Un giorno ti stampano addosso un’etichetta e da quel momento per tutti sei il discepolo di un maestro. Provi a dimostrare che no, hai le tue idee, uniche e complesse, non richiudibili in un barattolo di filosofia calcistica, ma ricche di diversità e mai schiavo di un unico sistema. Spesso è inutile, ormai la tua strada è segnata da quel pregiudizio iniziale, serve a poco dimostrare con i fatti il contrario.
Zemanlandia non è tornata a Cagliari perché Di Francesco ha sì preso ispirazione dal Boemo, ma dopo aver fatto proprio il suo 4-3-3 è stato capace di rimodellarlo, cambiarne la forma fino a spingersi verso altri mondi tattici a volte perfino agli antipodi. Arriva in Sardegna da un mezzo fallimento, da una città di mare a un’altra, da Genova a Cagliari, un progetto da ricostruire insieme per rilanciarsi, ritornare ai fasti emiliani e giallorossi, riportare il proprio nome e il proprio pensiero fin dove era arrivato in quella sera all’Olimpico, musica della Champions League e Barcellona annichilito.
Per i tifosi della Roma il Di Francesco calciatore era Turbo, faticatore instancabile del centrocampo, e dovrà essere veloce nel suo nuovo ruolo di allenatore del Cagliari, il tempo è poco, appena finita una stagione un’altra è alle porte, i suoi dettami da insegnare con il gruppo che si comporrà di giorno in giorno, un pezzo alla volta. Gioco arioso e offensivo, ma anche attenzione ai dettagli, pressione alta e impostazione dal basso, cura della fase difensiva e studio maniacale dell’avversario di turno.
Il Di Francesco di Sassuolo, quello che portò i neroverdi fino a sentire il profumo d’Europa a pieni polmoni, era il Di Francesco del 4-3-3 flessibile, centrali di difesa bravi a far partire il gioco, un terzino di spinta e un altro più di contenimento, il regista a dettare i tempi, due mezzali di profondità, le ali pronte al sacrificio e un centravanti rapido e verticale. Un 4-3-3 che poteva diventare un 4-1-4-1, gli interni di centrocampo a fisarmonica, gli esterni d’attacco a piede invertito, un mix di possesso e verticalità improvvisa, il pallone a cui dare del tu e il coraggio come stella polare.
Il salto a Roma è soprattutto un cambio mentale, dalla provincia al frullatore della capitale, le radio, un ambiente mai pienamente soddisfatto e schiavo di umori altalenanti, un giorno sei un fenomeno l’altro uno zero. Il 4-3-3 diventa 4-2-3-1, lì incontra Nainggolan che, chissà, potrebbe diventare il suo mentore in campo nella sua nuova avventura cagliaritana, ma per chi troppo frettolosamente gli ha stampato addosso l’etichetta zemaniana arriva l’occasione per scucirsela di dosso. La notte che rappresenta più di tutte il nuovo Di Francesco, per nulla schiavo dell’idea che gli altri si sono fatti di lui, arriva in un ritorno impossibile nei quarti di Champions League. All’Olimpico arriva il Barcellona di Messi, Suarez e Iniesta, al Camp Nou l’andata era finita 4 a 1 per i blaugrana, nessuno crede nella sua Roma. È la sera del tre, come i gol che i giallorossi rifilano ai catalani, come il tre della difesa che DiFra mette in campo a sorpresa rinnegando una carriera nella quale i quattro dietro erano stati sempre l’unica certezza. Giorni di studio, notti insonni per trovare la quadra, per raggiungere l’impossibile che diventa possibile, dimostrando all’Italia e al mondo che un altro Di Francesco era possibile, che solo gli stolti non cambiano idea e lui, in fondo, l’idea zemaniana l’aveva già abbandonata da tempo.
L’esperienza in blucerchiato troppo breve per essere indicativa, anche se gli errori insegnano, Di Francesco ha bisogno di giocatori adatti al suo credo e alla Sampdoria la rosa non era la sua rosa, non la sentiva propria, il destino era inevitabile.
A Cagliari dovrà essere diverso, i pieni poteri un passaggio da non sottovalutare, il direttore sportivo Carli ai saluti e Di Fra che proverà un ruolo all’inglese, non solo allenatore ma anche manager. Sarà necessario dargli carta bianca o comunque seguirne le indicazioni, un Cagliari senza esterni di ruolo sarebbe un delitto annunciato, la conferma di Nainggolan un punto di partenza importante, Rog imprescindibile nel suo ruolo alla Pellegrini – Lorenzo s’intende – e chissà che il mistero buffo che risponde al nome di Gastón Pereiro non possa trasformarsi in un Berardi in salsa rossoblù. E chissà che non si possa ripartire proprio dal 3-4-1-2 di quella notte magica dell’Olimpico, o puntare sui 4 dietro e dalla cintola in su si vedrà.
Ora inizia l’era Di Francesco a Cagliari, obiettivo chiaro dimenticare un centenario che ha portato più ombre che luci, portare entusiasmo in un ambiente che ha bisogno di linfa nuova, rilanciarsi verso nuovi traguardi che non siano lo scudetto della salvezza.
Matteo Zizola