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L’Analisi | Cagliari, altra occasione persa: serve maggiore coraggio

Matteo Prati durante Napoli-Cagliari | Foto Valerio Spano
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Nessuna novità, solito copione e sensazioni contrastanti. Un po’ di rammarico, compattezza e attenzione come ingredienti principali, un pizzico di coraggio a fine cottura e complimenti quanto basta: la ricetta del Cagliari sconfitto a Napoli per 2-1 è tutta in questi ingredienti, serviti sul piatto classico delle differenti qualità che portano a un conto frutto del diverso cinismo quando si arriva al dunque. Zero punti, nuovo cambio tattico, specchio messo da parte, Natale che non ritorna con l’assalto finale senza risultato.

Individualità d’attacco in un 4-4-2 compatto
Offensivo negli uomini scelti, accorto nell’atteggiamento. Il primo tempo degli uomini di Claudio Ranieri è tutto qui: 4-4-2 con doppio centravanti, un esterno tattico e uno tecnico – ma entrambi chiamati al sacrificio – e tanta densità. L’idea di base quella di non lasciarsi prendere alle spalle dal Napoli, di chiudere le linee di passaggio centrali, di restare corti e provare quando possibile a ripartire o a incidere nelle palle inattive.

Il 4-4-2 scelto dall’allenatore rossoblù è stato il canovaccio tattico di tutti i primi 45 minuti. I temi sostanzialmente due dal punto di vista difensivo: Nández con una marcatura vecchio stampo su Kvaratskhelia – e l’aiuto di Oristanio nel raddoppio – e Dossena con Goldaniga a gestire il pericolo Osimhen.  La fase di possesso, al contrario, era affidata al lancio lungo per le due torri Petagna-Pavoletti il cui compito era quello di far respirare e salire la squadre e, quando possibile, guadagnare qualche fallo.

L’idea di Ranieri è ancora più chiara guardando il baricentro e la lunghezza medi durante la prima frazione. Squadra raccolta in quasi 18 metri e all’altezza dei 37 metri dalla porta difesa da Scuffet. Possesso palla lasciato senza problemi ai partenopei, duelli e fisicità come chiave. Non un bel calcio, ma sicuramente tanta quantità e attenzione. Il risultato un Napoli pericoloso raramente e grazie alle idee dei singoli, oltre che a un’azione da palla inattiva che ha messo in luce la solita disattenzione della retroguardia.

Sulla punizione dalla zona di sinistra d’attacco del Napoli è Politano a mettere il pallone verso l’area del Cagliari. Il problema arriva come ormai da copione sul lato più lontano, dove i rossoblù hanno sì un quattro contro quattro, ma senza che nessuno dei marcatori senta il diretto avversario e con gli occhi rivolti solo ed esclusivamente alla zona di battuta. Dossena, incaricato di andare sul pallone tra Osimhen e Rrahmani, manca il colpo di testa creando così i presupposti per la conclusione aerea poi stampatasi sul legno.

L’unico cambio avvenuto nei primi 45 minuti dal punto di vista tattico è stato quello tra Prati e Makoumbou. Inizialmente il giovane ex Spal giostrava sul centrosinistra, mentre il collega franco-congolese sulla zona di centrodestra. Ma dopo una serie di inserimenti senza palla di Anguissa che hanno sorpreso il numero 29 del Cagliari – nell’immagine il primo in apertura di gara – Ranieri ha deciso di invertire i due centrali di centrocampo guadagnandone in solidità. Prati ha infatti dimostrato di essere più portato alla chiusura dello spazio davanti alla difesa, evitando così le incursioni dell’avversario diretto, mentre Makoumbou – meno adatto nel lavoro di copertura senza palla – è stato messo di fronte a un più compassato Cajuste.

Il Cagliari ha fatto fatica per quasi 25 minuti a uscire dal proprio guscio, cercando sì di ripartire quando possibile ma mancando in supporto del collettivo all’azione offensiva e in dettagli tecnici. La vera occasione è arrivata con Nández, ma guardando all’azione nella sua interezza sono due i temi che risaltano. Il primo è quello del punto di partenza dell’uruguaiano, vera e propria ragione della fatica a concludere davanti a Meret e della poca lucidità nel vedere Petagna sul lato opposto. Il secondo è il riassunto della gara di Makoumbou, che sí ha preso diversi rischi, ma funzionali alla creazione di occasioni e al mantenimento del possesso senza buttare il pallone. Infatti è da un suo apparente rallentamento rischioso – unito a una verticalizzazione perfetta – che nasce l’occasione per Nández.

Cambio e gol
La ripresa inizia con una modifica sostanziale nello schema messo in campo da Ranieri. Dal 4-4-2 al 3-5-1-1, con il baricentro diventato giocoforza più alto e la squadra più lunga vista anche l’evoluzione della sfida.

Non più un undici raccolto in appena 18 metri, ma oltre il doppio di lunghezza – quasi 40 metri – e un baricentro quasi 20 metri più avanti, con una media di 55 e oltre. Non solo frutto del diverso atteggiamento nonostante il difensore in più, ma anche di un risultato di svantaggio interrotto per pochi minuti dal pareggio firmato da Pavoletti.

L’uscita dal campo di Nández non è stata decisiva tanto per le diverse qualità degli interpreti, o meglio non solo, ma anche per un equilibrio difensivo che si è rotto in una sorta di effetto domino che ha coinvolto l’interno di centrocampo di destra – Makoumbou – e il trio arretrato – Goldaniga, Dossena e Obert. A questo si aggiunga l’inserimento da parte di Mazzarri di Mario Rui, interprete differente rispetto a Natan che ha cambiato completamente la spinta sulla corsia mancina del Napoli.

Il gol del primo vantaggio dei partenopei arriva con la combinazione di tutti i fattori citati in precedenza. Raspadori che porta fuori dalla linea difensiva Goldaniga, Zappa che lascia un metro a Kvaratskhelia permettendogli l’appoggio a Mario Rui – mentre Nández era stato più aggressivo e Natan meno intraprendente – e infine l’esterno portoghese che ruba tempo e spazio a Makoumbou. Al centro, inoltre, Dossena e Obert seguono Osimhen apparentemente in controllo.

Se da una parte il duo di centrali appariva in posizione ottimale per contrastare l’attaccante del Napoli, dall’altra nonostante fosse chiaro l’obiettivo di Mario Rui nel servire il compagno né Dossena né Obert vanno a contrastare fisicamente il numero nove partenopeo nella corsa verticale. È quindi facile per Osimhen trovare lo spazio tra il numero 4 e lo slovacco, con il primo che manca l’anticipo e il secondo che non stringe. Scuffet potrebbe respingere con maggior forza la conclusione piuttosto centrale, ma la potenza del tiro da pochi metri è elevata e diventa difficile accusare il portiere di mancato miracolo.

La seconda rete segnata dal Napoli è, se possibile, determinata da una disattenzione ancora maggiore. Perché vero è che lo strapotere fisico di Osimhen non è una qualità facilmente limitabile, ma è evidente la mancanza di attenzione collettiva della fase difensiva rossoblù,

La giocata nasce da una verticalizzazione abbastanza leggibile di Di Lorenzo, sulla quale basta un singolo movimento di Raspadori a creare il primo problema. L’uomo su uomo funziona tranne che nel caso di Obert, intento a guardare la zona dove viene giocato il pallone dal terzino destro azzurro piuttosto che indietreggiare su situazione a palla scoperta. Raspadori è bravo a prenderlo alle spalle, ma allo stesso tempo chi potrebbe capire la giocata ancora meglio è Dossena, poco reattivo nell’andare sull’attaccante ex Sassuolo.

Ci sarebbe ancora tutto il tempo per rimediare perché, in fondo, quando Osimhen riceve il pallone sporco da Raspadori sono ben cinque i difendenti del Cagliari sul numero nove partenopeo. Su tutti Dossena e Augello, il primo che è leggero nel contrasto perdendo l’occasione per far perdere il tempo al nigeriano, mentre il secondo si limita a osservare quanto sta accadendo. Goldaniga è l’unico che prova a mettere maggiore convinzione nell’intervento, mentre anche Obert e Deiola sono piuttosto statici. Da notare la posizione di Zappa e Makoumbou, entrambi con sguardo completamente rivolto alla sfera e nessuna considerazione verso Kvaratskhelia sul secondo palo.

Quando infine Osimhen calcia con forza sul lato opposto alla ricerca del compagno georgiano, ecco che diventa ancora più evidente la staticità di Obert, Zappa e Makoumbou. Soprattutto lo slovacco dovrebbe chiudere la linea di passaggio abbassandosi leggermente, ma resta sulle proprie gambe. Zappa, invece, è nella cosiddetta terra di nessuno, né vicino a Politano centralmente né in controllo di Kvaratskhelia sul palo opposto. Makoumbou, infine, è il più giustificato dei tre per una posizione che è utile al controllo di un eventuale pallone all’indietro verso gli accorrenti centrocampisti.

Matteo Zizola

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