Una corsa lunga, sfiancante, ma bella. Perché guardandosi alle spalle la Dinamo Sassari vede dietro di sé dodici squadre sulle sedici totali. E da quella posizione, dalle prime quattro squadre d’Italia nella stagione 2021-2022, nessuno può toglierla. Perché è vero che nella stagione regolare la posizione è stata diversa, ma nei playoff la Dinamo ha dimostrato di valere qualcosa di più rispetto a quel sesto posto raggiunto con le unghie e con i denti. L’Olimpia Milano ha fatto valere il diritto consuetudinario dei campioni: leggi non scritte, che ti portano a lasciare il passaggio libero al più forte. I biancoblù però sono usciti a testa alta dal confronto e dalla stagione.
Senza storia
Gara 3 è stata una partita senza storia. Per merito di una Milano in missione e per una Sassari che, come detto da coach Piero Bucchi in sala stampa, la squadra è arrivata scarica e stanca alla partita. Il pubblico, ancora una volta, ha provato a fare la sua parte, riempiendo un palazzetto sin dall’inizio caldissimo, grazie anche a un primo assalto sassarese firmato Bendzius. Una sorta di sveglia per la squadra di Messina, che ci ha messo quasi un quarto intero però a trovare le soluzioni per arginare il lituano e il buon approccio di Bilan. È stata la panchina, soprattutto con Biligha e Baldasso, a far capire al resto della squadra quanto fosse importante provare subito a indirizzare la gara del PalaSerradimigni. La Dinamo ha resistito, ben supportata anche da un Gentile propositivo, almeno fino al 27 pari, quando Hines e Rodriguez, aiutati da un Melli a poco a poco tornato sui propri livelli, hanno cominciato a far male e a far scappare le Scarpette Rosse fino al 34-47 di metà gara. Nel terzo periodo la squadra di Bucchi ha provato a tornare sotto, spinta ancora una volta da Bendzius e dai lampi di Burnell e Kruslin, prima che però Melli sotto le plance, Baldasso dall’arco e Rodriguez con la sua regia mettessero parte del sigillo sulla gara. Troppa la libertà per gli uomini di Messina di colpire nel pitturato, poca la reattività sui cambi, pochi anche i fischi per cercare di spezzare il ritmo e tanta l’imprecisione in attacco, soprattutto vicino a canestro, per cercare di risalire. Così, malgrado un tentativo tutto d’orgoglio a inizio ultimo quarto, l’ex Virtus Roma e il Chacho hanno potuto mettere la serie sui binari del 3-0, quelli che hanno significato un’altra volta finale scudetto con Bologna.
Una serie complessa
Che la china contro Milano si sarebbe fatta ancora più ripida era sotto gli occhi di tutti. Una squadra in netta ripresa dopo l’eliminazione dall’Euroleague, che ha ritrovato un tassello fondamentale come Niccolò Melli e con giocatori vogliosi di lasciare il segno come Rodriguez, era l’osso più duro da affrontare per un gruppo che contro Brescia aveva dimostrato comunque di valere tanto. Non abbastanza però per far male a un roster che al completo probabilmente sarebbe arrivato a giocarsi nuovamente le Final Four di Eurolega. Sassari ha avuto la chance comunque in gara 2 di fare lo scherzo agli uomini di Messina: un colpo al Forum avrebbe quantomeno allungato la serie, ma proprio negli ultimi due minuti della sfida di martedì 31 maggio si sono viste quelle differenze di lunghezza delle rotazioni e nell’attenzione ai dettagli che nelle partite contro i grandi fanno la differenza. Milano ha messo in luce i problemi difensivi sassaresi e ha far fatto fatica ai suoi punti di forza. Burnell è stato limitato a 6.3 punti di media rispetto agli oltre 15 della serie con Brescia, Bilan costretto a tanto lavoro in attacco per conquistarsi i vantaggi e a battagliare contro Hines e Melli. Poco poi lo spazio sul perimetro, soprattutto in gara 1 e nell’unica del PalaSerradimigni, con Sassari che così ha fatto fatica a passarsi il pallone in maniera armonica. Come invece ha abituato a fare per gran parte dell’arco della stagione. Che rimane comunque brillante.
A testa alta
L’annata della Dinamo Sassari è paragonabile a quelle partite che cominciano male, dove il ferro sputa tutto il possibile e la sirena del secondo quarto è quella che aspetti per rimettere in circolo le idee e le energie. Una partita dove poi si torna in campo, con la giusta fame e con la consapevolezza dei propri mezzi, finendo per ribaltarla e portarla a casa. Il manifesto di uno sport dove tutto può accadere ed essere stravolto nell’arco di quaranta minuti o oltre, se necessario. Sassari è partita male, con tante scommesse, un po’ presuntuosa, per utilizzare le stesse parole del presidente Sardara. Poi però ha saputo rimettersi in carreggiata, prendendo decisioni anche amare – la separazione con Cavina in primis – ma sapendo scegliere gli uomini giusti per i secondi venti minuti della sfida. Coach Piero Bucchi è stato l’acquisto migliore dell’anno e lo sarà probabilmente anche per l’anno prossimo, in cui avrà l’occasione di cominciare a lavorare subito con una squadra costruita sulla base delle sue prerogative. Subito dopo viene un Gerald Robinson capace di cambiare il ritmo di tutta la squadra e di portare nuovamente positività in un ambiente che stava affrontando il primo periodo complesso dopo l’euforia dell’era Pozzecco. Non vanno dimenticati però né l’arrivo di Miro Bilan, che ha dato tante soluzioni in più a Sassari determinanti soprattutto nella prima serie con Brescia, e soprattutto chi ha saputo rinascere dopo una prima parte di stagione da dimenticare: da Eimantas Bendzius a Ousmane Diop e Kaspar Treier, passando per Stefano Gentile, Jason Burnell e David Logan, fino a un capitan Devecchi che, insieme a Chessa e Gandini sullo sfondo, è stato la bussola nei momenti in cui il vento era nemico delle vele biancoblù. Una stagione trasformata e diventata positiva. Linfa vitale per una prossima annata in cui Sassari cambierà , anche tanto, ma rimarrà sempre la squadra capace di trascinare fino al ferro un’intera Isola.
Matteo Cardia














