Lunghi adattamenti, potenzialità mostrate solo a tratti, mentre il tempo a disposizione per cambiare passo vista la classifica sempre più corta e preoccupante in Serie A sembra però diminuire. Alfonzo McKinnie e Vasilis Charalampopoulos sono i volti che forse più di altri rappresentano le difficoltà di una Dinamo Sassari che ancora cerca una propria identità ben definita. L’inizio del nuovo anno e un denso mese di gennaio sanno di esame per tutta la squadra, ma soprattutto per chi era stato scelto per dare più dimensioni ai sassaresi, soprattutto in attacco.
Parole
“Sappiamo che dobbiamo ancora lavorare tanto e bene per rimetterci in carreggiata e nessuno si tirerà indietro, la società per prima, perché la Dinamo è un bene troppo importante per essere trascurato o peggio ancora non rispettato da tutti quelli chiamati a farne parte”, ha chiarito nel suo messaggio di fine anno il presidente del club Stefano Sardara. Parole che sono apparse come un richiamo a tutto il gruppo, già strigliato nel postpartita contro Venezia da coach Bucchi, che già a partire dalla gara 1 dei play-in di Bcl contro lo Cholet, oggi mercoledì 3 gennaio, dovrà dimostrare di aver capito l’antifona. Secondo La Nuova Sardegna, tra le righe del discorso del numero uno della società biancoblù si cela la possibilità di un nuovo intervento sul mercato dopo quello che ha portato all’addio di Whittaker e all’arrivo di Brandon Jefferson. Con il pacchetto delle ali che sarebbe quello osservato con maggiore attenzione per scelte maggiormente drastiche. Charalampopoulos e McKinnie vivono però due situazioni differenti al momento, complici anche i differenti trascorsi.
Conoscenza
L’ala di Egaleo era arrivata in Sardegna dopo la grande stagione vissuta a Pesaro. Un’annata che sembrava aver restituito alla pallacanestro un giocatore importante e non più un rimpianto viste le qualità espresse in patria tra nazionale e club. Dopo la prima partita amichevole contro Torino nel ritiro di Nuoro, l’era sassarese dell’ala ellenica ha preso però una piega inattesa. La motivazione di fondo resta, come per altri interpreti del quintetto biancoblù, la riacutizzazione di un problema fisico che ne ha rallentato l’inserimento nelle rotazioni e ancor di più nell’organizzazione su entrambi i lati del campo. Con un occhio di riguardo che si posa però sul lato offensivo, in cui Charalampopoulos era l’indiziato principale per fare compagnia a Filip Kruslin nella batteria dei tiratori. Senza dimenticare la possibilità di sfruttare i centimetri e il peso in più rispetto a diversi pari ruolo in situazioni di post-up. Il tutto però non è andato secondo i piani, soprattutto perché il greco tira a oggi con il il 28% dall’arco, una percentuale poco lontana dalla peggiore fatta registrare in carriera – 26.8% – quando ancora era un giovane nelle rotazioni del Panathinaikos. Numeri che si manifestano nonostante la creazione di alcuni buoni tiri per le sue mani, anche se meno di quanto probabilmente ci si aspettava, e alcune prestazioni di livello: dalla reazione alla partenza in quintetto contro Varese, alla prove contro Trento, Scafati e soprattutto Brindisi, gara in cui la stoppata su Jackson è valsa la quarta e ultima vittoria stagionale in Lba. Nel mezzo tante difficoltà nel trovare continuità, nonostante il tentativo di provare a crescere negli altri lati del gioco per arginare l’emorragia al tiro, sfruttando un qi cestistico da non sottovalutare. Un atteggiamento che rende Charalampopoulos forse meno esposto ai pericoli di eventuali scelte pesanti in sede di mercato. La Dinamo inoltre senza il giocatore ellenico rischierebbe di perdere un elemento che già conosce il campionato e non ha bisogno di particolari adattamenti a livello tattico, ma “solamente” di una mera crescita nel suo rendimento in cui potrebbe far differenza una maggiore fiducia dai 6.75.
Adattamento
Un quadro differente rispetto a quello di Alfonzo McKinnie. Che per il giocatore statunitense l’adattamento all’Europa non sarebbe stato corto o semplice non era un mistero. Il processo però si è fatto ormai troppo lungo, con una vera e propria via d’uscita che al momento sembra non esserci. L’ex Golden State Warriors, approdato sull’Isola per sostituire l’infortunato Eimantas Bendzius, ha finora mostrato poca capacità di adeguamento alla pallacanestro del Vecchio Continente e specialmente italiana. Diversa per tempistiche di stagione – sia per quanto riguarda la Nba che la GLeague in cui McKinnie ha giocato gli ultimi due anni – che per tempistiche di gara e, infine, per i compiti richiesti. La prova evidente è la conflittualità con un metro arbitrale da cui spesso finisce per essere punito con velocità, come accaduto più volte durante l’annata e anche nell’ultima sfida contro Venezia. “Deve capire che ora si trova dall’altra parte dell’Oceano” le parole di Bucchi dopo la sfida con gli orogranata. Dichiarazioni che mettono la giusta pressione addosso a un giocatore per cui la società ha fatto uno sforzo importante quando il mercato presentava ormai poche chance, ma che finora ha latitato nella presa di responsabilità e soprattutto sul lato della solidità, per lo più dal punto di vista difensivo. Eppure, le potenzialità si sono mostrate, anche se raramente. A partire dalle capacità evidenti in transizione o all’apporto a rimbalzo mostrato in alcune uscite, come quella di Ludwigsburg in Bcl. Troppo poco però al momento per convincere il pubblico sassarese. Gennaio, come per l’intera Dinamo, potrebbe essere il mese della verità, ma soprattutto potrebbe esserlo per il nativo di Chicago. Un taglio e differenti scelte sul mercato non sono però aspetti semplici su cui lavorare, soprattutto a livello economico. Perché senza un accordo tra le parti il contratto è comunque garantito, e a una separazione forzata corrisponde uno sforzo economico sotto forma di penale da sommare a quello della ricerca e dell’ingaggio di un sostituto. Aspetto da non sottovalutare in un mercato che già per compiere una scelta oculata nel reparto degli esterni ha mostrato le proprie difficoltà e peculiarità.
Matteo Cardia














