Primo appuntamento nella nuova stagione per la rubrica di Centotrentuno “Quel giorno io c’ero”: una serie di interviste a personaggi e protagonisti dello sport sardo, con un excursus che parte da un evento del passato per poi arrivare a chiacchierare di presente e futuro.
Cinquantaquattro partite in rossoblù tra Serie A, Serie B e Coppa Italia. Con un protagonismo quasi silenzioso ma fondamentale nell’anno della risalita immediata dopo aver vissuto l’amarezza della retrocessione nel 2015. Antonio Balzano è stato uno dei tasselli più importanti nel Cagliari di Massimo Rastelli, padrone di una fascia destra che lo ha visto provare ad avventurarsi in mille discese. Con lui abbiamo parlato delle sue due stagioni in rossoblù e non solo partendo da un ricordo datato 19 dicembre 2015, l’ultima partita in Sardegna che ha visto protagonisti Cagliari e Bari, che si ritroveranno alla Unipol Domus anche sabato 17 settembre.
Antonio Balzano, partiamo da un ricordo. L’ultima partita giocata in Sardegna contro il Bari è un 2-1 nell’anno della promozione firmato Sau-Melchiorri. Che ricordi ha di quella gara?
“Fu una partita bellissima. Uno scontro diretto, tra due squadre molto forti perché anche il Bari aveva una buonissima squadra. Fu una bella partita, trovammo il successo noi ma non fu per nulla facile. Vincemmo poi entrambe le gare, sia all’andata che al ritorno. E in quella a Bari festeggiammo il ritorno in Serie A con alcune giornate d’anticipo. Eravamo forti, lo dimostrammo anche negli scontri diretti. È andata come andata poi e lo sappiamo tutti”.
Cagliari è stata una delle tappe importanti della sua carriera. Lei è arrivato nell’anno della retrocessione in Serie B, però è rimasto per essere protagonista in quella del ritorno in Serie A. Che ricordo ha di quella stagione? E quale è stato il segreto per raggiungere l’obiettivo?
“Nell’anno in cui arrivai in Serie A si creò da subito un gruppo molto unito, molto forte. Erano gli ultimi anni di Daniele Conti e degli altri senatori, noi ultimi arrivati ci eravamo subito legati e adattati al modo di fare proprio di Cagliari. Nel senso che abbiamo capito l’importanza di essere parte di una squadra che rappresenta una città e una regione intera. Si formò quindi un gruppo molto forte già nell’anno della retrocessione, tant’è che oggi le amicizie con Ceppitelli, Sau, Dessena e Capuano resistono ancora. E l’anno dopo quindi eravamo già molto compatti. Avevamo una squadra fortissima, questo è fuori discussione, ma non è detto che avere una rosa di alto livello ti porti a vincere. Si era creata una sorta di magia perché chi era arrivato l’anno dopo aveva trovato un ambiente sano, pulito e si era così integrato nel migliore dei modi. Quando ho vinto a Pescara è stata la stessa sensazione: essere una famiglia fa la differenza”.
In quella squadra sulla fascia opposta alla sua c’era anche Antonio Barreca, che quest’anno è tornato in rossoblù per rilanciarsi. Che impressioni le aveva fatto durante quel periodo insieme?
“Antonio ha sempre avuto grandissime qualità, quando era con noi era molto giovane però si vedeva che sarebbe cresciuto tanto. Aveva già una facilità di corsa allucinante, secondo me farà molto bene in questo Cagliari”.
Un altro giovane in quella squadra era Alessandro Deiola. Oggi spesso finisce con la fascia di capitano al braccio. Si aspettava questa carriera da lui?
“Deiola ha il Cagliari nel cuore e penso che questo si veda. È uno degli ultimi sardi rimasti in rossoblù, sono andati tutti via o li hanno mandati via tutti. Sicuramente ci tiene più di ogni altra cosa a far bene, è cresciuto tanto anche lui. È giusto che quando è chiamato a farlo sia lui a portare la fascia al braccio”.
Tornando all’attualità, sabato alla Unipol Domus si gioca appunto Cagliari-Bari. Che partita si aspetta?
“Quello di sabato è un big match perché sono due grandi squadre. Ho visto qualche partita da una parte e dall’altra, sarà sicuramente una bella partita da vedere perché sono due squadre che giocano bene. Non posso augurare di vincere a una o all’altra, posso dire solo vinca il migliore ma è una partita in cui può succedere di tutto, sarà una sfida molto equilibrata”
Rispetto alla Serie B di quell’anno ci sembrano essere tante pretendenti anche se già le prime giornate hanno riservato delle sorprese. Da osservatore esterno cosa pensa di questo campionato e di questo Cagliari?
“Quest’anno mi dico sempre “che peccato” perché è un campionato che avrei voluto giocare anche io, è veramente bello. Siamo ancora agli inizi, però ovviamente il Cagliari ha una rosa ampiamente competitiva. Come tante altre squadre però perché c’è il Genoa, c’è il Benevento, c’è il Bari, il Como anche se ha fatto male nelle prime partite, il Pisa. È un campionato molto equilibrato, il Cagliari di sicuro lotterà per le prime posizioni perché è una piazza che non può stare in B e questo è fuori discussione. Vincere però non è mai facile, specialmente quest’anno per la qualità che c’è. Penso anche al Parma, le sorprese come la Reggina o il Cosenza che tutti davano per spacciato e invece ha già sette punti. È veramente difficile, ma il Cagliari ha le armi adatte per poter vincere. Se si crea quella magia che si è creata quando c’ero anche io si può fare”.
Sul piano personale, dopo i tanti anni a Pescara e l’ultima metà stagione a Seregno, ora sta affrontando un momento diverso della tua carriera da svincolato. Com’è stato lasciare una piazza cara come quella pescarese? E quanto è difficile adattarsi a una situazione del genere dopo tanti anni di attività?
“Non è assolutamente bello, perché si fanno tanti sacrifici poi ci si trova le porte sbarrate da quasi tutti. Il calcio purtroppo è cambiato ed è difficile, per chi ha un’età come la mia ma anche meno, perché conosco ragazzi che hanno 25 o 26 anni e che sono a casa. Nelle serie minori ci sono delle regole che costringono poi le società a fare determinati progetti e quindi è complesso. Mi dispiace perché voglio giocare ancora, mi alleno tutti i giorni proprio per questo motivo. La parentesi a Pescara non è finita come avrei voluto, visto che comunque è ormai casa mia e speravo di terminare qui la mia carriera e poi iniziare un nuovo percorso in società come accade spesso a chi rimane a lungo nella stessa squadra. Ho fatto nove anni e non sono pochi. Ripeto, è difficile, ma l’amore e la passione per questo sport ti portano a non mollare e ad allenarti anche da solo nell’attesa che venga fuori qualcosa. Insomma, abbiamo fede”.
Matteo Cardia