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Cagliari, ore di riflessione in panchina: il lungo weekend di Mazzarri (e Agostini)

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Nel videogioco chiamato lotta salvezza il Cagliari ha sprecato tutte le vite a disposizione. La sconfitta contro il Verona alla Unipol Domus ha tolto ai rossoblù tutti i bonus e ora non restano che tre partite per provare a superare il mostro finale – la retrocessione – senza essere colpiti da morte sportiva.

Fatal Verona

L’ultimo livello si chiama Salernitana. La trasferta dell’Arechi, domenica 8 maggio alle 18, è diventata così una vera finale. Non più retorica, ma una vera gara da dentro o fuori che il Cagliari non potrà fallire. Al contrario anche l’ultima vita a disposizione svanirebbe e la scritta Game Over apparirà a caratteri cubitali sullo schermo. La sfida contro l’Hellas è stato l’ennesimo capitolo di un incubo, l’ennesima sconfitta arrivata quando tutte le premesse lasciavano presagire la classica occasione da non perdere. Maglie rossoblù e non rossonere, Unipol Domus e non Bentegodi, ma la fatal Verona ha colpito anche il Cagliari. Non uno scudetto perso come accaduto al Milan nel 1973 – ultima – e nel 1990 – penultima giornata – ma una salvezza che si fa sempre più dura. Salvezza che, sempre secondo retorica, per i rossoblù vale ogni stagione come vincere un campionato. Fatal Verona, una squadra arrivata in Sardegna a giocare la propria partita, alla caccia del record storico di punti in Serie A ma senza un agonismo oltre livelli normali. Non in tono dimesso, ma nemmeno “come se avesse fatto una finale di Champions”, parole di Mazzarri nel post partita ai microfoni di Dazn. Ai gialloblù di Tudor – con il vice Bocchetti in panchina causa squalifica del tecnico croato – è bastata una maggiore attenzione e l’attesa degli errori degli avversari. Tanti, troppi, sia individuali che collettivi.

Volti scuri

L’immagine del presidente Giulini che scende le scale della tribuna con la partita ancora in corso (per poi lasciare lo stadio insieme al ds Capozucca, dopo un breve e civile colloquio con alcuni tifosi) sono lo specchio dell’umore generale in casa rossoblù. Nessuno può essere considerato esente da colpe, dal patron ai giocatori passando per il direttore sportivo Capozucca e per Walter Mazzarri. Le parole del tecnico di San Vincenzo nel post partita lasciano la sensazione di tanti non detti. Come nel passatempo dell’unire i puntini per scoprire il disegno, così le dichiarazioni di Mazzarri dicono molto di più delle semplici parole. La tensione è alta, partendo da una rivelazione importante. “Io non sono mai stato per i ritiri, ho sempre fatto decidere la società e i giocatori”, sintomo di un distacco sostanziale già aperto nelle ultime settimane. Ma è un altro passaggio a lasciar intravedere un rapporto non più così saldo come in passato, quando Mazzarri venne definito “l’unica certezza” dal direttore sportivo Capozucca dopo la sconfitta casalinga contro l’Udinese. “Io parlo con la squadra, se il presidente vuole mi chiamerà. La mia esigenza è sentire la squadra, poi con il presidente sarò sempre a disposizione”. Senza dimenticare la palpabile tensione nella conferenza pre partita, quando l’allenatore rossoblù aveva fatto trasparire una carica fin troppo elevata, rispedendo al mittente ogni rimostranza sul periodo nero del suo Cagliari.

Scelte

Spaccatura o meno restano ore concitate in casa Cagliari. Cambiare guida tecnica a tre giornate dalla fine avrebbe del clamoroso, anche se nell’ordine delle cose. Soprattutto guardando alle ultime otto gare che hanno portato la miseria di tre punti, una vittoria e sette sconfitte. Mazzarri, da parte sua, non sembra più avere il polso completo della situazione. “Tutti chiedevano a gran voce Rog e Nández, ma si è visto che stanno fuori un anno. Nel calcio di oggi se non hai la fisicità le cose vanno male”. Eppure al rientro dagli spogliatoi per il secondo tempo sia il croato che l’uruguaiano sono stati buttati subito nella mischia. E le scelte, per quanto chieste da altri, sono esclusiva proprio di Walter Mazzarri. Chi invece è arrivato su sua esplicita richiesta è rimasto a guardare, Baselli, mentre il canovaccio tattico è rimasto lo stesso a prescindere dal doppio svantaggio. Uomo su uomo, 3-5-2 o 3-4-1-2 che si voglia, nessuna variazione sul tema e staffette classiche come quella tra Keita e Pavoletti a corollario. Il gol di Joao Pedro ha illuso, l’attesa per un assalto all’arma bianca si è protratta fino all’ultimo dei sei minuti di recupero. Risultato? Zero tiri e Montipò che chiude il match con qualche uscita di pugno e nulla più. Lanci lunghi, frenesia senza velocità, idee che sono mancate come nel resto della gara. E se perfino Mazzarri abbozza sulla sfortuna senza però ricamarci troppo, ecco che il quadro è completo.

E adesso?

Ore concitate si è detto. A Salerno con o senza Mazzarri, il dubbio resta. Senza dimenticare che se il tecnico toscano dovesse essere esonerato – le dimissioni non sono opzione realistica – la domanda da porsi sarebbe su chi possa essere disposto a prendersi sulle spalle una squadra smarrita. Difficile Leonardo Semplici, allontanato con dichiarazioni poco concilianti proprio del presidente Giulini. Non restano che due opzioni, quella dell’allenatore della Primavera Agostini – magari dopo aver raggiunto i playoff nella sfida di domenica 1 maggio contro la Roma – e quella di un nuovo tecnico con vista anche sulla prossima stagione. Per l’ex terzino sinistro del Cagliari si tratterebbe di un salto rischioso, con buona pace dei suoi giovani e di un campionato di livello importante disputato fino a ora con Desogus e compagni. Nessun problema di ambientamento, Agostini è di casa ad Assemini, e il ruolo da normalizzatore che possa entrare nella testa dei giocatori senza troppi discorsi tattici, ma solo mentali. Con la scommessa da vincere e, chissà, garantirsi una conferma anche per la prossima stagione. La seconda opzione appare meno percorribile, anche perché influenzerebbe e non poco il campionato successivo. Ci sarebbe la possibilità chiamata Diego Lopez, ma convincere il Jefe a guidare la squadra per sole tre partite richiederebbe sforzi importanti di diplomazia. Chiunque siederà in panchina all’Arechi – e poi nelle successive due gare – avrà solo una missione: salvare il salvabile, con un occhio agli altri campi. Per evitare che il Cagliari 2021-2022 sia ricordato come il Benevento 2020-2021, una squadra che prima si avvicina alla salvezza e poi butta tutto all’aria con un finale horror.

Matteo Zizola

 
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