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Fabio Liverani durante Cagliari-Pisa | Foto Luigi Canu

Cagliari, tra scelte e segnali la vittoria è ancora lontana

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Un altro sabato qualunque, un’altra partita senza i tre punti. Così, al contrario della canzone di Sergio Caputo, il peggio sembra tutt’altro che passato. Il pareggio casalingo del Cagliari contro il Pisa diventa l’ennesimo tassello della crisi, quella che vede i rossoblù aver raccolto soltanto una vittoria nelle ultime otto giornate di campionato. Decimo posto confermato, ma la zona promozione diretta che si allontana – otto i punti dalla Reggina seconda – e quella playoff che recita una distanza di tre lunghezze, tante quante quelle di vantaggio sulla zona playout.

Criticità
La conferma di Fabio Liverani dopo il pareggio contro il Pisa segna un passaggio fondamentale per il futuro prossimo del Cagliari. Con le due settimane di sosta davanti, la decisione di non cambiare guida tecnica assume un significato non di poco conto. Il presidente Tommaso Giulini crede ancora nel tecnico romano e nella sua capacità di riportare i rossoblù nelle zone che dovrebbero competere. Il dubbio è quali siano queste zone, se i primi due posti validi per la promozione diretta o la posizione più alta possibile in vista della griglia playoff. Di certo non un anonimo decimo posto che, al netto delle difficoltà della rosa, non rispecchia il valore del gruppo di giocatori affidati a Liverani. Classifica tanto anonima quanto il gioco del Cagliari. Perché, al di là dei risultati, è lo sviluppo delle partite a dare segnali negativi. La costruzione dal basso in primis, ma non si possono dimenticare la totale assenza di verticalità in nome di un possesso palla fine a se stesso, le svolte affidate alle giocate dei singoli piuttosto che a un’idea di calcio, la mentalità che porta a parlare di destino ed errori individuali come uniche cause delle difficoltà senza guardare in faccia la realtà.

Domande
La realtà, appunto. Quella dei tre indizi che fanno una prova, quella che ricorda che se gli episodi si ripetono a cadenza settimanale di tutto si dovrebbe parlare tranne che di coincidenza. E la realtà parla di un Cagliari né carne né pesce, di una squadra che trova avversari consapevoli che prima o poi, volenti o nolenti, il regalo giornaliero arriverà. Con partite oneste, non trascendentali ma frutto dell’essere quadrati. Oltre l’aspetto degli errori individuali, però, non si deve dimenticare tutto il resto. Partendo da scelte che fanno storcere il naso e non da oggi, ma ormai da settimane se non mesi. Adattare gli uomini al proprio credo una pratica che si sta dimostrando perdente, sia nelle indicazioni a livello di gioco sia nelle mere scelte di posizione dei singoli. Carboni gioca bene? Dentro Obert la partita successiva. Lo slovacco non delude? Dentro di nuovo Carboni. Altare sembra in chiara difficoltà da tempo? Confermato senza se e senza ma, finché non arriva la frittata che porta fischi e cambio necessario. In mezzo al campo si punta sul possesso palla? La scelta non ricade su giocatori tecnici, ma sul solo Viola – peraltro positivo – mentre accanto a lui ecco Deiola e Nández, non esattamente dei ricamatori. Il tridente unica strada in avanti? Ecco Rog adattato a sinistra esattamente come in passato Mancosu, Pereiro tolto dal congelatore e piazzato largo a destra e come risultato Lapadula ancora solo, solissimo e lontano dai sedici metri.

Segnali
Il problema, almeno agli occhi di chi osserva dall’esterno, non è tanto (o meglio, solo) l’assenza di gioco e di risultati. Il problema è che non sembra ci sia la volontà di imparare dai propri errori e di seguire i segnali – positivi o negativi che siano – che arrivano dalle singole prestazioni. La sensazione è che la meritocrazia sia messa da parte in nome di gerarchie prestabilite difficili da scalfire per chi resta indietro, al netto di alcune eccezioni. Dal punto di vista individuale diventa abbastanza inspiegabile aver insistito che contro il Pisa su Altare, così come il tema già affrontato del terzino sinistro non sembra seguire una linea chiara. In mezzo al campo Deiola s’impegna, è l’unico che si fa trovare pronto negli inserimenti, ma senza che manchino gli errori sia in fase conclusiva che in quella di impostazione, che siano tecnici o di scelte. Nonostante le parole post Bologna continua ad avere l’etichetta di desaparecido Kourfalidis, inspiegabilmente sempre ai margini nonostante i compagni – anche più titolati come Rog – non rispondano presente. In attacco da Bolzano era arrivato un chiaro segnale, avvicinare Falco a Lapadula aveva portato maggiore pericolosità. La scelta di Pereiro sembrava andare in questa direzione, ma poi il campo ha visto il Tonga vagare sull’esterno con compiti di sacrificio in copertura. Risultato? Il numero nove lontano dalla porta, vittima del possesso palla sterile e di una solitudine che non lo aiuta a trovare quel gol arrivato – non a caso – quando il Cagliari ha messo da parte schemi e teoremi per andare all’assalto della disperazione caotica. Mentre Pereiro ha fallito l’ennesima opportunità pur con l’alibi di un ruolo che non lo vede dentro il gioco offensivo.

Due settimane prima della sfida di Frosinone, in casa della prima in classifica distante ora tredici punti. Un’enormità. Per Fabio Liverani diventa inutile parlare di ennesima occasione di riscatto o di ultima spiaggia, ripetere ancora una volta il mantra della partita da non sbagliare lascia il tempo che trova. Di certo il tecnico rossoblù dovrà dare una svolta, se non sul piano dei risultati – comunque necessari – su quello della mentalità e della capacità di trarre insegnamento dalle partite e dalle prestazioni dei singoli e collettive. Si può nascondere la polvere sotto il tappeto di un altro ritiro ad Assemini, ma la sostanza è che un cambio di rotta passa dal campo e non da pratiche vecchie e spesso controproducenti. E dal campo arrivano i giudizi, inappellabili, dei risultati. Liverani è salvo, ma non lo sarà per sempre a prescindere da tutto.

Matteo Zizola

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