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Dinamo Sassari | Fame e unità d’intenti, i fattori di una serie meritata

Dowe, Treier e Diop esultano dopo un canestro dello statunitense in gara 4 di Dinamo Sassari-Reyer Venezia | Foto Luigi Canu
Chris Dowe, Kaspar Treier e Ousmane Diop esultano dopo un canestro dello statunitense in gara 4 di Dinamo Sassari-Reyer Venezia | Foto Luigi Canu
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Il fattore campo a sfavore, un roster avversario più lungo, con più energie fisiche a disposizione, ma anche basato sul talento oltre che sulla profondità, e in più un ultimo mese piuttosto positivo. Variabili a cui se ne potevano aggiungere altre e che a tanti avevano fatto pensare che la Dinamo Sassari potesse solo provare ad andare oltre l’ostacolo chiamato Reyer Venezia. Calcoli che però sono stati sommersi dall’energia e dalla fame biancoblù. Capace di stralciare la carta su cui si costruiscono i pronostici, nel rispetto più totale della natura della pallacanestro, sport poco a suo agio con le certezze scientifiche quando si tratta di vittoria o sconfitta.

Fame

Gara 4 è stata la più difficile per la Dinamo Sassari. La sfida più sofferta, anche in maniera più evidente rispetto a una gara 1 in cui i sassaresi avevano dovuto fare i conti con il clima playoff e una serata più che difficile al tiro. Perché Venezia aveva un solo dovere, quello di provare a vincere dopo le due sconfitte che ne avevano annullato completamente i propri piani iniziali. Anche per questo, dopo la palla a due la squadra di Spahija ha fatto capire di non voler lasciar nulla di intentato, con una pressione sulla palla e una protezione maggiore del pitturato che hanno retto in maniera continua per i primi 10’. Un quarto in cui Sassari si è poggiata tanto su un Filip Kruslin perfetto dall’arco, prima che tutti gli elementi entrassero ancora una volta in gioco, accesi nuovamente dall’intensità spaventosa di Diop da entrambi i lati del campo. Il secondo periodo si è trasformato in un clinic difensivo sul post basso, sulle tempistiche giuste da utilizzare nella collaborazione tra esterni e interni, ma anche un lasso di tempo in cui Sassari ha mostrato la capacità di essere sia paziente che estremamente cattiva agonisticamente parlando, specialmente a rimbalzo offensivo. Sfruttando ogni risorsa dalla panchina per tamponare l’assenza di punti nelle mani di giocatori come Bendzius e Jones. Un modus operandi che è proseguito a lungo anche negli ultimi venti minuti, malgrado la stanchezza e i problemi di falli. E nonostante Venezia abbia provato a far sentire il suo ruggito mettendo anche qualche mano addosso in più e nonostante un Granger che nel finale ha provato a rovinare la festa mettendo in mostra il suo talento individuale. La gara si è diretta così verso chi nelle sfide precedenti e nell’ultima serata vissuta al PalaSerradimigni aveva mostrato più unità di intenti. Qualcosa che fa sorridere riguardando al passato, a quel novembre scuro in cui Sassari sembrava dover abbandonare ogni sogno di ripetere quanto fatto nella stagione precedente. “Il basket è uno sport di squadra – ha detto in conferenza stampa Giacomo Devecchi puoi avere i migliori singoli del mondo ma se non giochi di gruppo non vai da nessuna parte. Da quando siamo così uniti stiamo riuscendo ad esprimerci al meglio. Anche chi gioca meno sa il suo ruolo e sa quanto può dare alla squadra in pochi minuti o in allenamento. Quando tutti remano dalla stessa parte una formazione diventa solida e ostica da battere. Anche al di là del valore tecnico. Così si raggiungono obiettivi che non sono scontati”. Dichiarazioni che spiegano più di tutto perché il Banco sia riuscito a prendersi di nuovo un posto tra le prime quattro squadre d’Italia.

Chiavi

E se si volesse rafforzare la tesi, i numeri e i fatti aiutano a capire quanto costruito partita dopo partita dalla squadra isolana. Come accaduto in gara 3, anche in quello poi diventato l’ultimo atto della serie Bucchi ha potuto allungare le proprie rotazioni a dieci giocatori, avendo da tutti gli interpreti un contributo almeno in uno dei due lati del campo. Senza così perdere quasi mai efficienza. Per questo la costanza su più fronti è stata una delle chiavi di una serie in cui Sassari ha negato a Venezia la possibilità di sfruttare la sua fisicità, annebbiando le idee avversarie con la propria reattività. Soprattutto a rimbalzo, fondamentale in cui Sassari ha avuto la meglio in ogni episodio della serie. Ma nel complesso è stata la continuità difensiva a far la differenza, a causare alla Reyer i maggiori problemi. “La difesa è il marchio di fabbrica di questa Dinamo” ha affermato coach Piero Bucchi a fine gara e l’affermazione. Quasi andando contro la storia di una Dinamo sempre vista come collettivo basato più sull’istinto offensivo che sulla forza nel proprio lato. Ma la serie con Venezia ha effettivamente trasformato a suo piacimento la realtà. Diop e Stephens sono stati quasi perfetti, così come un Bendzius fortemente sacrificato su Willis, nel lavoro nel pitturato. Ma dopo la prima serata anche quanto fatto sul perimetro ha fatto la differenza, a partire dal lavoro su Spissu, Granger e Parks, con i primi due che solamente in pochi sprazzi hanno potuto far pesare il proprio curriculum. Permettendo così alla Dinamo di correre ed esaltarsi nella collaborazione, confermando in più momenti delle sfide giocate la propria capacità nel passarsi bene il pallone e trovare protagonisti sempre diversi nell’arco dei 40’.

Futuro

I playoff sono un periodo strano quanto bello della stagione. In cui tutto si deve riscrivere per forza di cose velocemente, dove la vittoria te la puoi godere ma non troppo e dalla sconfitta puoi risorgere quasi subito. Chiudendo la pratica in anticipo contro Venezia, la Dinamo si è presa però una notte per festeggiare, qualche giorno di riposo in più e qualche ora ulteriore di lavoro in palestra. Che non potrà che far bene alla squadra sassarese, che ora è attesa dal quinto incontro nella storia playoff con l’Olimpia Milano, la cui partenza è prevista per sabato 27 maggio. Al Forum di Assago, per dirla come coach Piero Bucchi, non si andrà in gita. Perché per quanto complicato possa essere il confronto con la squadra di Messina, Dowe e compagni dovranno provare a mettere il bastone tra le ruote avversarie griffate Armani. Il pronostico stavolta è ancora più stringente, perché nella seconda parte di stagione Milano ha cambiato faccia e interpreti, trovando quella solidità a lungo cercata. Ma finché l’ultima sirena non suona, il basket tiene vive tutte le speranze. E si sa che sognare non è illecito.

Matteo Cardia

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