Il Cagliari uscito sconfitto a Verona è sembrato parente stretto di quello visto nei mesi prima della sosta, una squadra in difficoltà sotto ogni punto di vista, atletico, caratteriale, tattico. Tutto deve cambiare perché tutto resti come prima, i rossoblù sono apparsi gattopardeschi come se poco o nulla sia accaduto nel passaggio da Maran a Zenga: una lunga attesa e gli stessi problemi pronti a ripresentarsi fin dal primo minuto del Bentegodi.
Zenga ha presentato un Cagliari con la difesa a tre e, pur se i numeri lasciano il tempo che trovano, ha destato curiosità uno schieramento raramente utilizzato dal nuovo allenatore rossoblù nel suo passato: le assenze hanno portato a una scelta diversa rispetto alla linea a quattro di difesa tipica delle squadre dell’Uomo Ragno. Senza dimenticare l’idea di mettersi pressoché a specchio con gli uomini di Juric per cercare di ovviare ad antiche e note difficoltà del Cagliari versione Maran contro compagini schierate con la difesa a tre.
La difesa a 3 ha ballato troppo
Il risultato, non solo nei numeri del punteggio, è stato negativo: Cacciatore, Ceppitelli e Pisacane hanno ballato, in occasione dei due gol di Di Carmine la fase difensiva ha lasciato parecchio a desiderare. Il vantaggio del Verona è nato da un primo errore di Cacciatore, portato fuori dagli avversari causando così un problema con le scalate, successivamente Ionita e Nández hanno lasciato liberi Lazovic e Amrabat di giostrare dentro l’area e preparare la giocata che ha portato al cross, infine una linea decisamente troppo bassa ha fatto sì che Cragno poco potesse sul pallone velenoso messo in mezzo sul quale Ceppitelli è apparso fuori posizione e Pisacane poco reattivo nel chiudere alle spalle del compagno. Ionita, nella posizione insolita di esterno destro del centrocampo a cinque, ha faticato non poco per tenere il passo dell’avversario diretto, a questo ha aggiunto l’errore dal quale è nato il raddoppio del Verona: il secondo gol di Di Carmine è la cartina di tornasole di un atteggiamento difensivo sia tattico che mentale difficilmente giustificabile, tra Ceppitelli che si fa sorprendere alle spalle dall’attaccante gialloblù e un intero reparto che non riesce a far fronte alla percussione verticale di Verre. Certo, la conclusione dalla distanza di Di Carmine è stato il classico jolly, ma anche l’opposizione di Pisacane da ultimo baluardo a difesa di Cragno è lo specchio delle difficoltà del Cagliari: le mani dietro la schiena pur essendo lontano dai sedici metri e dal rischio di un fallo da rigore sono un altro esempio di piccoli dettagli che possono fare la differenza.
Zenga ha mescolato le carte in corso d’opera, il passaggio dal 3-5-1-1 iniziale al 4-3-2-1 di inizio secondo tempo, fino al 4-3-2 successivo all’espulsione di Cigarini: con tutte le disposizioni più che duttilità si è vista confusione, il centrocampo è stato sovrastato atleticamente, tatticamente e tecnicamente da Amrabat e compagni, i reparti sono apparsi slegati e, anche prima dell’espulsione di Borini, i due attaccanti Pereiro e Simeone lasciati al loro destino. Difficoltà atletiche sì, ma anche mentali: il tiro in apertura di Lazovic ha riaperto vecchie ferite e paure, la squadra sempre troppo bassa e incapace di ripartire, la compattezza più sulla carta che reale.
Qualche sprazzo di coraggio e discontinuità
La speranza è che Zenga riparta dal poco di buono che si è visto al Bentegodi e che rispecchia gli unici veri correttivi tattici rispetto al Cagliari versione Maran. Sprazzi di coraggio tattico e di scelte differenti rispetto al predecessore che devono spingere l’Uomo Ragno a mettere da parte le paure e andare per la propria strada, puntare sul proprio credo più che pensare a come limitare gli avversari. Il gol di Simeone ne è un esempio, la corsa verticale dall’esterno all’interno di Pellegrini era una caratteristica tipica dei terzini di Zenga a Crotone, così come la disposizione a quattro – ben prima della superiorità numerica – in fase di possesso e la contemporanea spinta su entrambe le fasce degli esterni, anche se quasi mai si è arrivati sul fondo preferendo i cross dalla trequarti che hanno favorito la difesa del Verona. Allo stesso modo la novità della posizione di Nández, l’uruguaiano sfruttato più per le sue qualità in fase offensiva che limitato a compiti tattici non nelle sue corde, utilizzato sia da esterno – raramente – sia da mezzala coast to coast, nonché da trequartista con licenza di muoversi liberamente e in verticale, oltre che aprire gli avversari sugli esterni cercando di portarlo al cross, una delle sue doti migliori.
I dubbi sulla rosa
Infine i calci piazzati, tra Gianni Vio e Max Canzi: nelle difficoltà della gara le uniche occasioni degne di nota della ripresa sono arrivate da due calci d’angolo e il mucchio sul primo palo tipico della Primavera dell’ora secondo di Zenga. In gare che non presentano spazi in attacco, una soluzione che potrebbe nel futuro aiutare e non poco il Cagliari a sbloccare partite complicate. Le scelte degli uomini erano abbastanza obbligate, la mossa Birsa in regia dopo l’espulsione di Cigarini, preannunciata dalle parole di Zenga degli ultimi giorni, non è dispiaciuta, pur se è mancata la velocità nel giro palla e troppe volte ci si è affidati a Ceppitelli come regista occulto, con tutte le difficoltà del caso date le qualità tecniche del capitano. Resta però il dubbio, a bocce ferme, sulla rinuncia all’unico attaccante fisico in rosa, il giovane Gagliano, che nella parte finale sarebbe forse potuto tornare utile: fisicità che manca alla rosa, lo disse Maran e ieri se n’è avuta l’ennesima conferma, e che il centravanti della Primavera avrebbe potuto forse aggiungere visti anche i tanti cross messi in mezzo per Simeone, non di certo favorito di fronte ai rocciosi difensori di Juric.
Martedì Zenga e i suoi andranno di scena a Ferrara, una partita decisiva per capire quali saranno i veri obiettivi di fine stagione: una sconfitta farebbe precipitare la classifica e costringerebbe a guardarsi più alle spalle che di fronte, una vittoria potrebbe nuovamente alimentare la fiamma della speranza europea, un pareggio sarebbe un brodino inutile.
Matteo Zizola