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Dario Del Fabro in azione con la maglia dell'Yverdon | Foto Facebook Yverdon Sport

Del Fabro (Yverdon): “Vi racconto la mia Svizzera. Sulle squadre sarde dico che…”

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Una bella chiacchierata con il difensore algherese cresciuto nel Cagliari, che dalla scorsa estate veste la maglia verde dell’ambizioso Yverdon, neopromosso nella Super League elvetica.

Un percorso da giramondo, alla ricerca di nuove esperienze esaltanti dopo un inizio di carriera da predestinato. Dario Del Fabro è cambiato tanto dai tempi degli esordi in Serie A con la maglia del Cagliari. Tra il 2012 e il 2013 l’allora 17enne algherese si affacciava al calcio vero marcando Klose, Vucinic e Matri: di quei tempi il difensore classe 1995 ha mantenuto soltanto il biondo dei suoi capelli, aggiungendo anni di esperienza tra Italia ed estero nel suo curriculum. Un vero e proprio Sardo on the Road fin dagli albori della carriera, arrivata alla quinta tappa extraitaliana: dopo Leeds (Inghilterra), Kilmarnock (Scozia), ADO Den Haag (Olanda) e RFC Seraing (Belgio), ecco la nuova avventura in Svizzera con la maglia dell’Yverdon Sport, club dell’omonima cittadina del Canton Vaud nota per la sua stazione termale.

Dario, raccontaci le tue prime sensazioni dopo quattro mesi in Svizzera con la maglia dell’Yverdon.

“Già in passato avevo avuto richieste dal campionato svizzero, quindi non mi era del tutto nuovo. Ho sempre seguito l’andamento, specie delle squadre che hanno disputato le coppe europee. Quando è arrivata la proposta dell’Yverdon l’ho analizzata per bene: ho valutato il progetto alla base, con il cambiamento di status da piccolo club neopromosso a realtà della Super League, grazie all’acquisto di un importante fondo americano (con a capo l’imprenditore Jamie Welch, CEO di Kinetik, holding texana che si occupa di gas e petrolio, ndr) che ha permesso tante modifiche, sia dal punto di vista tecnico che societario. Mi ha affascinato il loro progetto e ho accettato l’offerta. Il mio obiettivo era quello di stare più vicino possibile all’Italia, dato che sto mettendo su famiglia e non volevo allontanarmi troppo da casa. Avevo altre proposte dopo la fine del mio contratto con la Juventus, ma questa è quella che mi ha soddisfatto di più”.

Com’è la Super League?

“Il campionato svizzero è cresciuto molto negli ultimi anni, specialmente a livello tecnico. Lo dimostrano i risultati ottenuti dalla Nazionale che dai club nelle competizioni europee, dal Lugano al Servette fino alle più blasonate Basilea e Young Boys. È un campionato utile a valorizzare i giovani: faccio un esempio, quando abbiamo giocato contro il Basilea in tribuna c’erano diversi osservatori di club di Serie A per visionare Van Breemen, difensore centrale olandese del 2003. Questo per far capire quanto la Super League sia seguita ovunque”.

A livello personale come va?

“Per quanto mi riguarda sono molto soddisfatto di come sta andando la stagione. Il nostro obiettivo da neopromossi è la salvezza, ma visti gli investimenti fatti dalla società ambiamo a qualcosa di più. Per ora siamo nella top 6, cerchiamo di coltivare il sogno di arrivare in Europa. Non è facile vista la concorrenza, ma per ora le cose stanno andando molto bene. Per cui, perché non sognare?”

Differenze rispetto alle precedenti esperienze all’estero, tra Olanda e Belgio, Scozia e Inghilterra?

“Sicuramente in Svizzera si gioca un calcio meno aggressivo e intenso di quello dei paesi anglosassoni, dove si punta maggiormente sulla fisicità. Il calcio svizzero mi sembra molto più simile a quello olandese o belga, a vocazione offensiva, in cui si cerca di valorizzare la costruzione dal basso e il palleggio. Le squadre si affrontano a viso aperto, con contropiede e transizioni offensive, senza esagerare sul piano tattico. Una delle particolarità del calcio elvetico, poi, è che le squadre dei vari Cantoni trasferiscono in campo l’impostazione generale data dalle influenze territoriali. Faccio un esempio: nella Svizzera francese si gioca un calcio che come stile prende spunto dalla Ligue 1, molto veloce e fisico. Nella Svizzera italiana si guarda alla Serie A, quindi le squadre che arrivano da quel Cantone privilegiano tattica e disciplina e così via. È un calcio molto vario, per questo è un campionato molto visionato dagli scout. Un’altra cosa che ho notato rispetto all’Italia, poi, è la totale differenza di approccio alle gare. Da noi si guarda quasi soltanto alla tattica e a come annullare l’avversario. In Svizzera invece il primo pensiero è arrivare al risultato attraverso il proprio modo di giocare, a prescindere dall’avversario. All’Yverdon abbiamo da poco cambiato allenatore (il ticinese Alessandro Mangiarratti, che ha sostituito Marco Schällibaum, allenatore della promozione dalla Challenge League, ndr). Lui si ispira a De Zerbi e Guardiola, ora noi affrontiamo le partite puntando alla gestione della palla e al possesso. Puntiamo a essere una squadra “dominante”, diversamente da come si faceva prima. In Italia lo fanno le big, le altre aspettano, contengono e cercano di sfruttare gli episodi”.

Com’è la vita in Svizzera fuori dal campo?

“Qui si sta bene, si vive il calcio in modo distaccato. C’è una grande cultura del lavoro e la popolazione si concentra quasi esclusivamente su questo. La Svizzera è un paese molto tranquillo, con un tenore di vita decisamente più alto rispetto all’Italia. Il posto ideale dove poter mettere su famiglia, insomma”.

Continui a seguire il calcio italiano?

“Certo che sì. Ho avuto diverse possibilità di restare in Italia la scorsa estate, ma nessuna di queste mi ha convinto in pieno. Seguo soprattutto le squadre sarde: Cagliari, Torres e Olbia sono in forte crescita, ho tanti amici là e mi piace seguirli”.

Iniziamo dal Cagliari, che l’anno scorso hai affrontato da avversario al Cittadella. Ti aspettavi un finale di stagione così per i rossoblù di Ranieri?

“Onestamente no, inizialmente non era la prima della classe. Certo, una volta che il club si è affidato a un mostro sacro come Ranieri, visti anche i giocatori di grande qualità in rosa il salto era nell’aria: sono ovviamente contentissimo per il Cagliari, che ha dimostrato nuovamente il proprio valore e le proprie ambizioni”.

Come lo vedi quest’anno in Serie A?

“Per ora ha fatto un po’ di fatica, ci vuole un po’ di tempo per far integrare i vari giocatori che arrivano dai campionati esteri. Però il Cagliari si sta rialzando e spero che faccia un campionato tranquillo”.

Due domande da difensore. La prima è su Wieteska e Hatzidiakos, che fin qui hanno deluso. Tu ti sei trovato spesso nelle loro condizioni, da calciatore straniero in un nuovo campionato. Come ci si abitua a un calcio diverso? E, soprattutto, di quanto tempo pensi abbiano ancora bisogno per adattarsi alla Serie A?

“Conosco entrambi, ho giocato contro Hatzidiakos quando ero in Olanda. Sono due calciatori importanti per curriculum, ma arrivano da un calcio completamente diverso, soprattutto a livello tattico. Non è facile adattarsi a concezioni che all’estero sono totalmente sconosciute. Nelle mie esperienze da difensore mi ha sempre aiutato la formazione italiana, ma quel che noto è la netta differenza di qualità. Il difensore all’estero gioca il pallone, è quasi un centrocampista dato che spesso deve badare all’impostazione della manovra, a volte anche forzando la giocata e rischiando di perdere il pallone. In Italia non è così: il difensore deve essere forte nella tattica, sull’uomo e in difesa. Sono abitudini totalmente differenti, per questo serve pazienza con Wieteska e Hatzidiakos, che per qualità sono due giocatori forti. Vanno aiutati dal punto di vista tattico, ma una volta che si ambienteranno per me dimostreranno il loro valore”.

La seconda è su Dossena, esploso con Ranieri in panchina: come lo valuti?

“Lo conosco dai tempi di Perugia, è un difensore che mi piace perché è ordinato e diligente. Sbaglia poco, ha grande fisicità e ottime letture tattiche. Riesce pure a essere pericoloso su palla inattiva. Sta crescendo molto con Ranieri, è un giocatore da tenere d’occhio. È arrivato forse un po’ tardi a grandi livelli, ma ha dimostrato che ci può stare e che ha tanti margini di miglioramento”.

Passiamo alla Torres. Grande inizio di stagione con il primo posto in classifica, grazie anche agli innesti sul mercato: su tutti i tuoi concittadini Idda e Giorico, Mastinu, Taccagno, Kujabi e Fischnaller. Ti aspettavi una partenza così performante?

“Penso che in pochi si aspettassero un avvio così esaltante, ma la squadra è forte. Rinforzi di grande esperienza e grande qualità come quelli che hai citato tu fanno la differenza in Serie C. Secondo me la Torres ha lavorato benissimo sul mercato, con investimenti mirati e scelte azzeccate. Anche perché si sono aggiunti a un ottimo gruppo, che è la vera forza di questa squadra, in cui c’è grande unità di intenti. Quindi sì, mi ha sorpreso ma vista la rosa si poteva immaginare un approccio così”.

Secondo te ha le carte in regola per restare in alto fino alla fine?

“Me lo auguro per loro e per la città di Sassari. La Serie C è un campionato difficile e con tanta concorrenza, con società blasonate come Cesena, Perugia e Spal, più altre abituate a stare in alto come Carrarese e Virtus Entella che verosimilmente nel girone di ritorno, con qualche colpo sul mercato di gennaio, dimostreranno il proprio vero valore. Ma la Torres è partita bene e se continua così la vedo bene. Per scaramanzia non diciamo altro (ride, ndr), però la strada per togliersi grandi soddisfazioni è tracciata”.

Spostiamoci a Olbia, dove in panchina siede il tuo vecchio compagno di squadra ai tempi della Cremonese Leandro Greco. Come valuti il suo approccio da allenatore?

“Leandro è stato un calciatore importante, lo dimostra la carriera che ha fatto. Ha avuto esperienze che lo hanno formato come allenatore, penso anche a quanto fatto con il Sudtirol da secondo di Pierpaolo Bisoli: penso che abbia preso da lui per la gestione del gruppo, cazzimma e aggressività. È un allenatore moderno e attuale per il tipo di gioco che fa, con un’impostazione di base offensiva ma allo stesso tempo con una attenzione maniacale alla fase difensiva. Lo vedo pronto per questi palcoscenici, in futuro può ambire a qualcosa anche di più. L’Olbia sta facendo il campionato che deve fare, avere in rosa calciatori di categoria superiore come Ragatzu e Dessena sicuramente aiuta a centrare l’obiettivo salvezza”.

Peraltro l’Olbia ha appena presentato la nuova compagine societaria a impronta svizzera, grazie alla Swiss Pro Promotion. Che eco ha avuto la notizia oltralpe?

“Era una voce nell’aria già da tempo, anche per la particolarità dell’investimento in una società italiana e sarda. Penso che possa essere una buona cosa per il calcio isolano, conoscendo in generale il modo di lavorare dei dirigenti svizzeri. Penso che sia un approccio rivoluzionario rispetto al passato, speriamo che mantengano le premesse a tutto tondo”.

In chiusura, giochiamo a fare i direttori sportivi. In questi giorni è uscita l’ultima versione di Football Manager, proviamo a segnalare qualche talento del calcio svizzero che potrebbe fare bene anche in Italia.

“Ho già citato Finn Van Breemen del Basilea, ma sono rimasto impressionato da diversi attaccanti. Inizio da Kaly Sène del Losanna, centravanti 2001 cresciuto nella Juventus con esperienze anche a Cipro e al Basilea. Mi ha sbalordito, è un giocatore che secondo me può fare qualcosa di importante. E di solito non sbaglio, dato che quando ero in Olanda ho sfidato Madueke, che allora giocava nel Psv Eindhoven. Predissi per lui una carriera importante, e ora è al Chelsea (ride, ndr). Tra i difensori ti segnalo Amenda dello Young Boys (2003), che ricorda per fisico, movenze e tipo di gioco il primo Van Dijk. Tra i centrocampisti mi piace Bernede del Losanna (1999): un classico numero 8, box to box, che abbina qualità e quantità. Sono tutti giocatori probabilmente aiutati da un livello di tattica inferiore a quello italiano, ma nella nostra Serie B non ho mai visto giocatori così. Un altro che mi piace è Jankewitz del Winterthur (2001), impressionante come il compagno di squadra Ballet (2001), che mi ricorda Cuadrado per caratteristiche. Per non parlare dei giocatori dello Young Boys, ormai di livello europeo, o lo sloveno Celar, che a Lugano ha trovato la consacrazione che nella sua esperienza italiana (tra Roma, Cittadella e Cremonese, ndr) non era riuscito ad avere. Questo dimostra la bontà del campionato svizzero per la valorizzazione dei talenti, grazie a valori fondamentali per lo sviluppo di un giovane come equilibrio e tranquillità”.

Francesco Aresu

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