Quasi una premonizione. Come se Claudio Ranieri fosse consapevole che prima o poi sarebbe arrivato il momento di alzare la voce, pur se con la consueta calma e stile inconfondibile. Nella conferenza stampa che ha preceduto la sfida contro l’Ascoli, infatti, il tecnico rossoblù aveva difeso la squadra, con quel “guai a chi mi tocca i miei giocatori, io voglio il massimo da loro ma è giusto che li protegga”. E così, dopo la vittoria contro i bianconeri, le parole di delusione verso i primi fischi della sua gestione non sono state un fulmine a ciel sereno, ma parte di una filosofia che parte da lontano.
Sostegno
“Da soli non ce la facciamo, serve sostegno nei momenti difficili. Quei fischi mi hanno ferito, la squadra stava correndo, male, ma stava correndo. Ho bisogno di uno stadio dietro, i fischi vanno bene a fine partita, durante sono brutti. I ragazzi mi stanno dando tutto, questo i tifosi lo devono capire“. Nella pancia della Unipol Domus, davanti ai giornalisti nella consueta conferenza stampa, Ranieri ha mostrato tutta la propria contrarietà per i cori e i fischi arrivati durante il primo tempo e al rientro negli spogliatoi. Il tecnico rossoblù ha sottolineato, ancora una volta, l’importanza del pubblico per aiutare la squadra a superare i momenti complicati, come d’altronde fece fin dal primo giorno del suo ritorno in Sardegna. Come se sapesse le difficoltà psicologiche del gruppo prima ancora di conoscerle direttamente. Non tanto bastone e carota, ché il primo ha più il sapore della punizione e il secondo del contentino. Piuttosto la frusta per stimolare in alcuni casi i calciatori più abili a gestire le sollecitazioni – come Azzi e Luvumbo – e un muro per difendere la rosa e i singoli da qualsivoglia critica relativa all’atteggiamento. Basta ricordare le parole dopo la sconfitta di Modena, una prestazione sottotono ma che Ranieri commentò con l’ormai consueta visione del bicchiere mezzo pieno. “Sono contento della prestazione, i miei giocatori hanno dato tutto. Di più non potevamo fare” dichiarò Sir Claudio dopo il passaggio a vuoto del Braglia. Parole simili se non identiche a quelle arrivate dopo ogni mezzo passo falso, leggasi i quattro pareggi consecutivi dal Genoa fino al Brescia. E che ricalcano quelle prima della sfida contro l’Ascoli, quel “di Brescia salvo l’impegno dei ragazzi” o ancora il “dopo aver dato tutto, così come i miei giocatori, accetto tutto“, senza dimenticare che “la cosa più importante resta il sentirsi squadra e parte integrante di quest’Isola e i ragazzi lo stanno facendo“.
Concetti
Identità, appartenenza, impegno. Le tre parole chiave di Ranieri fin dal suo arrivo. Ed è qui il nodo della delusione di fronte ai cori sul tirare fuori gli attributi e i fischi successivi. Perché l’allenatore romano non chiede identità, appartenenza e impegno soltanto alla propria squadra, ma anche all’ambiente. Dal primo giorno, come costante in quasi tutte le dichiarazioni pre e post partita. Il classico dodicesimo uomo in campo, quello che a volte può diventare il dettaglio che fa la differenza tra una vittoria e una sconfitta. “Ai tifosi voglio dire: possiamo giocare male, ma stateci dietro. Fischiate e contestate a fine partita, ma durante la gara soffiateci dietro“. Era il 3 gennaio e Ranieri con quelle parole stipulava il proprio patto con l’ambiente. L’entusiasmo del suo arrivo come molla per trasportarlo verso la squadra, dopo mesi bui e una retrocessione difficile da digerire. Ed è forse per questo che Sir Claudio ha voluto sottolineare la propria contrarietà dopo la gara contro l’Ascoli, quasi come se quel contratto virtuale con il pubblico sia stato momentaneamente stracciato, vittima degli umori di una piazza ancora segnata dal recente passato. Anche perché Ranieri ha finora mantenuto le promesse di una maggiore vicinanza ai tifosi, partendo dagli allenamenti aperti come non accadeva da tempo immemore. E regalando proprio contro l’Ascoli un secondo tempo di battaglia e lotta, quello che lo stadio chiedeva con i mugugni dei primi 45 minuti.
Filo rosso
Le colpe dei padri, in sostanza, non dovrebbero ricadere sui figli. Ovvero, ciò che è stato sbagliato in passato non può incidere sul presente e sul futuro. Inutile piangere sul latte versato, ora è necessaria unione d’intenti tra tutte le componenti. Questa la filosofia di Ranieri, a ragione o a torto. D’altra parte, però, il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce e lo stadio vive anche di emozioni difficilmente controllabili. A maggior ragione se la delusione ha fatto parte integrante dei sentimenti del pubblico nelle ultime stagioni. E dopo quattro pareggi e una prima frazione di difficoltà, i vecchi fantasmi di una squadra incapace di buttare il cuore oltre l’ostacolo sono tornati a fare capolino sulla Unipol Domus. Creando quel clima di principio di contestazione che ha stupito Ranieri. Ed è qui che tecnico e tifosi dovranno trovare un punto d’incontro d’ora in avanti, perché proprio l’allenatore romano disse sempre nella sua prima conferenza che “l’entusiasmo ce lo devono dare i calciatori in primis e poi i tifosi“. Come avvenuto in passato, non tanto nel periodo d’oro con Maran in panchina – quando i risultati rendevano più facile la spinta del pubblico – quanto ad esempio nell’era Lopez alla fine della stagione 2018-2019. Ci fu allora un momento che può raccontare a Ranieri quali siano le richieste del pubblico rossoblù. Il Cagliari arrivava dalla debacle di Genova contro la Sampdoria, la zona retrocessione era diventata parte integrante della classifica, la sfida contro la Roma in casa alla terzultima giornata di fronte a un ambiente in fibrillazione. Il Cagliari perse, restò vicino al baratro, ma dopo il fischio finale arrivarono applausi che furono anch’essi la causa dell’onda lunga positiva che portò i rossoblù a vincere a Firenze e salvarsi. Applausi frutto non solo della grinta dimostrata, ma di quella capacità di buttare il cuore oltre l’ostacolo, di superare le difficoltà o almeno provarci, di mostrare i cosiddetti attributi come da classico invito sentito contro l’Ascoli. Ed è qui che si sono incontrati i giocatori, Ranieri e l’ambiente. Ed è qui che il raggiungere l’obiettivo finale passa in secondo piano se per lo meno ci si è provato con tutto ciò che si ha e contro ogni avversità. Uno scatto psicologico richiesto da tempo dalla piazza e che ora potrebbe essere finalmente arrivato. E le parole di Ranieri, non casuali, sembrano il primo passo per rimettere il Cagliari al centro del villaggio. E alla fine, solo alla fine, tirare una riga e tracciare un bilancio. Festeggiando o contestando, ma solo dopo aver soffiato sul vento della rivoluzione gentile di Sir Claudio.
Matteo Zizola