O capitano, mio capitano. L’attimo fuggente, un pallone dagli undici metri che può riportare il Cagliari in parità contro la Ternana. Passi brevi, destro a incrociare, parata. E così, al contrario della poesia di Walt Whitman resa ancora più famosa dal film con protagonista Robin Williams – L’Attimo Fuggente appunto – la nave non ha superato ogni ostacolo e l’ambito premio non è stato conquistato. Leonardo Pavoletti, il capitano rossoblù che ha fallito l’occasione delle occasioni e che ora è salito sul banco degli imputati.
Odi et amo
Sono passati oltre tre mesi da quel primo settembre, giorno finale del calciomercato estivo. Ore concitate nelle quali la cessione di Pavoletti sembrava dietro l’angolo, tentativo dopo tentativo da parte della società rossoblù di liberarsi di un ingaggio pesante e con all’orizzonte il ritorno in Sardegna di Federico Melchiorri. Il Bari era pronto ad accogliere il numero 30, l’affare indirizzato, finché il centravanti livornese ha posto il suo veto all’addio. La fascia di capitano assegnata qualche settimana prima, la retrocessione da riscattare, il contratto spalmato e la B da affrontare da protagonista. E soprattutto un legame con l’Isola a livello personale indissolubile, la voglia di tornare quello che con i suoi gol contribuì alla salvezza con Lopez in panchina fino alla rincorsa con Semplici di due stagioni fa. Un rapporto di amore e odio – sportivo s’intende – quello tra Pavoletti e il Cagliari inteso come club. Soprattutto dopo il secondo infortunio arrivato in modo rocambolesco, durante una serata libera per festeggiare proprio il suo imminente rientro dalla precedente rottura del legamento crociato alla prima giornata di campionato contro il Brescia. Un evento che lasciò l’amaro in bocca al presidente Tommaso Giulini e che ha portato a sessioni di mercato nelle quali il nome di Pavoletti è sempre – prima o poi – finito tra quelli più vicini all’addio. Senza che, però, l’addio sia mai arrivato, soprattutto per la volontà del calciatore di non lasciare la maglia rossoblù.
Polveri bagnate
Il film della stagione del numero 30 livornese non è stato finora da Oscar. Due gol, entrambi per gentile concessione del portiere di turno – Ascoli e Parma – tredici presenze totali delle quali solo quattro dal primo, 456 minuti totali in campo. Mai due gare consecutive dall’inizio e un dualismo con Lapadula che solo in un’occasione – l’ultima partita casalinga contro il Parma – li ha visti entrambi nell’undici iniziale scelto da Liverani. Tra una condizione fisica che ormai non è più quella dei tempi migliori e un gioco che non ne esalta le caratteristiche, Pavoletti non è mai sembrato durante questa stagione un elemento imprescindibile nello scacchiere del tecnico rossoblù. E quando nella partita del Liberati si è presentato dagli undici metri per il rigore che avrebbe potuto portare al pareggio, la domanda è sorta spontanea: perché proprio a lui è stato affidato il compito? Con Lapadula e Viola sostituiti, i due specialisti in rosa, la scelta era comunque difficile. Perché è vero che l’attaccante livornese non calciava una massima punizione dal maggio del 2014 – un Varese-Siena di Serie B – e che in carriera aveva tirato, prima di Terni, quattro rigori sbagliandone uno, ma è altrettanto vero che in campo in quel momento non erano presenti compagni con uno storico migliore. Non Filippo Falco – quattro tentativi dagli undici metri, due errori, l’ultimo con la maglia della Stella Rossa Belgrado – e non Zito Luvumbo, due soli tentativi con la Primavera entrambi andati a segno. Pavoletti, da capitano, si è preso la responsabilità in un momento delicato, fallendo sì, ma come può capitare a chiunque affronti il compito dagli undici metri. Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore, cantava De Gregori, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore.
Incrocio
Pavoletti, dunque, responsabile del mancato pareggio, ma anche vittima di scelte tecniche che lo hanno messo nelle condizioni di provare a prendersi sulle spalle una squadra in crisi tecnica, tattica e mentale. Perché più che il cambio di Viola – legittimo e se si vuole tardivo – è quello di Lapadula ad aver fatto storcere il naso. E siccome se una cosa può andare male andrà peggio, la legge di Murphy ha voluto che proprio dopo le sostituzioni arrivasse l’occasione dagli undici metri. Uno scherzo del destino favorito da decisioni errate, che chiude momentaneamente il cerchio della prima parte di stagione di Pavoletti, da capitano a sacrificato sull’altare del bilancio a salvatore della patria mancato. Ora il destino gioca un’altra carta, perché domenica 11 dicembre alla Unipol Domus arriva proprio il Perugia dell’ex Melchiorri, il suo sostituto designato nell’ultimo giorno di mercato. In un incrocio che varrà tanto sia per i due attaccanti che soprattutto per le loro squadre, con un Cagliari in crisi di risultati e un Perugia fanalino di coda in classifica.
Matteo Zizola