Abbandonare i sogni e concentrarsi sulla realtà, nonostante le parole e l’asticella alzata più concettualmente che per reale speranza. Il quarto pareggio consecutivo del Cagliari a Brescia – dopo quelli contro Bari, Venezia e Genoa – cancella definitivamente la possibilità di raggiungere un secondo posto che era già vicino all’utopia. E ora la sfida è guardarsi allo specchio e capire che i playoff non sono una garanzia data dal nome e dai nomi, ma vanno conquistati sul campo.
Pochezza
“Quando non riesci a vincere è importante non perdere”, questo il mantra di Claudio Ranieri ripetuto anche dopo l’1 a 1 del Rigamonti, esattamente come accaduto nelle precedenti tre gare. Un punto che preso singolarmente potrebbe avere il sapore del passo in avanti, ma che visto nel quadro completo del momento del Cagliari e della classifica non può essere soddisfacente. I rossoblù hanno dimostrato ancora una volta di essere uguali a se stessi, incapaci di dare uno strappo alla propria stagione come ormai accade da tempo. Piccole scintille estemporanee, poi il ritorno alla calma piatta che è espressa perfettamente dalla noia prodotta dal gioco. La Serie B è così, altro luogo comune diffuso, ma può essere anche diversa da così. Perché le battaglie e l’assenza di fronzoli sono sì caratteristiche fondanti del campionato cadetto, ma ciò non toglie che un altro atteggiamento sia possibile. Diverso da quello di una squadra che difficilmente comanda le partite, non tanto alla voce possesso palla e predominio territoriale – una non soluzione già con Liverani in panchina – ma piuttosto alla voce intensità e voglia di azzannare avversario e terreno verde. Non che manchi la disponibilità al sacrificio, ma se le sliding door delle prestazioni che hanno separato il Cagliari dai tre punti si limitano a singoli eventi estemporanei più che alla continuità di pressione nell’area avversaria, allora diventa complicato parlare di sfortuna o dei classici se e ma con i quali la storia non si fa. Il rigore all’ultimo minuto di recupero di Bari, il colpo di testa alto di Prelec a Venezia, i centimetri che hanno separato Luvumbo dal guadagnare il rigore contro il Genoa, il colpo di testa di Dossena contro il Brescia: tutti episodi sì decisivi nel bloccare l’inversione di rotta, soprattutto in trasferta, ma unici rimpianti all’interno dei novanta minuti delle singole prestazioni.
Paura
Contro un Brescia che non segnava da oltre 600 minuti e in piena crisi di risultati e classifica sarebbe stato lecito aspettarsi tutt’altro Cagliari. Non perché sia un dovere sancito dalla Costituzione sportiva, ma perché lo diceva prima del fischio d’inizio la graduatoria della Serie B. Non solo, ma era anche l’occasione per ritrovare quella vittoria che manca lontano dalla Unipol Domus dalla partita di Benevento del 10 settembre – sei mesi or sono e unica del torneo per i rossoblù. Invece l’atteggiamento è stato un ripetersi delle ultime uscite, squadra compatta e solida, ma senza spunti oltre quelli regalati a sprazzi da un Luvumbo confinato sull’esterno senza possibilità di incidere nella zona che conta, quella centrale. Al di là degli aspetti tattici, però, è la difficoltà non tanto di capire i momenti delle partite a deludere, quanto quella di indirizzare lo spettacolo secondo un copione diverso dal primo non prenderle e poi si vedrà. L’esempio che racchiude il tutto è nel momento del rigore guadagnato da Luvumbo e realizzato poi da Lapadula. Prima del fischio di Fabbri e del vantaggio rossoblù Claudio Ranieri era pronto a effettuare due cambi per provare a spingere la sfida dalla propria parte, Azzi e Di Pardo a bordo campo in procinto di subentrare e dare maggiore freschezza sugli esterni. Poi, dopo il gol dell’1 a 0, ecco che l’allenatore rossoblù congela le sostituzioni. Una rinuncia che ha il sapore del braccino tipico del tennista che, vicino alla vittoria, si lascia prendere dalla paura e invece che attaccare un avversario sull’orlo del baratro si spaventa e arretra giocando sulla difensiva. Creando così i presupposti per farlo uscire dal guscio, per quell’errore che fisiologicamente può sempre accadere soprattutto se presti troppo il fianco.
Noia
L’arrivo di Ranieri aveva messo la polvere sotto il tappeto per alcune settimane. Poi, come la classica coperta corta, ciò che copriva i difetti si è ristretto sempre più aprendo lo spazio all’ennesimo passo indietro. La fase difensiva, che metaforicamente è stata indicata dal tecnico rossoblù come le fondamenta di una casa da ricostruire, a Brescia ha lasciato a desiderare con le numerose distrazioni che solo un Brescia alquanto impreciso e sterile ha evitato portassero al gol prima dell’effettivo pareggio di Bisoli. Di contro la fase offensiva ha latitato come ormai d’abitudine, Lapadula solo e senza rifornimenti degni, Mancosu a corto di benzina dopo la terza partita in una settimana e le assenze in mezzo al campo a costringere i soliti noti a un ulteriore sforzo. Ciò che l’entusiasmo per il ritorno di Ranieri aveva messo da parte è tornato prepotentemente alla ribalta non appena l’ubriacatura da cambio di rotta ha lasciato il passo alla normalità. Una rosa costruita nemmeno così male a livello ideale, ma che alla prova del campo dimostra ogni settimana i propri limiti strutturali. Quelli di calciatori troppo spesso infortunati o fuori condizione, quelli di una duttilità estrema che però non dà quasi mai certezze, quelli di elementi che sì potrebbero dare quel qualcosa in più rispetto alla categoria, ma con valori che appaiono più parte di un mondo ideale che reale. Ma, al netto di tutti questi fattori, il Cagliari attuale potrebbe e dovrebbe fare più di quanto visto al Rigamonti. Per lo meno emozionare, anche solo in minima parte. Invece, ancora una volta pur se con modalità diverse dal passato, la noia e gli sbadigli l’hanno fatta da padrone. E conta poco, pochissimo l’aspetto tecnico, perché si possono regalare sussulti pur con tutti i limiti del caso. Invece dal possesso palla sterile e stucchevole si è passati al controllo passivo, al lasciare che siano gli eventi a determinare il proprio destino senza quasi provare a prenderlo per mano con la forza. Ora non resta che aggrapparsi ai playoff in un modo o nell’altro e giocarsi tutto nelle coda della stagione. Senza dimenticare, però, che il posto nella griglia di partenza non arriverà per grazia ricevuta o per il nome sulla maglia, ma soltanto attraverso i meriti del campo. Che, al momento, sono quelli espressi da una classifica deficitaria rispetto alle attese.
Matteo Zizola