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Cagliari, tra pochi falli e cartellini la mentalità da B è ancora lontana

Alessandro Deiola in Cagliari- Brescia | Foto Luigi Canu
Alessandro Deiola in Cagliari- Brescia | Foto Luigi Canu
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Serie A e cadetteria sono due mondi diversi soprattutto per tecnica e agonismo. Il Cagliari di Fabio Liverani, dopo dieci giornate, non sembra ancora aver capito la nuova realtà. Quella di un campionato fatto di corsa, grinta e cattiveria agonistica. Di un campionato, in sostanza, nel quale gli avversari provano a portare a casa il risultato con qualunque mezzo mentre i rossoblù, confusi, non hanno trovato a oggi il bandolo della matassa.

Né sporchi né cattivi

Due dati su tutti descrivono quanto il Cagliari non sia ancora dentro – soprattutto mentalmente – al contesto della Serie B. I falli fatti e i cartellini ricevuti, due elementi che possono spiegare alcune difficoltà di fronte a squadre umili, coriacee, che non lasciano spazio alla fantasia. Gli uomini di Liverani, infatti, sono penultimi come numero di falli commessi (124), quanti quelli della Reggina prossima avversaria e davanti solo al Bari (116). Logica conseguenza la graduatoria relativa alle ammonizioni ed espulsioni che vede i rossoblù fin troppo votati alla correttezza. Sono infatti solo 14 le ammonizioni ricevute, con a comandare il Frosinone con 35, mentre le seconde meno ammonite sono Reggina e Genoa con 19. Espulsioni? Due, una per doppio giallo – Obert a Benevento – e l’altra diretta – Di Pardo a Ferrara. A spiegare questi dati può essere, per certi versi, il gioco votato al possesso palla che fa sì che il Cagliari difficilmente si trovi a dover contrastare gli avversari. Vero, non fosse che chi precede i rossoblù nella speciale classifica del possesso – il Genoa con il 57.4% di media contro il 56.5% di Nández e compagni – ha commesso 141 falli in dieci giornate, in linea con il dato medio di tutta la Serie B. E, passando ai cartellini, ha raccolto cinque gialli in più e lo stesso numero di espulsioni, anche se nessuna con rosso diretto.

Cercasi leader

Pochi falli e pochi cartellini come sinonimo di poca anima. Un punto dolente del Cagliari che si trascina ormai da tempo, l’assenza di leadership in campo che si riflette anche sulla voglia di non lasciare nulla d’intentato. A costo di commettere scorrettezze pur di salvare la faccia in certe situazioni. La sconfitta per 4 a 1 contro il Venezia è la cartina di tornasole, una squadra in balia dell’avversario e incapace di produrre una reazione d’orgoglio, anche scomposta. O l’ultima debacle di Ascoli, quando Luvumbo è stato vittima di falli sistematici pur di non essere lasciato libero di puntare la porta dopo ogni dribbling o scatto in verticale. Al contrario, quando Lungoiy o Dionisi o gli altri giocatori bianconeri hanno superato i diretti marcatori, nessuno ha osato utilizzare le maniere forti per proteggere la porta di Radunovic. Un sintomo anche dell’assenza di aiuto reciproco, oltre che della massima attenzione nel coprire gli spazi senza, però, coprire gli uomini. Questione di leadership, appunto. Che al Cagliari manca quasi come filosofia nelle scelte di costruzione della rosa. Un gruppo onesto, che prova a dare tutto, che ha sì in alcuni giocatori la dovuta personalità, ma non la dote di trascinare anche i compagni. Perché un conto è essere dotati di gamba e grinta, un altro avere la capacità di prendersi sulle spalle la ciurma quando il mare è in tempesta.

Liverani, oltre ai tanti compiti ai quali è chiamato – dallo sviluppo del gioco alla fase offensiva, dalla difesa al raccogliere punti – dovrà anche trovare il modo di infondere le giuste motivazioni a una squadra fin troppo spesso vittima delle proprie paure. E cercare nel gruppo quei leader in grado di assumersi responsabilità anche per chi, di fatto, non ha nel DNA la personalità per farlo da solo. Compito non facile, considerando che la rosa sembra essere stata costruita proprio per evitare di avere primedonne e lasciare al tecnico il ruolo di condottiero in tutto e per tutto. O, senza tornare troppo indietro, con chi leader potrebbe esserlo per anzianità non esattamente coccolato e messo sul piedistallo in sede di mercato, con il caso emblematico di Leonardo Pavoletti prima quasi scaricato poi diventato capitano. Un lavoro pesante e sporco quello di essere allenatore e leader, senza dubbio, ma che qualcuno dovrà pur fare.

Matteo Zizola

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