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Cagliari, Semplici prova a dimenticare gli errori di Di Francesco

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Per migliorare bisogna essere consapevoli degli errori fatti, guardare indietro e prendere le contromisure adeguate per non ripetere gli sbagli. Leonardo Semplici ha davanti a sé una sfida non da poco, per poterla vincere qualsiasi dettaglio può essere decisivo, anche capire in cosa è mancato il suo predecessore.

Equivoco Joao – “Joao Pedro può coprire tutti i ruoli, ma lo vedo in partenza come esterno sinistro e come esterno destro Pereiro”. Di Francesco si è presentato così alla sua prima conferenza stampa. Il suo 4-3-3 che “sento più mio”, pur se “non voglio essere integralista”. Il numero dieci brasiliano, mattatore della stagione precedente, che diventa equivoco tattico. Il Tonga che non ha praticamente quasi mai giocato. Risiede in questo aspetto il primo errore del tecnico abruzzese. Un mese e oltre tra campionato da preparare e prime due gare con l’idea di Joao Pedro largo a sinistra, il cannoniere che gioca lontano dalla porta laddove non ha mai dimostrato di poter rendere. Integralista no, ma anche cambiare troppo può portare problemi. Eccolo un altro degli errori di Di Francesco che, capito quanto Joao Pedro patisse la nuova posizione, è entrato in un vortice di insicurezze alla caccia di quell’equilibrio tattico alla fine mai davvero trovato. “Voglio capire come si trovano i giocatori e questo è possibile solo allenandoli”, parole sempre dell’ormai ex tecnico rossoblù che però, nonostante i vari tentativi, non ha trovato le risposte al proprio tentativo di comprendere la rosa a disposizione. La trasferta di Bologna la partita chiave dell’inizio del crollo, della sfrontatezza che si trasforma in paura, dell’identità propria che insegue quella altrui perdendo passo dopo passo la propria spina dorsale.

Ossessione Ninja – L’attesa, la convinzione che Radja Nainggolan sarebbe diventato prima o poi rossoblù. Prima, più che poi. La squadra impostata con quel tassello pronto a completarla, un tassello che è rimasto però dentro la scatola dei desideri. Dove sarebbe stato messo il pezzo più pregiato e tanto atteso non è dato saperlo, quando è infine arrivato a gennaio i tempi erano ormai cambiati e l’estate aveva lasciato il posto all’inverno delle temperature e della classifica. Incaponirsi su un desiderio, senza la certezza di poter tramutare in realtà quella mossa tanto sperata. Anche perché il terzo incomodo, l’Inter, alla fine ha fatto sì che non si chiudesse l’operazione. E i mesi persi nella speranza non si sono potuti recuperare. La rosa del Cagliari, anche senza Nainggolan, restava una rosa di livello medio, di certo non da sofferenza nei bassifondi della classifica. Questo se si fosse andati avanti con convinzione, senza pensare a chi non c’era, puntando sulle qualità che si avevano. L’ossessione si è fatta problema, il problema si è fatto assenza di risultati, gioco e identità. Promessa non mantenuta o capriccio dell’allenatore manager senza esserlo davvero? La risposta la conoscono solo i protagonisti, ma il mancato arrivo di Nainggolan non può essere un alibi, mentre il non ovviare all’inatteso sì che può essere una colpa.

Il tema Marin – Il primo acquisto della gestione Di Francesco è un altro equivoco creato, questa volta, proprio da chi ne ha chiesto l’arrivo. Razvan Marin non è un stato un innesto sbagliato in assoluto, ma se “il reparto che oggi trovo più completo è il centrocampo”, come detto dal tecnico abruzzese alla sua prima conferenza stampa, allora diventa difficile capire il perché di una scelta che ha creato equivoci non da poco. Per il ruolo, dato che avendo in rosa Rog e Nández e aspettando in quel momento Nainggolan, comprare come primo tassello Marin non ha seguito le priorità. Mancava un regista, si è voluto puntare sul romeno in quella posizione, nonostante fin dalle prime battute era chiaro che Marin è più una mezzala che un play. E se a sbagliare la valutazione è chi ne chiede l’arrivo allora non può che essere sua la colpa della scelta. Senza dimenticare un altro tema, quello dello stesso agente condiviso da giocatore e allenatore. Marin, Di Francesco, Chiodi, un trio che diventa occasione di discussione non appena gli eventi non prendono la piega sperata. Un conflitto d’interessi che non può non aver colpito anche i compagni, a prescindere dal valore del giocatore.

Ali e alibi“Sarà importante avere delle ali di ruolo”, così sempre Di Francesco durante la sua presentazione. E le ali di ruolo sono arrivate, prima Sottil poi Ounas. L’algerino è un altro tema, perché era abbastanza chiara la tipologia di giocatore che si stava portando a Cagliari, salvo poi scoprire, parola di Giulini, che non difendeva abbastanza. E tarpare le ali con i cambi tattici, mettendo in naftalina entrambi i giocatori di ruolo prima invocati poi dismessi. Vero è che il virus non ha permesso tanto lavoro sul campo, non è un caso che come Di Francesco anche gli altri nuovi della Serie A abbiano ricevuto il foglio di via prima o poi (eccetto Andrea Pirlo, comunque in difficoltà). Un alibi, così come un alibi è la costruzione di una rosa un po’ vicina alle idee del tecnico e un po’ lontana. Resta però quella continua ricerca di qualcosa che non si poteva avere, l’equilibrio, Nainggolan, quel tipo di giocatore ideale a fare un gioco comunque mai visto, l’identità attraverso cambi costanti di modulo e atteggiamento.

Resta un amore non tradotto in matrimonio, così parlò Giulini, ma con colpe condivise e un continuo pensiero all’io più che al noi, nonostante le parole. Semplici ha trovato una squadra mentalmente spenta, “i giocatori non sono degli imbecilli” ha detto dal canto suo Capozucca. E pensare agli ultimi due mesi, quelli dei sassolini tolti e lanciati, quelli delle lotte a mezzo stampa tra presidente e allenatore, quelli dei ritiri con cene che non hanno risolto i problemi, non può che confermare l’assunto del nuovo direttore sportivo. I giocatori non sono imbecilli, ovvero i giocatori hanno percepito il clima entrando in un vortice di confusione nel quale il condottiero aveva perso i gradi formalmente, nonostante la fiducia di facciata. Eccolo l’ultimo errore di Di Francesco, lottare contro i mulini a vento invece di alzare bandiera bianca. Il progetto era vuoto da tempo, non averlo capito e essere rimasto ancorato a una situazione ormai sfuggita di mano ha solo fatto male a chi, a parole, si sarebbe voluto salvare. Perché Di Francesco ha commesso tanti errori, ma non è l’unico.

Matteo Zizola

 
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