Il primo Gran Premio della Montagna è stato scollinato, una tappa complicata quanto previsto con la cima Venezia inizialmente presa di petto e poi gestita non senza difficoltà. Il Cagliari di Claudio Ranieri passa sul traguardo del turno preliminare con le braccia protese in alto, ma ora sarà tutt’altro che discesa.
Prezioso
Altre due cime all’orizzonte, le montagne gemelle chiamate Parma, per garantirsi l’ultima scalata e attaccare il nastro d’arrivo Serie A. Primo passo sgombrare il campo da facili proclami. Il Cagliari ha dimostrato di esserci nel primo tempo contro i Lagunari, forse il miglior approccio della stagione. Dossena e compagnia a rimbalzare le scorribande venete, Makoumbou a dare manforte e dipanare la matassa della mediana, Nández a fare il vero Nández – corsa e cross – con Mancosu a equilibrare artisticamente e Lapadula implacabile. Venezia annichilito e primo tempo chiuso con la sensazione che la pratica fosse in parte messa in archivio. Poi però c’è l’altra faccia della medaglia, il classico braccino di chi, in fondo, paura e ricordi proprio non riesce a scrollarseli di dosso. E così gli uomini di Vanoli hanno reagito, il Cagliari ha sofferto, tenuto botta, si è disunito tatticamente ma restando unito psicologicamente. Insomma, una ripresa che invita alla calma, contro un avversario che però è sembrato valere più di quanto abbia detto la classifica finale di Serie B. In fondo nelle ultime cinque gare di campionato il Venezia con 10 punti era stato dietro soltanto a Parma (13) e Cagliari (12) tra le squadre arrivate ai playoff. Dunque non un ostacolo di poco conto, una vittoria che seppur sofferta ha un peso specifico importante. Conquistare il pass per la semifinale contro il Parma non era scontato, averlo fatto provando anche una certa tensione da ansia di rimonta per certi versi utile per il futuro.
Mirino
Ranieri ha prima imbavagliato gli avversari, poi ha provato a gestire con cambi di uomini e di modulo. Ma per il Cagliari la voce gestione del proprio dizionario indica più un contrario che un sinonimo, un’incapacità quasi genetica da diverse stagioni che mette i rossoblù di fronte a due necessità: chiudere le partite e attaccarle più che controllarle. Ranieri ha ammesso di non amare la difesa a cinque – non a tre, professione di onestà – ma ogni partita ha una storia a sé e a volte è meglio andare contro le proprie convinzioni in nome del fine. I mezzi per raggiungerlo alcuni cambi di uomini e tattici, Obert e non Azzi, Altare e non Goldaniga, Luvumbo e non Pavoletti, oltre al 4-2-3-1 con il quale il Cagliari ha dato il meglio di sé nei primi 45 minuti. La scelta di rinunciare a Pavoletti ponderata – “quando l’avversario attacca tutti i centimetri del campo hai bisogno di chi può attaccare su ogni pallone” le parole di Ranieri – così come quella di rinunciare a Mancosu nella ripresa, ancora una volta prova provata dell’importanza del numero 5 sia quando assente come nel secondo tempo di sofferenza contro il Venezia, sia in ottica del prossimo futuro, la gara ravvicinata contro il Parma alla Unipol Domus martedì 30 maggio. Forze da gestire, pur con qualche rischio, in una doppia sfida che vedrà i rossoblù affrontare quella che potrebbe essere quasi definita come una finale anticipata, per valori e per stato di forma delle squadre. Poche ore per ricaricare le pile che appaiono un vantaggio per gli uomini di Pecchia da un lato – senza preliminare più riposati di Lapadula e compagni – ma che danno uno slancio positivo a chi non ha staccato mai la spina e arriva con inerzia positiva alla semifinale come il Cagliari. Il secondo tempo contro il Venezia la prima prova, il Parma la prossima: come canta Antonello Venditti, “è quando pensi che sia finita, è proprio allora che comincia la salita”. Con Lapadula e il suo numero 9 a tirare il gruppo e una serie di gregari a spingere il Cagliari verso il prossimo traguardo in montagna.
Matteo Zizola