Le ultime settimane del Cagliari sembrano un remake di Ricomincio da capo. Attore principale non Bill Murray, ma Walter Mazzarri. Nessuna radio a svegliare il protagonista ogni mattina alle 6 in punto con la solita canzone, ma le sconfitte sempre uguali, nate da errori che si ripetono, con tentativi di rimediare in corsa identici a quelli precedenti. E nonostante i tentativi a ogni giornata di suicidi sportivi, la successiva rinizia con le stesse possibilità e lo stesso copione da vivere.
Solito approccio
Il giorno della marmotta dei rossoblù ha avuto una sola pausa. La vittoria contro il Sassuolo è stata di fatto l’eccezione che ha confermato la regola. Le altre sette partite sono state sette sconfitte che dal punto di vista tattico hanno avuto poco da dire. E quel poco è sempre rimasto tale, quasi il nulla in fase offensiva e difficoltà in quella difensiva.
Che la partita contro il Verona fosse cominciata con il piede sbagliato lo si è capito fin da subito. La prima occasione per i gialloblù arriva in apertura e nasce da una palla recuperata da Hongla che di forza la strappa a Marin. Il romeno temporeggia troppo, paga il mismatch fisico – aspetto che si ripete da tempo – e soprattutto l’assenza di opzioni di giocata da parte dei compagni. Grassi è lì, ma si fa vedere timidamente. Lovato chiama il retropassaggio al portiere. Deiola resta nella sua personalissima caverna in mezzo al campo dalla quale non è praticamente mai uscito nel pomeriggio della Unipol Domus.
Suicidio tattico
Gli uno contro uno non hanno pagato, ancora una volta. Contro l’Hellas, squadra che questo tipo di filosofia l’ha interiorizzata con Juric, giocare sugli scontri individuali a tutto campo è significato metterla sul piano preferito dagli avversari. Il gol del vantaggio arriva nonostante una superiorità numerica evidente sulla fascia sinistra di difesa, ma con l’attenzione troppo rivolta al proprio uomo di riferimento e le scalate totalmente assenti.
La premessa è che l’avvio e la prestazione tutta del duo Lovato-Dalbert sono stati da incubo. Il gol di Barak ne è un esempio lampante, con quel pallone conteso a Simeone che non viene liberato. Altare, dal canto suo, è proprio su Barak, altissimo ma con parecchio spazio da coprire per evitare l’attacco dello spazio del giocatore ceco. Grassi può essere un supporto, ma sembra quasi disinteressarsi non essendo Barak il suo avversario diretto. Sul lato opposto Goldaniga dovrebbe accorciare e fare una diagonale abbastanza scolastica, ma il suo pensiero è Caprari – il suo uomo – e non la visione d’insieme.
Una volta che Simeone vince il duello diventa evidente quello che si poteva temere a inizio giocata. Barak ha già preso il tempo ad Altare, Grassi non raddoppia con il necessario vigore, Goldaniga lascia una prateria tra se stesso e la zona del pallone.
Quando Barak arriva davanti a Cragno si possono notare due dettagli. Il primo è il vantaggio accumulato dal ceco sia su Altare che su Grassi. Il secondo, che ha del surreale, è Goldaniga che con lo sguardo cerca Caprari fuori schermo nonostante Barak sia di fatto sul punto di calciare a pochi metri dalla porta rossoblù. Un aspetto che potrebbe apparire secondario, ma che spiega l’essere completamente succubi di una filosofia a prescindere da ciò che accade in campo.
Si può apprezzare meglio il suicidio difensivo dei rossoblù dall’immagine orizzontale. Mazzarri ha scaricato le colpe sulle prestazioni di alcuni singoli, ma appare evidente che è la gestione generale della fase difensiva ad aver mostrato pecche enormi. Gli uno contro uno cercati dal Cagliari sono stati la causa madre della disfatta.
Il problema creato da un’aggressività fine a se stessa si è rivisto in occasione della parata di Cragno su Faraoni. Uomo su uomo, scalate assenti e quasi vietate. Così l’esterno del Verona attacca lo spazio lasciandosi alle spalle un Dalbert senza nerbo, ma la difesa invece di scalare e riorganizzarsi lascia che l’avversario affondi senza alcun problema fin dentro l’area. Basta un movimento senza palla, un tempo preso a un qualsiasi difensore del Cagliari, un errore individuale per portare a occasioni che poi, ovviamente, possono diventare facilmente gol.
Ahi Lovato
Il raddoppio del Verona arriva dopo l’unica vera azione sviluppata dal Cagliari. Prima di andare nel dettaglio della traversa di Keita, ecco la giocata del gol di Caprari. Il tutto parte da un lancio dalle retrovie a tagliare il campo da destra a sinistra, attaccando alle spalle la retroguardia alta – e uomo su uomo – dei rossoblù. Lovato tiene in gioco di mezzo metro Caprari, il resto è ancora una volta una gestione delle marcature senza possibilità di uscire dal copione pensato.
Caprari, ricevuta palla, punta l’area. Goldaniga lo affronta, ma piuttosto che condurlo sul fondo, gli lascia l’opzione del destro verso il centro. Nel frattempo Hongla taglia in verticale, con Deiola che lo segue. Ed è qui che manca la decisione corretta. Il sangavinese, infatti, fa un movimento di troppo a seguire l’avversario diretto – gli uno contro uno, di nuovo – facendo sì che Caprari più che trovare un raddoppio di marcatura trovi lo spazio per calciare verso Cragno.
Al momento della conclusione è evidente la gestione della fase difensiva errata dei due rossoblù. Caprari ha il pallone sul destro, il suo piede forte, e soprattutto ha tutta la luce possibile tra lui e la porta. Trovare l’angolino è fin troppo facile con Goldaniga e Deiola a coprire la soluzione meno pericolosa – l’esterno e il fondo – mentre lasciano libero lo spazio per il tiro.
Unico lampo
In mezzo a tanti lanci lunghi e a occasioni arrivate solo su azione di palla inattiva (Altare, Joao Pedro, il gol del capitano su punizione), l’unica giocata degna di nota del Cagliari ha portato alla traversa di Keita.
Giocata che peraltro appare del tutto estemporanea. Altare prova la verticale, per una volta non verso la testa delle punte ma più bassa. Joao Pedro viene fuori dalla linea difensiva, mentre Bellanova, Dalbert, Marin e Deiola sono pronti a supporto. Keita, dal canto suo, chiama la profondità e viene assecondato dal compagno con il numero 10. Il senegalese è bravo a lasciare scorrere il pallone mandando fuori tempo l’avversario diretto e a calciare di potenza, con Montipò che tocca quel tanto che basta per spedire il pallone sulla traversa.
La lotta salvezza non è ancora chiusa, ma la partita contro l’Hellas ha espresso la propria sentenza. Il Cagliari senza un piano differente difficilmente riuscirà a mantenere la Serie A. Gli uno contro uno a tutto campo favoriscono avversari più dotati fisicamente e con una maggiore leggerezza mentale. Inoltre espongono agli errori individuali anche giocatori fino a oggi perfetti – o quasi – come Lovato. Undici robot un tempo telecomandati e che oggi non riescono a liberarsi da un copione preordinato e si muovono a prescindere da ciò che la partita racconta. Che sia con o senza Mazzarri il Cagliari dovrà cambiare vestito tattico o, per lo meno, essere in grado di farlo in corso d’opera. Al contrario sarà davvero dura anche solo ipotizzare la salvezza.
Matteo Zizola