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Dal Colorado alla Spagna, il lungo viaggio di Fabio Aru

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La carriera di Fabio Aru è al tramonto: l’annuncio che ha preceduto una Vuelta a España passata all’attacco nella sua seconda parte in cerca di una fuga giusta, ha scosso tutto l’ambiente e la sempre calda tifoseria del villacidrese. A 31 anni, la stessa età in cui Roglic ha vinto la sua terza Vuelta, è il momento di dedicarsi ad altro e badare alla famiglia, alle sue Valentina e Ginevra.

Dieci anni di professionismo in cui sono stati circa 95000 i chilometri in corsa, nove le vittorie e quattordici i grandi giri a cui il sardo ha partecipato. I freddi numeri dicono questo, ma la carriera del Cavaliere dei Quattro Mori è stata caratterizzata da un’altalena di emozioni: i picchi toccati (letteralmente) sulla Planche des Belle Filles, a Cervinia e al Sestriere al Giro d’Italia, la passerella di Madrid nel 2015, un campionato italiano in Piemonte, ma anche tanti momenti bui del periodo alla UAE Emirates, anni in cui il sostegno dei suoi tanti tifosi non è mai mancato nonostante le difficoltà.

Gli inizi in Astana
I sacrifici di un ragazzo che lasciava la sua amata Isola nel weekend per tornare il lunedì tra i banchi del Liceo Piga di Villacidro, sono stati ripagati dalla chiamata dell’Astana per la stagione 2012. Dopo tanti chilometri in mountain bike e nel ciclocross, Aru sboccia sulla strada anche grazie ai consigli del mitico Olivano Locatelli: nel team kazako il classe 1990 trova un’altra figura “paterna” in Beppe Martinelli e un ambiente ideale per esprimere il talento. Con la maglia celeste è un’escalation di emozioni e risultati: qualche gara in Italia semi-professionistica, poi il debutto in Colorado alla USA Pro Cycling Challenge. Il secondo posto assoluto alle spalle di Sutherland nel tappone di Boulder, lasciava intuire che il ragazzo in salita andava forte  anche tra i “grandi” dopo quel successo al Giro della Valle d’Aosta dell’anno precedente che vale più di un diploma di specialista della montagna.

Da scudiero a capitano
Il 2013 è caratterizzato dall’arrivo di Nibali in Astana: tra il siciliano e il sardo nasce un rapporto non sempre amorevole, ma di stima reciproca che negli ultimi anni si è rinsaldato. Aru diventa un elemento fondamentale al fianco del messinese, arrivano i primi successi personali (maglia bianca al Giro del Trentino vinto dal compagno) e il Giro d’Italia di Nibali. La corsa rosa lo vedrà grande protagonista l’anno successivo con un terzo posto assoluto alle spalle di Quintana e Uran, ma soprattutto arriva la prima da professionista: è il 25 maggio, tappa di Montecampione (non un luogo banale per il ciclismo italiano) e il villacidrese lascia la compagnia degli avversari ai -3 dal traguardo, vincendo la resistenza di Uran ed Evans staccati uno dopo l’altro.

È il battesimo del campione, che si ripeterà a settembre alla Vuelta a España: qui le tappe vinte sono due, la prima al Santuario de San Miguel de Aralar precedendo nomi pesanti come quello di Valverde, Purito Rodriguez, Contador (che vincerà la rossa finale) e Froome, la seconda al Monte Castrove en Meis. La quinta posizione finale è il preludio al magico 2015 quando il sardo portò a casa la vittoria finale della corsa senza vincere una tappa, conquistando il simbolo del primato con la celebre “imboscata” tesa dall’Astana a Tom Dumoulin in quel di Cercedilla. Prima della Vuelta, altre due vittorie al Giro d’Italia, concluso in seconda posizione finale alle spalle di un dominante Alberto Contador: la doppietta Gravellona-Cervinia e Saint Vincent-Sestriere è ancora negli occhi di tutti, una delle imprese del ciclismo italiano recente. Nella frazione del terribile Colle delle Finestre, fu fondamentale ancora il lavoro di squadra con un Mikel Landa sacrificato dall’Astana non senza qualche polemica, ma per una buona causa: Fabio Aru non aveva deluso e aveva messo paura al grande campione, allora con la maglia della Tinkoff, che si aggiudicò il suo secondo Trofeo Senza Fine.

Magico 2017
Il 2016 non è stato fortunato se si esclude la tappa anomala vinta al Giro del Delfinato a Tournon, quando aveva approfittato di un momento di controllo tra gli avversari con un colpo di mano inatteso: al suo primo Tour de France, Aru non ha brillato come negli anni precedenti in Italia e in Spagna per poi affondare nel freddo della Megeve-Morzine quando lasciò oltre un quarto d’ora agli avversari.  Il pronto riscatto è arrivato solo un anno dopo: è il 5 luglio e la maglia tricolore (conquistata qualche settimana prima con una fuga solitaria nel campionato di Ivrea) ha trionfato alla Planche des Belles Filles sui Volsgi. Qualche giorno dopo e il terzo posto nella frazione di Peyragudes la conquista della prima maglia gialla della carriera che ha lasciato poi a Froome due tappe dopo a Rodez. Due giorni in cui Fabio Aru è diventato uno degli eletti ad aver vestito le tre maglie dei grandi giri in una Grande Boucle che lo ha visto terminare al quinto posto. Un 2017 di grandi gioie, ma anche di dolore: l’infortunio che lo costrinse a saltare il Giro d’Italia che partiva dalla sua Sardegna e soprattutto la tragica scomparsa del compagno di squadra Michele Scarponi, investito in allenamento da un furgone nella sua Filottrano.

Tre anni bui
L’inverno del 2017 è quello del passaggio alla UAE Emirates che ha garantito al sardo uno stipendio molto alto, ancora oggi tema spinoso e oggetto di critica da parte di molti. Tre anni avarissimi di soddisfazioni e con tanti problemi fisici, tra cui quello all’arteria iliaca che gli ha impedito di esprimersi al meglio per mesi e gli ha provocato una lunga convalescenza: pochi, pochissimi i risultati di rilievo (il migliore un 4° posto nella frazione di Sassotetto nel 2018 alla Tirreno Adriatico) e tante critiche da addetti ai lavori, appassionati e leoni da tastiera. Nel 2020 la pietra tombale del difficile triennio in UAE Emirates con il ritiro al Tour de France: le dure parole di Saronni e la scomparsa dell’amato nonno, hanno fatto chiudere nel silenzio il sardo che ripartì dal ciclocross nell’inverno successivo e dalla Qhubeka per il 2021.

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Con il team sudafricano il villacidrese riprende con leggerezza la sua carriera: una prima parte di stagione difficile culminata con il ritiro al campionato italiano di Imola e la conseguente rinuncia al Tour de France. Altri giorni di silenzio e di interrogativi, poi il rilancio: una prova generosa nella sua Lugano, una vittoria sfiorata al Sibiu Tour e un’ottima Vuelta a Burgos conclusa al 2° posto al cospetto di una startlist di primissimo livello. “Fabio è tornato”- il pensiero comune, poi la decisione comunicata a poche ore dalla partenza della Vuelta a España come un fulmine a ciel sereno. “Dopo alcuni anni difficili, nel 2021 sono stato in grado di correre di nuovo con la mia bici e ritornare a un livello di cui sapevo di essere capace, mentre sorridevo pedalando. Questa è una vittoria in sé e qualcosa di cui sarò per sempre grato: è giusto che il mio viaggio finisca qui in Spagna, un luogo e una gara di cui ho ricordi incredibili”. L’avventura è finita, anche l’ultimo dorsale viene strappato dalla schiena dopo la cronometro di Santiago de Compostela dove è stato omaggiato da tanti tifosi e dalla sua squadra. Fabio appende la bicicletta al chiodo, la riprenderà solo per diletto e per tenersi in allenamento senza pressioni. A meno di clamorosi dietrofront, in fondo più di qualcuno ancora ci spera.

Matteo Porcu

TAG:  Fabio Aru
 
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