avere ben tre opzioni una volta superato Cacace nell’uno contro uno. Quella scelta di Nández a rimorchio, quella di Lapadula nella zona del primo palo e, infine, quella di Jankto all’altezza del dischetto del rigore. Va da sé che esistono ancora criticità, perché questo tipo di giocata risulta ancora estemporanea e non continuativa, ma già il fatto che ci sia un modo codificato e ripetuto di attaccare la linea nemica con più uomini rispetto al passato è un miglioramento sostanziale. Non dunque una casualità, tutt’altro. La sfida ora è rendere questo miglioramento più presente lungo l’arco dei novanta minuti, dettaglio che solo la sicurezza nei propri mezzi che nasce dai risultati positivi può rendere reale e non solo ideale.
Matteo Zizola














