Epifania al sapore di carbone per la Dinamo Sassari con il 6 gennaio che non solo porta via tutte le feste, ma anche le speranze di disputare le Final Eight di Coppa Italia per il terzo anno consecutivo. Nel momento in cui i biancoblù erano chiamati a dare una svolta alla stagione in termini di ambizioni ed entusiasmo, in una gara alla portata dei ragazzi di Nenad Markovic, nonostante i problemi avuti da Renfro, Bendzius e il febbricitante Gazi, il Banco non ha risposto presente o meglio lo ha fatto solamente per un quarto e per poco più di un minuto nel terzo parziale.
Ambizioni
La gara con Varese era molto di più che una semplice partita di campionato. Era la possibilità per continuare a guardare oltre l’orizzonte e continuare a sognare un accesso alle Final Eight di Coppa Italia. Certo il percorso per strappare il pass per la coppa nazionale non era dei più semplici, però allo stesso tempo rimanere in corsa per quel traguardo avrebbe potuto dare nuove energie per mandare un segnale dopo la deludente scorsa stagione. La Dinamo era chiamata a dare una dimostrazione di crescita, in particolare dopo la bella prestazione di Cremona e contro una Varese alla portata. E dire che i biancoblù avevano approcciato bene, giocando con energia e realizzando un parziale di 8-0 che aveva lasciato presagi positivi. Poi dopo un primo quarto combattuto ma chiuso meritatamente in vantaggio, accade quello che non ti aspetti da un gruppo chiamato allo step successivo di crescita. Tante distrazioni, difesa molle, passaggi frettolosi e poco precisi, conclusioni molto spesso forzate che hanno permesso ai biancorossi di portare dalla propria l’inerzia del match: in altre parole il solito blackout Dinamo. La lezione da imparare dopo il successo casalingo contro Treviso, che contro Cremona sembrava appresa, nella sfida di ieri 5 gennaio non è apparsa del tutto assimilata. Nell’immediato futuro c’è la sfida di FIBA Europe Cup sul campo dello Cholet, un’occasione per lasciarsi alle spalle quanto di negativo visto ieri ma soprattutto per provare a rimanere in corsa per il passaggio del turno.
Dall’allenamento alla partita
Se due settimane fa contro i veneti le solite montagne russe biancoblù non hanno influito sul risultato finale, permettendo ai sassaresi di conquistare due punti preziosi, contro Varese sono costate care. Dai segnali convincenti mandati in allenamento durante la settimana alle risposte in controtendenza arrivate all’indirizzo di coach Markovic nelle partite. E così anche ieri il tecnico dei sardi, come fatto due settimane fa, ha posto l’accento su questo aspetto: “Ho parlato una settimana di difesa, di quello che dovevamo fare per fermarli, per come essere duri e aggressivi contro di loro, non abbiamo fatto niente di tutto questo“. Difficile dire a cosa sia dovuto questa incapacità di applicare sul campo quanto preparato in settimana, però il tecnico bosniaco ha le spalle larghe e si è assunto le responsabilità per le mancanze della sua squadra: “Sbagliamo per mancanza di concentrazione, per superficialità, non abbiamo fame di vincere, di competere, di prepararci al meglio“. Dalla volontà di combattere su ogni pallone, di avere tra le proprie fila “persone che dormano con la maglia della Dinamo” e che diano il meglio di loro stessi, al problema relativo alla mancanza di fame di vittorie menzionato da Markovic dopo il match contro Varese. Però analizzando nel complesso la stagione di Bendzius e compagni il percorso è in linea con le aspettative di inizio stagione in termini di classifica, quello che però serve per riportare la Dinamo a lottare per i playoff è un cambio di registro alla voce mentalità. Se da un lato la sconfitta contro i lombardi lascia parecchio rammarico per quanto si doveva fare e non è stato fatto, dall’altro è un ko che riporta alla realtà il Banco. Un presente che vede una Dinamo con un piede sul freno ma allo stesso tempo con cavalli ancora da sprigionare, in altre parole una realtà di una squadra con potenziale ma che è succube dei propri fantasmi e che di questo passo rischia di fissare l’asticella su ambizioni da anonimato.
Andrea Olmeo