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Jefferson e McKinnie: i due volti di una Dinamo Sassari che può crescere

Alfonzo McKinnie e Brandon Jefferson durante Banco di Sardegna Dinamo Sassari - Segafredo Virtus Bologna | Foto L.Canu / Ciamillo-Castoria
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Potenzialità espresse solo a tratti, una tenuta fisica e mentale da migliorare. I dubbi, prima della pausa, sembravano essere più sostanziosi rispetto alle certezze in casa Dinamo Sassari. La sosta ha consentito il lavoro utile toccare i nervi e i muscoli che meno finora avevano risposto agli stimoli, ha permesso a chi aveva mostrato già buoni input di dare continuità e a chi era chiamato a dare dei segnali di poterlo finalmente fare. Se il successo con la Virtus Bologna è stato anche costruito su scelte precise e su un lavoro collettivo fondamentale, il PalaSerradimigni è stato comunque l’ambiente ideale per dare vita a quanto desiderato tra i singoli. Con Brandon Jefferson e Alfonzo McKinnie che hanno impersonificato le anime di una Dinamo che ora dovrà trovare costanza.

Collettivo

Sono stati due gli elementi principali per costruire la vittoria numero otto in campionato: aggressività e pazienza. La prima sul lato difensivo e a rimbalzo. La scelta di passare il più delle volte sopra i blocchi lontano dalla palla, cambiare solo se necessario ma di essere sempre reattivi nel farlo – motivo per cui Markovic ha scelto di giocare tanto con Diop sul parquet e di sfruttare nel finale McKinnie da cinque tattico – di riempire l’area per concedere qualcosa in più sull’arco ma di non far emergere la forza fisica avversaria sotto le plance come temuto. Questo non ha indebolito Sassari a rimbalzo, dove ognuno, su ambo i lati, ha svolto il proprio compito fino a equilibrare il confronto con la Virtus. La decisione di giocare tanto tre guardie contemporaneamente in campo è stato il trait d’union con i due versanti del gioco, perché da una parte ha consentito di non far calare il quantitativo di pressione sui piccoli avversari e dall’altra ha permesso di avere un trattamento della palla più adeguato al livello dell’avversario. A costo di rinunciare per diversi minuti rispetto al solito al proprio miglior difensore, Kruslin, che sul campo ha trascorso appena 8′. È qui che poi subentra il fattore pazienza. Sassari ha avuto più che in altre occasioni l’idea di attendere il momento giusto per colpire, di muovere il pallone e di creare con il timing giusto più opzioni grazie anche a spaziature che hanno diminuito l’impatto delle perse – appena 6 nel primo tempo – e reso più agevoli le scelte al tiro (23 gli assist finali). Aspetto, quest’ultimo, reso evidente in più situazioni ma soprattutto a cavallo tra secondo e terzo quarto, momenti in cui la lucidità è stata cruciale per non perdere le redini dell’incontro malgrado il tentativo della Virtus di girare l’incontro con la propria esperienza.

Protagonisti

Sono stati due anche gli attori principali, uno del quintetto base, uno in uscita dalla panchina. Perché anche se il basket non è puramente matematico, il binomio tra le due realtà conviventi ma differenti può risultare fondamentale. Da una parte Brandon Jefferson, dall’altra Alfonzo McKinnie. Prima la preparazione del letto, la scelta delle coperte poi rimboccate e infine la buonanotte alle V Nere per rendere tutto amaramente confortevole: in 31′ sul parquet, Jefferson è stato continuo, quasi illeggibile per la difesa virtussina fino allo stepback che ha mandato per terra Abass e chiuso la partita a trentadue secondi dalla fine. Ventinove punti finali, sette su dieci dall’arco, sei assist, trentasei di valutazione, in un pomeriggio facilitato dalla condivisione delle responsabilità nella gestione dei possessi ma resa unica dalla voglia di mordere la gara. Cifre che possono descrivere l’impatto di un giocatore che della pausa per prendere respiro aveva bisogno per togliere frenesia e ruggine, ma che da quando arrivato sull’Isola ha fatto capire di poter dare un altro volto a una squadra apparsa il più delle volte spaesata in passato (16 punti di media in 8 partite, con il 45.8 da tre). E anche se gli avversari, Virtus compresa con Hackett spalle a canestro a dar fastidio a esemplificarlo, possono sfruttare i naturali mismatch che si vanno a creare, il texano ha finora fatto capire che ad avere maggior effetti sono i vantaggi creati dalla sua presenza sul parquet. Compresa quell’esperienza di cui una squadra non giovanissima nell’età media, ma in alcuni casi poco maliziosa e consapevole, aveva estremamente bisogno.

Se l’ex Strasburgo aveva dato già prova di poter essere il giocatore a cui affidare il pallone, la sorpresa più dolce è stata quella di Alfonzo McKinnie. Atteso per tanto tempo, un punto di domanda fino a terminare spesso sui banchi degli imputati per via di potenzialità esistenti, adatte per fisicità e caratteristiche anche a una pallacanestro europea dimostratasi però di non facile lettura per l’ex Golden State. Con la Virtus qualcosa potrebbe essersi sbloccato e i sorrisi dei compagni a fine partita nei suoi confronti, quasi a confermare le aspettative e la fiducia del gruppo, sono una prova in più da tenere in considerazione. “McKinnie ha un potenziale pazzesco, credo che lui sia il migliore in campo di oggi“. Parola di coach Nenad Markovic, che dalla sua ala ha avuto un rendimento che in una partita equilibrata non aveva mai avuto. Il lavoro evidente nei movimenti senza palla dal lato debole è stato il fiore all’occhiello di un primo tempo da 10 punti, quello a rimbalzo su ambo i lati del campo e in difesa con una reattività mai osservata quello dei secondi venti minuti. Una prestazione a tutto tondo, in cui la parte più interessante del tabellino oltre ai 14 punti finali, con 4 punti pesantissimi negli ultimi minuti di gara, sono stati i 4 rimbalzi e i 3 recuperi, dato più alto tra tutti i nove biancoblù in rotazione. Possono sembrare numeri meno esaltanti, ma sono in realtà la fotografia di quello che il giocatore statunitense può portare in dote se posto all’interno di un sistema che lo vede in equilibrio tra un accenno di protagonismo e il servizio della squadra a cui in carriera è stato abituato. Quello di cui la Dinamo ha estremamente bisogno per provare a continuare ad allontanarsi dalla zona pericolosa della classifica, risalire la china e giocarsi il tutto per tutto per cambiare definitivamente volto a una stagione in cui il tragitto finora è stato poco pianeggiante.

Matteo Cardia

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