Cento come gli anni dalla fondazione e cento come il contare di un detto che invita a pensare prima di agire. Un numero simbolico, un numero spesso celebrato nelle statistiche. La centesima presenza, il centesimo gol, o quell’augurio in sardo – a chent’annos – diventato anche il titolo dell’ormai celebre documentario Sky sulla storia rossoblù.
L’altra faccia – Vero, le statistiche possono essere semplici indicazioni che lasciano il tempo che trovano, ma è sintomatico del momento attraversato dal Cagliari un dato raggiunto con la sconfitta contro il Benevento. Da quando Tommaso Giulini è diventato proprietario della società, infatti, i rossoblù hanno disputato 206 gare nella massima serie ottenendo 57 vittorie, 49 pareggi e, appunto, 100 sconfitte. Un numero rappresentativo del quadro generale, di stagioni che si ripetono con costanza, di errori che ritornano sistematicamente. Oltre le parole ci sono i fatti che mettono di fronte la realtà. Non solo le nove partite senza vittoria, non solo le sei vittorie negli ultimi tredici mesi, non solo una zona retrocessione che si è fatta sempre più vicina.
Sopravvalutarsi – Il Cagliari ha il nono monte ingaggi della Serie A e basterebbe questo per trovare nella gestione tecnica la colpevole della crisi. La classifica non corrisponde al valore della rosa, ma la rosa vale davvero quanto dicono gli stipendi dei singoli giocatori? Il campo dice di no e non lo dice da oggi, ma ormai da tempo. I soldi non giocano le partite e cresce il dubbio – o la quasi certezza – che sì il monte ingaggi è elevato, ma non rispecchia le effettive qualità della squadra. Tanti soldi spesi, ma male. Tanti soldi che mettono di fronte alle proprie responsabilità chi questi soldi li elargisce. Inutile andare a elencare i singoli giocatori, ognuno può farsi la propria idea su quale sia il rapporto qualità (data dalle prestazioni sul campo e non sulla carta) e costo. Certo, è vero che il Cagliari anche se sopravvalutato vale più di quanto esprime anche considerando le assenze, ma il confronto con il periodo d’oro maraniano appare sbagliato. Quel Cagliari otteneva decisamente oltre i propri meriti, questo meno di quanto potrebbe.
Mentalità – “Una somma di passi che arrivano a cento, di scelte sbagliate che ho capito col tempo, il futuro che cambia è una somma di piccole cose, di piccole cose”. Le parole della canzone di Niccolò Fabi “Una somma di piccole cose” sono perfette per descrivere la situazione in casa Cagliari. Piccole cose, appunto, dettagli che possono spiegare il quadro generale. Basta prendere un passaggio dell’intervista rilasciata da Tommaso Giulini alla Gazzetta dello Sport alla vigilia della sfida contro il Benevento. “Zappa piace a qualche big, ma deve fare un percorso di crescita con noi”. Una dichiarazione se si vuole realistica, ma che stona nel momento in cui si parla del Cagliari come una squadra che rappresenta un popolo, che deve avere un’identità forte e la cui storia dovrebbe rappresentare per i giocatori un punto di arrivo e non di partenza.
Se il presidente in primis parla di giocatori che devono fare un percorso di crescita per poi fare il salto, diventa difficile chiedere ai calciatori stessi di non pensare nello stesso modo. Ogni settimana si leggono interviste in cui, chi prima chi dopo, parla del proprio futuro lontano dalla Sardegna e dei sogni di giocare altrove e ad altri livelli. Normale, non fosse che per arrivare al top del calcio europeo è necessario prima fare bene nella squadra in cui si è, così mentre le chiacchiere parlano di un futuro roseo i fatti raccontano tutt’altro. Il tempo per rimediare c’è, ma la soluzione non è solo nel mercato – comunque fondamentale per sistemare una rosa monca – e non lo è neppure soltanto in un allenatore che deve ritrovare il filo. Tornare umili dalla testa fino all’ultimo dei giocatori, far parlare il campo, guardarsi in faccia e soprattutto allo specchio senza praticare uno sport ormai noto, quello dello scaricabarile, quello delle responsabilità da ricercare sempre altrove.
Matteo Zizola