La sconfitta fa parte della vita e così anche dello sport. A volte le delusioni sono macigni da deglutire in un tempo che sembra troppo stretto. La chiave però è guardarsi dentro, ammettere gli errori, confrontarsi per capire come affrontarli per cambiare. Non solo attraverso quelle che possono essere definite scorciatoie lecite, come nello sport può essere il mercato, ma anche imparando a guardare in faccia la realtà , anche se amara. La Dinamo Sassari è uscita sconfitta dal match che poteva dare un altro senso alla propria stagione in Basketball Champions League. La sconfitta non è un imprevisto, ma può avere diverse forme. Quella contro Ludwigsburg per Sassari ha avuto la forma peggiore, con il pubblico che forse per la prima volta ha deciso in maniera netta di far capire il proprio malcontento.
Risposta mancata
In tutti i timeout chiamati da coach Piero Bucchi la parola più utilizzata è stata “defense”, difesa. Lo sforzo è stato chiesto sin dalla prima pausa richiesta al tavolo, senza che però ci fosse davvero un passo in più nella propria metà campo. Cinquantaquattro punti subiti nei primi 20′, quarantatré negli ultimi e solo perché Ludwigsburg ha avuto una breve flessione a metà quarto periodo prima di tornare nuovamente a punire con Graves e Patrick e chiudere definitivamente la gara per l’80-97 finale. Il passaggio breve negli spogliatoi per l’intervallo non si immagina abbia avuto tanti temi se non la ricerca di una reazione quantomeno emotiva della squadra, che non è però arrivata se non in maniera marginale nell’ultimo periodo. Non abbastanza in una partita in cui il gruppo doveva rispondere alla sconfitta con Pistoia e in cui vincere, o perdere di meno di dieci punti, poteva portare ad avere meno stress fisico e mentale nel lungo periodo in Europa. Sassari ha scelto di complicarsi la vita da sola, sfilacciandosi quando più contava. I rimbalzi concessi agli avversari – ben 17 – ma anche la situazione in attacco sono l’altro sintomo della malattia. Perché i 18 punti di Tyree arrivano la maggior parte quando lo statunitense decide di portare avanti una battaglia personale a cui però non c’è un seguito, una voglia di collaborare e di sporcarsi le ginocchia evidente che possa far capire al pubblico di dover rimanere fino alla sirena finale. Motivo per cui non è passato inosservato che dal PalaSerradimigni più di un tifoso abbia lasciato gli spalti prima del 40′. E che chi sia rimasto abbia fatto capire di essere deluso.
Messaggio
Ludwigsburg non era un avversario impossibile, lo si era capito all’andata, ma era chiaro che in Sardegna la squadra di King sarebbe arrivata con il coltello tra i denti. Il divario è apparso più mentale, d’approccio, che sul piano degli aiuti e dei tagliafuori mancati. Anche perché con un pizzico di intensità in più Sassari ha avuto l’opportunità , pur giocando una delle sue peggiori partite dell’anno, di rimettersi in carreggiata. E a confermarlo sono state le parole del coach Piero Bucchi a fine partita: “Prima combattiamo all’interno della nostra pallacanestro, poi parliamo di pallacanestro”. Come a dire, prima tiriamo fuori qualcosa in più, almeno lottiamo, poi passiamo al resto del discorso. Sarà questa la base da cui ripartire, senza spiragli per altre questioni. Fidarsi di chi si ha attorno, ma anche nutrire un senso di rabbia da trasformare in determinazione. Qualcosa che sul campo può prendere la forma di una battaglia per un possesso in cui si nasconde la miccia per accendersi in attacco, trovarsi così sia in campo aperto che risorse per avere pazienza in attacco contro difese che ti tolgono ossigeno. Non è peccato pensare che l’ultima spiaggia per prendere delle decisioni più pesanti, a partire dalla composizione del roster, sia la sfida con Scafati di sabato alle 20.00 tra le mura del proprio palazzetto, quando la squadra dovrà guadagnarsi gli applausi mancati nel turno europeo. Di certo, chi non è in discussione è un tecnico che anche nella serata più complessa ha sentito gridare il suo nome dagli spalti con attestati di stima. Coach Piero Bucchi resta il trait d’union tra pubblico e squadra di cui Sassari ha bisogno per rialzarsi dopo gli schiaffi presi. Anche perché forse l’unico a mostrare lo sguardo giusto al termine di un incontro che per la Dinamo non può essere considerato come un semplice errore di percorso.
Matteo Cardia














