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L’Analisi | Cagliari, a Roma il riassunto di una crisi tecnica, mentale e tattica

Paulo Azzi durante Roma-Cagliari | Foto Valerio Spano
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In una riuscita imitazione di Luca Cordero di Montezemolo Maurizio Crozza andava alla ricerca del foglio del come. Idee chiare sull’obiettivo da perseguire, nessuna o quasi sui mezzi per raggiungerlo. Ed è questa l’impressione che ha dato il Cagliari di Claudio Ranieri sconfitto per 4-0 dalla Roma di Daniele De Rossi. Una squadra, quella rossoblù, che non dà l’idea di avere una propria idea, gioco di parole utile per spiegare cosa sia mancato all’Olimpico e non solo.

Ripetitività
Il gol subito dopo appena un minuto di gioco è allo stesso tempo alibi e colpa. Alibi perché quando subisci lo svantaggio dopo sessanta secondi dal fischio d’inizio ogni piano previsto e sperato va stracciato, oltre all’aspetto psicologico di una squadra ormai abbonata alla partenza ad handicap. Colpa perché intanto è sinonimo di un attacco alle partite non tipico di chi lotta per la salvezza, ma soprattutto perché ha messo a nudo l’assenza di un proprio copione a prescindere dagli episodi più o meno negativi. Se, infatti, la filosofia è sempre e comunque orientata al modellarsi sull’avversario di turno, non appena questo trova la chiave per passare la reazione diventa un nuovo copione imposto più che scelto. Con tutte le conseguenze del caso. E nonostante Ranieri abbia scelto per il suo Cagliari non un modulo a specchio con quello del collega De Rossi, ma un 5-3-2 in continua evoluzione che non ha portato nessun aspetto positivo di fronte al 4-3-3 della Roma. Il punto, infatti, non sembra essere il modulo qualunque esso sia, piuttosto l’atteggiamento che prescinde dallo schieramento tattico.

 

Se il gol in apertura firmato da Pellegrini su azione d’angolo è una costante, quello del raddoppio messo a segno da Dybala non è da meno. Non è un caso riproporre l’immagine della rete di Zapata nella precedente gara alla Unipol Domus contro il Torino, perché il 2-0 ad opera dell’attaccante argentino della Roma appare quasi una perfetta fotocopia di quello del colombiano. Non tanto nello sviluppo finale dell’azione, quanto in quello che ha aperto il campo e dato la possibilità ai giallorossi di ritrovarsi in superiorità nella transizione. Contro il Torino fu Hatzidiakos a seguire fin dentro la metà campo granata l’uomo diretto – nel caso specifico Vlasic – mentre contro la Roma è Obert ad andare alto su Dybala. In più il dettaglio che si ripete sia nell’episodio in sé che nel giocatore indiziato, ossia un triangolo lungo che trova Azzi impreparato e poco reattivo nel fermare il movimento senza palla, in un caso di Bellanova e nell’altro di Cristante.

La verticalizzazione di Karsdorp è di facile lettura, ma già in partenza Azzi perde il contatto con il centrocampista numero 4 della Roma. Si apre così una sorta di prateria in una situazione di gioco che Obert avrebbe dovuto leggere in maniera diversa. Squadra scoperta, prima linea saltata: andare a pressare alto il diretto avversario ha una ragione soltanto se si è sicuri di anticiparlo o se, in alternativa, si spende il cartellino giallo con un fallo a fermare l’azione. Al contrario l’effetto domino della pressione fuori tempo porta a conseguenze logiche e attese: inferiorità numerica in difesa, rincorsa costante degli avversari, la tecnica che fa la differenza.

 

 

Una volta superata la prima e la seconda pressione Cristante si trova a gestire una situazione di 4 contro 3 in proprio favore. La reattività dei centrocampisti in ripiegamento non è delle migliori, ma l’evoluzione della giocata giallorossa potrebbe essere ancora fermata con maggiore attenzione e, ancora di più, con una lettura migliore dei possibili pericoli. Prendere tempo per permettere ai mediani di dare manforte, scelta che effettivamente la retroguardia esegue e anche in maniera positiva.

 

Se le cose possono andare male, ecco che vanno se possibile anche peggio. Una trasposizione della legge di Murphy che descrive la finalizzazione della Roma dentro i sedici metri del Cagliari. Perché, quando la sfera arriva a El Shaarawy sul lato sinistro dell’attacco giallorosso, la difesa sembra in controllo. La differenza la fa la scelta di Prati, con il numero 16 che avrebbe l’accoppiamento servito su un piatto d’argento: seguire Pellegrini che attacca lo spazio vuoto dentro l’area piuttosto che pensare all’accorrente Dybala ai venti metri. Con Obert che osserva l’argentino e appare pronto a chiudere l’eventuale scarico all’indietro di El Shaarawy. Al contrario Prati lascia scorrere il numero 21 della Roma mentre Obert, pronto a tagliare verso i sedici metri, non ha il tempo di cambiare scelta e andare in soccorso dei compagni.

Highlights
Quella contro la Roma è una sconfitta che diventa sostanzialmente il riassunto di tutti i problemi del Cagliari. Tre gol nati da azione di calcio d’angolo, uno da duelli individuali persi. Una gara che ha messo di fatto d’accordo risultatisti e giochisti, perché né gli uni né gli altri possono essere contenti. Né del punteggio, né della prestazione. La difesa a zona mista su corner non paga, esempio lampante la rete di Huijsen per il 4-0 finale. Lo schieramento a tre o a cinque che si voglia non è l’elemento predominante, piuttosto è l’atteggiamento che ne deriva a marcare la differenza. Squadra troppo bassa e che quando prova ad alzarsi si allunga lasciando spazi tra le linee, poche idee di gioco quando si deve provare a produrre azioni d’attacco, il carattere e la disperazione come uniche chiavi per provare a raccogliere punti. E se si prova la pressione alta arriva prima o poi il duello perso che apre le transizioni avversarie, mentre se si aspetta non si riesce mai a ripartire con efficacia. In sostanza tutti colpevoli, anche Ranieri e un Cagliari che è indefinibile dal punto di vista tattico e di filosofia. Si dirà che l’ultima giornata è ancora lontana e che in fondo conta arrivare alla meta con almeno tre squadre alle spalle, ma il come è un elemento da non sottovalutare. In questo entra in gioco anche la società, anzi, soprattutto la società. Perché non può essere un caso che i rossoblù, di stagione in stagione, arrivino in primavera sempre nella stessa situazione. Ovvero con la testa appena sopra l’acqua se non completamente dentro, senza ossigeno e senza spina dorsale. Con la speranza che altri riescano a fare perfino peggio, in un gioco a eliminazione nel quale ognuno prova a sbagliare più degli avversari, a mancare occasioni, a tenere ferma la classifica. Ma, non si può nascondere, il Cagliari è tra le concorrenti per la permanenza in Serie A quella che quasi mai ha dato l’impressione di sapere cosa fare, quando farlo e soprattutto come farlo. E questa no, non è una buona notizia nonostante sia ancora tutto aperto e si possa, almeno, salvare il salvabile.

Matteo Zizola

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