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Cagliari e la demenziale retrocessione con un Agostini ritenuto a fine ciclo

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Ci sono molti modi possibili di chiudere una storia. Restare amici nonostante tutto oppure rompere senza guardarsi indietro. Ci sono poi altrettante maniere di gestire le difficoltà, tenere la barra dritta o lasciarsi trasportare dalla burrasca. In entrambi i casi il Cagliari – e i suoi protagonisti – hanno scelto la strada della damnatio memoriae, dimenticare il passato e tutto ciò che è stato, non badare alla forma e lasciare spazio completo alla sostanza.

Addio

Ogni scelta, per il solo fatto che le conseguenze ricadono sempre su chi le compie, è legittima. L’addio ad Alessandro Agostini è una decisione che è arrivata all’improvviso, ma che allo stesso tempo fa parte del gioco. “Ho pensato fosse il momento di separarci, che fossimo alla fine di un ciclo“, le parole di Daniele Conti nell’intervista di oggi 5 luglio sulle colonne dell’Unione Sarda. Fin qui si resta nel campo delle scelte, condivisibili o meno. La differenza, però, la fanno i modi. E unendo i puntini dalla dannata notte di Venezia fino a oggi qualcosa non torna. O meglio, l’immagine che si presenta davanti agli occhi è quella di una società che naviga a vista, dentro contraddizioni costanti. Le verità molteplici si scontrano, le dichiarazioni di domani cancellano quelle di ieri, le tempistiche pongono dubbi pesanti. Ciò che in un primo momento appare legittimo finisce per diventare incomprensibile, le motivazioni lasciano spazio a una coltre di fumo che nasconde ciò che in apparenza si vuole portare alla luce del sole.

Contraddizioni

Riavvolgendo il nastro delle parole si arriva al sei giugno, conferenza di fine anno congiunta di Stefano Capozucca e Mario Passetti. “Ago onestamente colpe non ne ha, anzi io lo ringrazio perché ha avuto il coraggio di fare tre partite non facili. Lo devo solo ringraziare per la passione e la fede cagliaritana mostrata. Ha provato a dare una mano“, queste le dichiarazioni del direttore sportivo rossoblù. Eppure, quasi un mese dopo, l’intervista di Daniele Conti all’Unione Sarda cambia le carte in tavola. Con ombre sulla scelta di affidare la panchina ad Agostini dopo il divorzio da Walter Mazzarri. Perché l’ex capitano del Cagliari, ora coordinatore del settore giovanile, parla di “un’idea già metabolizzata ad aprile, quella di essere alla fine di un ciclo. Una scelta che avrei fatto anche se avessimo vinto lo scudetto“. Chiudere il rapporto con Agostini, quando i playoff erano ormai una certezza e la Primavera si apprestava a raggiungere il miglior risultato della sua storia. E, soprattutto, consegnando le speranze salvezza della prima squadra al tecnico di Vinci, nonostante fosse già stato deciso l’addio a fine stagione senza che, però, il diretto interessato ne fosse a conoscenza. “Avrei dovuto dirgli prima le mie intenzioni, gli chiedo scusa“, una frase che certifica quanto la scelta aziendalista di Agostini, con il forte rischio di bruciarsi sull’altare dell’impresa salvezza da compiere, sia stata presa senza la necessaria chiarezza da parte della società.

Modus operandi

Non è dato sapere se le scuse arrivate a mezzo stampa siano state anticipate anche faccia a faccia. Se Agostini abbia ricevuto anche lontano dai media parole di conforto per quanto successo nelle ultime settimane. Resta quanto affidato a Instagram il giorno della risoluzione consensuale dall’ormai ex allenatore della Primavera rossoblù, con quelle parole che – dopo le dichiarazioni di Daniele Conti – suonano come una conferma di un rapporto chiuso non senza rumore. “Non per tua scelta, non per i tuoi ragazzi, non per ciò che ti dice il cuore si sa. Ti hanno tolto tutto ciò che volevi, ma vai a prenderti tutto ciò che meriti“. Ciò che resta è una situazione gestita con modi che ricalcano quelli già visti in altre occasioni. Chiedere uno sforzo in nome dell’appartenenza da una parte, ma senza dare in cambio la stessa moneta dall’altra. Così come accaduto con i vari rinnovi contrattuali di Deiola, Ceppitelli, Lykogiannis e ultimo Joao Pedro, o con l’ormai noto mancato ritorno di Radja Nainggolan, la catena di eventi che ha portato all’addio di Agostini è la classica ciliegina sulla torta. Senza dimenticare le rotture con Semplici e Mazzarri, in un lasciarsi con lancio di stracci annesso che ritorna costantemente. Perché dal punto di vista sportivo l’eliminazione clamorosa nella semifinale playoff del campionato Primavera, così come la notte di Venezia, possono essere delle ragioni condivisibili per dirsi addio nonostante tutto, ma sono ancora una volta le modalità con le quali l’addio viene deciso e (non comunicato) a togliere ogni giustificazione. E se una cosiddetta bandiera, se nemmeno “la passione e la fede cagliaritana mostrata” nel momento del bisogno riescono a evitare la scure della rivoluzione senza sentimenti, allora nessuno si può sentire al sicuro. Esclusi i piani alti della società, unici a essersi salvati in questo principio di estate in casa Cagliari.

Matteo Zizola

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