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Cagliari, dal tesoretto Barella a oggi: le cause di un mercato “fermo”

Tommaso Giulini durante la festa promozione alla Unipol Domus | Foto Luigi Canu/Centotrentuno
Tommaso Giulini durante la festa promozione alla Unipol Domus | Foto Luigi Canu/Centotrentuno
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“Sul mercato bisogna vendere, così come altre dieci, quindici società di Serie A. Significa che dobbiamo vendere qualcuno e poi dobbiamo fare il mercato in positivo. Vendendo dobbiamo acquistare a meno. Questo è tutto”. Parole nette quelle di Claudio Ranieri nella conferenza stampa dell’antivigilia della sfida del suo Cagliari contro il Lecce, sabato 6 gennaio alle 18 al Via del Mare. Una situazione che non nasce dall’oggi al domani, ma che è frutto di quanto accaduto in passato. Non tanto nell’estate del 2023, quanto da quella del 2019 passando per i problemi causati dalla pandemia e che si riflettono ancora oggi.

Peccato originale

Per risalire al momento in cui tutto è iniziato bisogna riavvolgere il nastro all’estate del 2019. Perché i problemi di liquidità – discorso diverso dal bilancio – non arrivano come un fulmine a ciel sereno. Sono bensì frutto di scelte, di quel passo più lungo della gamba citato a suo tempo dall’ex direttore sportivo Stefano Capozucca prima della passata stagione in Serie B. Un all-in tentato al tavolo del calciomercato e degli investimenti, ma che non ha prodotto la raccolta delle fiches come sperato. Anzi, proprio da quella che è stata la cessione principe del club rossoblù quattro anni e mezzo fa nasce il peccato originale che ha prodotto le difficoltà attuali. Trentotto milioni, poi diventati quasi quarantacinque con i bonus raccolti successivamente: questa la cifra del passaggio di Nicolò Barella dal Cagliari all’Inter nel 2019. Trentotto milioni che avrebbero dovuto essere la base di partenza per la ricostruzione di una rosa priva di prospetti realmente futuribili, delle cosiddette possibili plusvalenze sulle quali costruire le proprie fortune. Tommaso Giulini, d’altronde, al suo arrivo alla presidenza aveva trovato una rosa non esattamente nel fiore degli anni: un ciclo finito e da rivoluzionare, con l’unico gioiello nel cagliaritano doc che si è rivelato poi tale al momento dell’incasso. La cessione di Barella come punto di partenza per fare il salto di qualità: una contraddizione apparente, ma che per una società come il Cagliari poteva essere una sorta di filosofia simile a quella dell’Atalanta. Ogni anno una nuova partenza con plusvalenza importante, ogni anno due-tre innesti per continuare il circolo virtuoso. Dopo i nove milioni circa di rosso del bilancio 2019, grazie alla vendita dell’ex numero 18 i conti segnarono un valore positivo di oltre due milioni di euro. Con un fatturato record per il club ancora oggi (94 milioni) così come da record fu la voce relativa alle plusvalenze (42,2 milioni).

All-in senza ritorno

L’opportunità regalata dalla cessione di Barella si è però trasformata in un boomerang. La società di Sa Ruina, infatti, decise di reinvestire quasi tutti i milioni arrivati dalla vendita del gioiello cresciuto in casa in alcuni acquisti di grido, con l’obiettivo di puntare alla scalata in classifica fin dalla stagione successiva, il 201920. Obiettivo che sembrava essere vicino nella seconda parte del 2019, quando il Cagliari si innalzò nei piani alti della Serie A. Dei milioni ricevuti dall’Inter diciassette furono versati al Boca Juniors e agli agenti del calciatore per arrivare a Nahitan Nández, poco più di sedici al Napoli per Marko Rog, cifra pressoché identica alla Fiorentina per Giovanni Simeone. L’idea quella di ricavare da questi tre innesti valore per il futuro, con una crescita che avrebbe dovuto portare a relative cessioni e conseguenti plusvalenze. Con l’arrivo del 2020, però, la pandemia ha fatto saltare il banco, riducendo sostanzialmente la liquidità presente sul mercato e quindi il valore dei singoli calciatori. Non solo, perché non si possono negare errori di valutazione nelle tempistiche. Il Cagliari ha avuto infatti diverse volte l’opportunità di monetizzare sui diversi tra i propri gioielli. Partendo proprio da Nández, prima con i 40 milioni rifiutati dal West Ham (4 per il prestito e 36 per il riscatto condizionato alla salvezza dei londinesi) e poi con il doppio tentativo del Leeds nell’estate del 2020 per il duo formato dal León e da Simeone, con un’offerta di 50 milioni totali rispedita al mittente. Senza dimenticare le porte chiuse ai tentativi per Alessio Cragno e per Joao Pedro. Il risultato è stato una svalutazione costante stagione dopo stagione, non solo quindi per la situazione economica contingente, ma anche per decisioni che non hanno portato i risultati sperati. Anche i tentativi per prospetti sia italiani che stranieri non hanno dato risposte positive, d’altronde. Basti pensare, ancora prima della cessione di Barella, ai vari Kiril Despodov (3,4 milioni), Filip Bradaric (6 milioni), Alberto Cerri (9,7 milioni), Artur Ionita (4,5 milioni), Filippo Romagna (7 milioni), Sebastian Walukiewicz (3,4 milioni), Christian Oliva (2,4 milioni), i fratelli Tramoni (Matteo 1,4 milioni, Lisandru 100mila euro) e infine Gastón Pereiro, arrivato nel gennaio del 2020 come colpo ad effetto e che tra spesa per il cartellino e le commissioni (4,6 milioni) e ingaggio elevato (all’epoca oltre il milione e mezzo a stagione) non ha rispettato le attese.

Chance sprecata e futuro

L’arrivo sulla panchina di Eusebio Di Francesco, dopo la fine dell’illusione europea e l’esonero di Rolando Maran con l’interregno Walter Zenga, aveva lasciato presagire una svolta verso i giovani e un nuovo tentativo di far crescere il valore della rosa. Invece, oltre alle già citate mancate cessioni, si sono aggiunti investimenti non esattamente produttivi. Dagli ingaggi pesanti di Diego Godín e Keita Baldé, pur se arrivati a costo zero per il cartellino, agli acquisti di Razvan Marin (quasi 7 milioni), Alessandro Tripaldelli (3 milioni) e Gabriele Zappa (3,2 milioni) nessuno si è rivelato a posteriori un investimento da plusvalenza. Soltanto Raoul Bellanova e Guglielmo Vicario si sono rivelati acquisti capaci di creare un plusvalore sostanziale, per quanto limitato rispetto alle possibilità dalla retrocessione in Serie B del 2021-22 e dai relativi problemi di liquidità da risolvere. Mentre il settore giovanile, dopo l’illusione dei tanti esordi sotto la guida del duo Zenga-Canzi, ha creato valore soltanto con Andrea Carboni e i 4 milioni ricevuti dal Monza per il suo cartellino nell’estate del 2022. E così si arriva alla situazione attuale, acuita da un anno in cadetteria che ha depauperato ulteriormente il valore della rosa rossoblù. Nández l’esempio principe: in scadenza a giugno 2024, vede il suo valore crollato e il rischio concreto di un addio a zero, lontanissimo dalla famosa clausola da 36 milioni che sembrava poter essere una cambiale per il futuro. Guardando al gruppo a disposizione di Ranieri sono davvero pochi i calciatori che possono essere considerati dei tesoretti dal punto di vista economico. Alberto Dossena (acquistato per meno di un milione dall’Avellino) e Adam Obert (prelevato a zero dalla Sampdoria) in difesa, Antoine Makoumbou (due milioni dal Maribor) Matteo Prati (sette milioni bonus inclusi dalla Spal) e Christos Kourfalidis (prodotto del vivaio e ora in prestito alla Feralpisalò) a centrocampo, Zito Luvumbo (meno di un milione dal Primeiro do Agosto) in attacco. Nella speranza che anche gli investimenti su Hatzidiakos (2 milioni) e Wieteska (5 milioni) possano rivelarsi corretti nel medio-lungo termine dopo un inizio non rassicurante. L’esempio di Prati avrebbe dovuto essere quello da seguire fin dal 2019, così come quello di Dossena e Luvumbo: giovani, costo relativo, dal quasi sicuro avvenire. Senza all-in, senza passi più lunghi della gamba, senza esagerazioni. Senza, soprattutto, arrivare davanti a un vicolo cieco sul mercato, senza possibilità di correggere in corsa errori fisiologici. Perché è vero che quasi tutta la Serie A non può sorridere, ma il mal comune non è mezzo gaudio, tutt’altro.

Matteo Zizola

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