La premessa è d’obbligo: nel bene e nel male le prime giornate di campionato non devono portare a sentenze definitive. Non fa eccezione l’ottima prestazione del Cagliari nel pareggio della Unipol Domus contro la Roma. Uno 0-0 che sì dà fiducia, ma che è da analizzare più per le idee di gioco che per la loro esecuzione. Con due squadre, vale sia per i rossoblù che per i giallorossi, ancora da completare e ancora definibili come cantieri aperti negli uomini e nella filosofia da apprendere.
Fluidità e Chiave Marin
Partendo da questi dettagli, non si può negare che la squadra di Davide Nicola sembra aver intrapreso la strada giusta. Atteggiamento, fisicità, ma soprattutto la voglia di esprimere un calcio con un’idea di base chiara e precisa, non concentrata solo su chi si ha di fronte, ma pronta a mostrarsi a prescindere dall’avversario. L’antipasto contro la Carrarese in Coppa Italia aveva dato i primi segnali positivi, ma con i toscani che giustamente hanno pagato la differente categoria. Contro la Roma, invece, Deiola e compagni avevano di fronte una squadra di livello a prescindere da assenze e temi di mercato che aleggiano nello spogliatoio di Daniele De Rossi. Nicola ha messo in campo un 3-5-2 che ha ricalcato di base la seconda parte di ripresa della sfida di Coppa Italia. Uno schieramento flessibile e fluido, improntato sull’aggressione, ma non solo.
Con la Roma in possesso e l’impossibilità di aggredire alti, i rossoblù si sono spesso e volentieri messi in campo con una sorta di 4-4-1-1 grazie al lavoro di Zappa da un lato – da braccetto della difesa a tre a terzino – e di Augello dall’altro – pronto a scalare da quarto a sinistra. Allo stesso modo la capacità tattica di Marin, pronto a dare manforte al mancino ex Sampdoria, e la fase di filtro centrale affidata a Deiola e Prati hanno messo in difficoltà i giallorossi, incapaci di trovare spazi tra le linee a con il duo Cristante-Le Fee in linea e troppo basso, con Pellegrini lasciato nella morsa dei mediani e con gli esterni alti Zalewski-Soulé ben controllati.
Un aspetto fondamentale nell’undici di Nicola è stato rappresentato da Marin. Il romeno, liberato da compiti di costruzione pura e schierato come interno – con Prati regista-mediano basso – ha messo in mostra le sue caratteristiche di incursore e le sue capacità di trovare lo spazio libero evitando le marcature preventive.
L’assalto delle seconde palle del Cagliari ha fatto così in modo di trovare in Marin lo sfogo per le transizioni offensive, sfruttandone tecnica e capacità balistiche nel tiro dalla distanza. Il suo braccio destro – o meglio, sinistro – è stato Augello, tra i migliori e decisamente più propositivo rispetto alla passata stagione.
Quattro più sei
Una delle caratteristiche del Cagliari di Nicola è che oltre ai numeri tattici classici, che sia 3-5-2, 3-4-2-1 o 4-4-2, la filosofia è quella di un attacco basato sul 4-6. Ossia quattro elementi a copertura che variano a seconda della zona in cui si affonda e sei che accompagnano l’azione offensiva.
Il lavoro alternato di Augello e Azzi utile per portare avanti sei uomini, quando il primo saliva a supporto il secondo restava più sulle proprie e viceversa. Ma anche la spinta contemporanea degli esterni come chiave grazie all’aiuto a turno del trio di centrocampo, con Prati soprattutto che ha lavorato come equilibratore. L’ex Spal, oltre a provare a dettare i tempi, ha giocato da mediano puro supportando nella fase di possesso il trio arretrato.
Il 4-6 è diventato funzionale anche nell’attacco dell’area giallorossa, con gli inserimenti di Marin e Deiola per riempire i sedici metri della Roma assieme alle due punte. Se l’azione puntava sulla fascia destra, ecco anche l’esterno opposto Augello che andava a chiudere sulla sinistra andando dritto verso l’area difesa da Mancini e compagni, così come – seppur più raramente – Azzi quando l’attacco si sviluppava sulla corsia mancina.
Piazzati e tagli
Altre due caratteristiche del Cagliari di Nicola visto contro la Roma sono stati i calci piazzati e i tagli in diagonale. I primi non hanno portato dividendi concreti, ma comunque hanno sottolineato quanto i rossoblù siano una squadra fisicamente più pericolosa – e più stabile difensivamente – rispetto al passato. I secondi, grazie alle qualità di Luperto, Marin e Prati, utilizzati per aprire la difesa giallorossa e arrivare con più facilità al cross o all’azione a rimorchio degli interni di centrocampo.
Sui calci d’angolo a favore il Cagliari ha proposto una fase iniziale pre battuta con un gruppo di giocatori tra il dischetto e i sedici metri spostati sul lato opposto, più Luvumbo a occupare la zona più vicina al primo palo. Oltre a due giocatori al limite dell’area. Una volta che il tiratore si apprestava a calciare, il gruppo si divideva in orizzontale con tre uomini ad attaccare la zona tra area di porta e undici metri, uno a fare altrettanto sul secondo palo e l’ultimo – spesso Prati – a occupare la parte di area dalla quale il gruppo partiva.
Quando la Roma lo ha permesso, il Cagliari ha alternato al tentativo di sviluppo del gioco a terra delle sventagliate sugli esterni. Prati e Marin, grazie alla facilità di calcio sul lungo, si sono divisi il compito di regia in questa fattispecie specifica, cercando sia Augello che Azzi, ma anche la fisicità di Piccoli pronto a scivolare su uno dei due lati con Luvumbo che ruotava attorno all’ex Lecce. In questo contesto importante il lavoro di Deiola, bravo ad accorciare ogni volta che è risultato necessario. Dettaglio reso ancora più evidente con l’ingresso di Adopo, grazie a una forza fisica e atletica superiore e più visibile rispetto al capitano.
Correzioni e disattenzione
Dopo un primo tempo di tante difficoltà, la ripresa ha visto una Roma entrare in campo con diverso piglio. Fermarsi all’aspetto mentale non darebbe però sufficienti meriti al cambio tattico di De Rossi, che è passato da un 4-2-3-1 puro a una sorta di 4-1-4-1 che ha portato due conseguenze immediate: Cristante ha avuto più spazio per gestire la fase di impostazione e Pellegrini ha trovato in Le Fee un compagno tra le linee che ha tolto pressione e che ha creato problemi ai rossoblù.
Il Cagliari ha impiegato così qualche minuto per capire la nuova disposizione della Roma, con Deiola, Prati e Marin incapaci inizialmente di coordinarsi tra pressione e attesa, con il risultato di un Cristante che ha potuto scegliere tempi e modi delle verticalizzazioni e i mezzi spazi liberi per Pellegrini e Le Fee. E una difesa in difficoltà nella scelta tra scivolare verso Scuffet o attaccare la zona mediana.
La grande occasione capitata sui piedi di Pellegrini nasce appunto da un lancio di Cristante, la mediana rossoblù sorpresa e Deiola poco reattivo nel chiudere la quasi ovvia linea di passaggio di Angelino verso il dischetto. È mancato nel primo quarto d’ora della ripresa quel movimento coordinato tra il trio di centrocampo, con il perno basso assente e gli interni troppo bassi in pressione e troppo alti in fase di attesa. La buona notizia è che il Cagliari ha dimostrato di saper soffrire e di saper capire il momento senza sfilacciarsi per troppo tempo.
Una delle maggiori sorprese della serata è stata la prestazione di Wieteska. Con un avversario per certi versi “adatto” alle sue caratteristiche, ma comunque tenuto a bada per quasi tutti i 90 minuti. Un’unica disattenzione per il polacco che, però, sarebbe potuto costare cara. Vero è che la giocata di Dybala con conseguente pallone morbido per Dovbyk non era di facile lettura, ma allo stesso tempo Wieteska ha commesso un errore abbastanza comune, ossia quello di guardare troppo la zona della sfera e perdere il contatto con l’avversario diretto. Dovbyk è stato abile nel movimento per prenderlo alle spalle, ma il polacco è mancato nella marcatura stretta. Nulla di trascendentale al netto della traversa colpita, ma un appunto sul quale lavorare per il futuro.
Matteo Zizola