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L’Analisi | Giulini ha parlato: ora tocca al Cagliari e a Nicola rispondere

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La classifica che recita due punti in cinque partite, quattro delle quali in casa. Due pareggi contro Roma e Como alla Unipol Domus e tre sconfitte, due in scontri salvezza – Lecce ed Empoli, la seconda ancora in casa – e una contro il Napoli, quest’ultima enorme nelle proporzioni più che nei fatti. Che l’inizio di stagione del Cagliari sia stato sportivamente drammatico lo dicono i numeri, ma non solo: perché dopo la notte di Venezia (retrocessione) e la sfida casalinga contro la Lazio di inizio anno solare (dimissioni poi respinte di Claudio Ranieri), ecco che il presidente Tommaso Giulini si è presentato nuovamente in conferenza stampa.

Ritorno
Un segnale forte, che dice molto di più delle semplici parole. Inatteso, improvviso, ma non un fulmine a ciel sereno. Perché su Cagliari e sul Cagliari le nuvole sono tante, nonostante l’ottimismo arrivato dalla ventata di freschezza portata dalla novità chiamata Davide Nicola. Giulini ha detto tanto, forse troppo, forse poco, chissà. Carne al fuoco a volontà, traduzione in termini sportivo-giornalistici non facile. Perché il patron rossoblù è ormai da tempo un personaggio divisivo: da una parte i più realisti del re, dall’altra chi il re vorrebbe facesse la stessa fine – metaforica – di chi sedeva sul trono durante la rivoluzione francese. Trovare equilibrio restando equidistanti e analizzando fatti e dichiarazioni diventa complesso, come sempre quando si tratta di tifo, di sentimenti, di risultati e soprattutto di calcio. Intanto si deve partire da un presupposto: se Giulini in due anni e qualche mese si è presentato ai microfoni soltanto due volte prima di quella post Empoli significa che, almeno mediaticamente, il suo passo di lato era avvenuto da tempo alla voce presenzialismo. Poi però c’è tutto il resto, ossia parole che hanno un peso specifico non da poco. Iniziando da quel metterci la faccia per spostare – chissà – l’attenzione su di sé, ipotizzando un mettersi da parte che può apparire come una dichiarazione d’intenti (traduzione, vendita della società) e che invece è chiaramente un mettersi da parte come figura. Aprendo così un dubbio ulteriore, quello che sì Giulini non appariva più mediaticamente, ma dal punto di vista decisionale e gestionale è stato presente sempre e comunque. E dunque responsabile non solo di mettere la firma sui contratti – ipse dixit – ma anche di decidere a chi proporli, quando e come.

Domande
Il presidente del Cagliari si è detto disilluso. Non solo, si è definito come possibile problema. Dando ragione, quindi, a quella parte di ambiente che da tempo sostiene la stessa tesi e che da tempo non ha più illusioni che vadano oltre la speranza di una salvezza senza troppi patemi. Forse una tattica, forse no. La sostanza resta quella delle parole, come quelle che hanno certificato la permanenza di Nicola sulla panchina nonostante la delusione detta anche nel faccia a faccia post Empoli con l’allenatore piemontese. Giulini ha difeso mercato e rosa conseguente, ha lanciato il sasso del ritiro nascondendo la mano nel lasciare la decisione finale a Nereo Bonato e Nicola, ha abbracciato il gruppo di calciatori definendolo sano al contrario di altre stagioni con mele marce a minarne la stabilità, ha comunque messo sul palco tutta l’area tecnica perché, in fondo, “non vado in campo e non decido le scelte di campo“. Di tutto un po’, un po’ di tutto. La sostanza è però che il presidente rossoblù ha parlato e tanto. Bene? Correttamente nei modi e nei tempi? Con franchezza e onestà anche sulle scelte del prossimo futuro? Lo diranno i giorni che verranno, lo dirà la permanenza o meno di Nicola in panchina anche oltre la sfida di Parma in arrivo dopo quella di Coppa Italia contro la Cremonese. Perché in fondo Giulini ha sì messo se stesso sul banco degli imputati, ma tra le righe ha anche indicato altri possibili colpevoli. Bastone e carota, stabilità e incertezza. Un gioco già visto, conferme durate a volte poco più altre anche meno di ventiquattr’ore.

Fantasma
Chi ha tempo non aspetti tempo. Sembra questo il mantra della decisione di Giulini di presentarsi davanti ai microfoni. Dopo la quinta giornata, non a frittata ormai fatta o comunque almeno cotta a metà. Mettendo il punto su una situazione complessa, non irrecuperabile ma che potrebbe diventarlo. Che il presidente rossoblù abbia colpe nell’arco di tutta la sua gestione è lapalissiano. Che ne possa essere realmente consapevole – e non per semplice gioco mediatico sostenerlo dopo l’Empoli – lascia qualche dubbio. Dinamiche che si ripetono uguali a loro stesse, gironi di andata drammatici che costringono a inseguire – tranne quello famigerato (positivamente) con profumo d’Europa con Maran in panchina – e a portare correttivi a gennaio, allenatori bruciati uno dietro l’altro e via andare. La sensazione, ché certezze non possono essercene, è che l’addio di Claudio Ranieri abbia lasciato un vuoto di personalità e quello di una figura che fungeva da collante per l’ambiente, un vuoto (certo) che ora Giulini vuole riempire nella tempesta (possibilità). A ragione o a torto. Senza avere l’amore della gente alle spalle e senza essere intoccabile come Sir Claudio, anzi. Senza avere le caratteristiche del parafulmine. Essere proprietari e presidenti di una squadra di calcio di Serie A è una responsabilità che porta il buono e il brutto. Lo sa Giulini tra manifesti e contestazioni rimaste un ricordo lontano con Ranieri alla guida a fare da paciere fisiologico. Essere proprietari e presidenti di un club come il Cagliari anche in maniera più grande, perché il marketing di una terra un popolo una squadra non può funzionare solo in chiave di vendita di un’idea e di una storia, ma diventa anche un impegno verso quel popolo e quella terra. Un ambiente che meriterebbe di più, al di là delle parole di circostanza, sentite o meno. Un ambiente che è da tempo disilluso (almeno in parte, grande o piccola che sia), non da oggi come appare dalle dichiarazioni di Giulini. Un ambiente che chiede un cambio di passo da anni, un cambio che significa crescita passo dopo passo e non un ballo che ti porta un metro avanti e poi due indietro, costantemente, sempre uguale a se stesso. Il futuro prossimo darà le risposte, il presente non è roseo. Il passato, in un patto da stringere, deve essere dimenticato, sia quello glorioso di oltre cinquant’anni fa (Giulini ha citato Gigi Riva senza nominarlo parlando del suo anno numero 11 di gestione) sia quello delle delusioni delle ultime stagioni: conta il futuro, contano i fatti. A prescindere da allenatori, direttori sportivi, giocatori che, va detto, non si scelgono da soli. Al contrario questa nuova crisi sarà solo l’ennesimo momento pronto a tornare, in un ciclo continuo e infinito che avrebbe come vittime soltanto i tifosi. Pro, contro o a metà che siano.

Matteo Zizola

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