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L’Analisi | Difesa a tre e cambi mancanti, gli errori del Cagliari a Venezia

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La premessa è d’obbligo. Il Cagliari che ha pareggiato a Venezia, senza riuscire a segnare il gol che avrebbe garantito la salvezza, è vittima di errori e problemi che partono da lontano. Agostini, nel quadro generale, è senza dubbio il meno responsabile della disfatta. La gara del Penzo, però, ha messo in mostra anche alcune incertezze dell’ex terzino rossoblù, non sicuramente tra gli imputati alla sbarra, ma che può essere colpevole di omissione di soccorso.

Avvisaglia

Mentalità, assenza di anima e di leader, quel dare tutto già visto contro l’Inter che alla resa dei conti è diventato poco, pochissimo nei fatti. Il massimo nel serbatoio dei giocatori rossoblù non ha mai fatto spegnere la spia della riserva. Eppure nei primissimi minuti le congiunzioni astrali sembravano poter portare a un solo risultato, la salvezza. Partendo dall’errore di Johnsen davanti a Cragno, brivido che avrebbe dovuto svegliare i rossoblù dal torpore assieme al gol di Deulofeu all’Arechi.

L’incursione centrale di Cuisance mette in mostra le prime crepe – mentali e tattiche – del Cagliari. Bellanova ne è l’immagine perfetta, con quella corsa verticale in recupero che, al contrario, avrebbe dovuto essere in diagonale. Manca il taglio dell’esterno rossoblù a coprire su Johnsen, mentre Altare segue correttamente l’inserimento di Peretz.

Cambio Rog

Le scelte iniziali sono il primo elemento da sottolineare in rosso. Agostini decide di ripresentare Nández dal primo minuto, ma assieme al León ecco Grassi confermato ma non Rog, con Deiola a completare la mediana. L’ingresso del croato per l’infortunato Lykogiannis, con Bellanova spostato a sinistra e Nández a destra, sveglia i rossoblù che trovano nel numero 6 quel giocatore capace di far salire il centrocampo con incursioni verticali.

Non è un caso che il primo vero pericolo per la porta di Maenpaa sia la conclusione di Rog dalla distanza, frutto di un inserimento nello spazio del nuovo entrato e conseguente tiro dai 20 metri. Bravo Joao Pedro ad assecondarlo, mentre si può notare la poca occupazione della trequarti offensiva da parte del Cagliari.

Denti e pane

La scelta del 3-5-2 in una partita da vincere a tutti i costi, assieme alla rinuncia di un centrocampo più tecnico che fisico, sono altre chiavi della disfatta. Il risultato è un attacco povero, nel quale Pavoletti e Joao Pedro hanno poco supporto e le chance latitano.

L’esempio che racchiude il tutto è nell’ultima occasione della prima frazione, quando Bellanova arriva in ritardo sul secondo palo nel tentativo di chiudere in porta un cross dal lato opposto. Cross che parte dal piede destro di Pavoletti, dettaglio che non ha bisogno di spiegazioni. Quando il tuo ariete non solo non riceve mai traversoni adatti alle sue caratteristiche, ma addirittura arriva a essere lui a mettere il pallone dentro l’area, diventa evidente che ci sia qualcosa che non quadra.

Benzina

Il Cagliari, nonostante le notizie che arrivano da Salerno, sembra sulle gambe troppo presto. Mentalmente svuotato, fisicamente senza quello scatto per superare l’ostacolo.

L’occasione che arriva con il tiro deviato di Bellanova ne è lo specchio. Quando Grassi ha la palla al limite dell’area e cerca un movimento o uno sbocco per servire un compagno dentro i sedici metri, ciò che trova sono giocatori fermi, senza nessuno che provi a dare un’opzione diversa dallo scarico nuovamente sulla sinistra.

Bellanova, al netto degli errori sottoporta e difensivi, è assieme a Nández l’unico che davvero prova dei movimenti per liberarsi. L’esterno ha sulla testa la palla salvezza, ma Maenpaa si supera. Interessante il modo in cui arriva l’occasione, con il León che serve sul lato opposto il compagno in maniera perfetta e Bellanova che arriva dentro l’area con una corsa senza palla altrettanto efficace. Un lampo nel buio.

Inutile paura

Infine i cambi, vera e propria nota dolente della gestione della gara da parte di Agostini. Ritmi bassi, poco da perdere a maggior ragione con le notizie in arrivo dall’Arechi. Passano i minuti e sia Keita che Pereiro restano in panchina senza alcuna ragione apparente. La difesa resta a tre, anche quando Ceppitelli alza bandiera bianca – e ci sarebbe l’occasione per portare un assalto all’arma bianca – a entrare in campo è Lovato. Quando a dieci minuti dal termine finalmente arriva il momento del Tonga e di Keita, Agostini opta per togliere dalla contesa Grassi e Pavoletti. Soprattutto il livornese è così protagonista della solita staffetta con il senegalese, proprio nel momento in cui sembra maggiore il bisogno di una torre in avanti per scardinare la difesa del Venezia.

L’azione che porta alla conclusione di Pereiro e al tentativo di tap-in di Joao Pedro è l’emblema di ciò che avrebbe dovuto essere e non è stato. Un Cagliari con tanti uomini a riempire la trequarti offensiva, che può arrivare sulle respinte e provare il tiro da fuori per far uscire il Venezia. Peccato che tutto ciò arrivi soltanto nel finale, peraltro in una gara dai ritmi bassi e con un avversario non esattamente al massimo. Una gara per Pereiro, Keita, Pavoletti e Joao Pedro assieme, per una difesa che da tre avrebbe potuto passare a quattro con due esterni di spinta offensiva, rischiando magari la sconfitta ma almeno provando a buttare il cuore oltre l’ostacolo. Invece la paura anche dalla panchina l’ha fatta da padrona.

Matteo Zizola

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