L’ultima volta che arrivarono così tante reti era stata quasi due anni fa, 17 aprile 2021, quattro gol al Parma in rimonta che rappresentarono la svolta nella corsa salvezza. Il Cagliari che ha servito il poker all’Ascoli sul tavolo della Unipol Domus è oggi in Serie B e non in A come allora, a caccia dei playoff e non della permanenza nella categoria e, soprattutto, di continuità per far sì che la vittoria sui bianconeri possa diventare davvero la chiave di volta della stagione.
Piatti
Nella partita vinta contro l’Ascoli si devono distinguere due aspetti, quello tecnico-tattico e quello umorale. Per certi versi collegati tra loro, ma che nell’analisi mostrano due piani diversi. Un po’ come la prestazione del Cagliari, un primo tempo deficitario – per essere teneri – e una ripresa da squadra vera. I primi 45 minuti hanno visto i rossoblù annaspare, pur se dopo un approccio che aveva fatto trasparire un diverso atteggiamento rispetto al recente passato. Ma tra scelte di Claudio Ranieri che non hanno premiato e l’errore di Barreca che ha determinato lo svantaggio, presto i rossoblù sono caduti nel solito tentativo di trovare una soluzione ai propri problemi di costruzione offensiva, senza però incontrarla. Il centrocampo veniva così travolto da quello avversario, gli esterni non riuscivano a incidere, Mancosu era sacrificato in un doppio lavoro di spalla di Lapadula e di cucitura dei reparti e il centravanti vagava solo e alla disperata ricerca di palloni giocabili. L’infortunio di Luvumbo intorno alla mezz’ora è stato di fatto la soluzione nata dalla sfortuna. Perché è lì che Ranieri ha dato il primo segnale, inserendo Lella con un cambio apparentemente difensivo ma di fatto decisivo per riorganizzarsi. Non senza problemi nella parte finale della prima frazione, ma comunque primo passo per la svolta al rientro dagli spogliatoi.
Più noi che loro
Ranieri tra primo e secondo tempo si è così tolto la veste da altrista puntando maggiormente sul noi. Ovvero mettendo da parte la paura verso un avversario quadrato e in un buon momento e dando alla squadra una mentalità differente grazie a cambi mirati e propositivi. L’ingresso di Azzi per un Barreca estremamente in difficoltà ha impresso alla corsia mancina tutt’altra freschezza, quello di Prelec per Millico ha regalato un compagno a Lapadula e permesso a Mancosu maggiore libertà nel ruolo di tessitore tra le linee nemiche. Un 4-3-1-2 parte della storia rossoblù che ha ridato certezze e permesso di sfruttare al meglio le caratteristiche di calciatori fondamentali. E che mette una base su cui partire per il finale di stagione, perché una volta sistemate le fondamenta della difesa ecco che provare a costruire una casa offensiva potrà passare dal trio Mancosu più due punte. Avere maggiore coraggio – e pensare più a come attaccare gli avversari piuttosto che al come difendersi dalle loro peculiarità – deve diventare il nuovo corso del Cagliari di Ranieri, anche se non soprattutto in trasferta. La vittoria netta contro l’Ascoli servirà a poco se non sarà seguita da una sterzata a Reggio Calabria nella prossima sfida lontano dalla Sardegna. Ma un primo segnale è stato dato, la noia ha abbandonato la Unipol Domus per 45 minuti ed è già qualcosa.
Disagio
Fin qui la gara nelle sue risposte tecniche e tattiche, ma il post partita ha regalato anche altri dettagli per certi versi inattesi. Il primo tempo sottotono, dopo quattro pareggi consecutivi, aveva portato i primi mugugni dall’arrivo di Ranieri in panchina. Cori che invitavano i giocatori a tirare fuori gli attributi e fischi alla squadra al rientro negli spogliatoi. Un malumore sicuramente lontano da quello della vittoria contro il Perugia dello scorso dicembre, quando ci fu l’evento più unico che raro di un intero stadio a invitare Liverani ad abbandonare la nave e quando Pavoletti denunciò gli insulti ricevuti dai suoi stessi tifosi dopo il gol vittoria. Ma comunque un segnale di una piazza che per quanto risollevata dal ritorno di Sir Claudio, non poteva ritenersi soddisfatta dell’ennesimo passo indietro di una stagione che segue altri campionati di tanti bassi e pochissimi alti. Per certi versi comprensibile la delusione di Ranieri nella conferenza post partita – “al pubblico chiedo di starci vicino, l’ho detto dal primo giorno, non mi è piaciuto qualche fischio, qualche coro, mi hanno fatto male” – ma allo stesso modo diventa difficile non capire quella del pubblico dopo il primo tempo. Non tanto per la prestazione singola, piuttosto perché ultimo anello di una catena che parte da lontano, dai risultati negativi degli ultimi anni, dalla retrocessione, da una Serie B dimostratasi non passeggiata di salute ma purgatorio e, infine, dalla costante illusione ottica di un tunnel vicino alla fine ma che diventa sempre più lungo e buio. Il tecnico rossoblù, dal suo punto di vista, ha ragione a chiedere supporto senza se e senza ma, consapevole che la fragilità mentale di gran parte del gruppo possa essere superata solo con il sostegno incondizionato. Ma l’ambiente di se e di ma ne ha visti parecchi nel passato più e meno recente e chi paga e ha pagato tanto, sia economicamente che in termini di passione e fiducia, ha il diritto di esprimere la propria contrarietà, comunque rimasta nell’ordine delle cose e senza eccessi. A questo si è aggiunta la decisione del club – firmata Tommaso Giulini – di lasciare che il solo Ranieri parlasse nel post partita. Una scelta figlia delle prestazioni e di un primo tempo che non aveva soddisfatto il patron, bocche cucite senza che la reazione della ripresa fosse bastata a cambiare le cose. Non bastano 45 minuti per potersi sentire liberi, sono bastati invece al pubblico per ritrovare l’entusiasmo perduto. Dimostrando anche a Ranieri che l’unica via per farsi trascinare dallo stadio e dall’ambiente è diventare trascinatori sul campo, perché in fondo l’amore e la passione incondizianati non possono durare per sempre se non ricambiati con i fatti.
Matteo Zizola