12 aprile 1970: “La indovino con una!”, direbbe il tifoso del Cagliari senza esitazione. La risposta è scontata infatti, vale a dire primo e – finché “quando Gigi Riva non tornerà” (semicit.) – unico trofeo della storia, se si escludono i premi ancillari della Coppa Italia di Serie C del 1989 e la Coppa Ali della Vittoria del 2016. Lo storytelling legato a quei tempi è noto: “Se non si fosse infortunato Riva avremmo vinto anche l’anno dopo, e magari la Coppa dei Campioni chissà, maledetta Nazionale…”. E allora chi siamo noi per privarci di parlare di se e ma, di Nazionale e di Coppe? C’è un aspetto, forse sottovalutato, di quell’annata che però avrebbe cambiato tutto il quadro: riavvolgiamo il nastro, tornando a quel 1969-70.
Una coppa d’impiccio
La cavalcata tricolore iniziò il 14 settembre contro la Sampdoria (parentesi curiosa: Greatti non giocò causa calciomercato ancora aperto, se e ma…), ma la stagione ufficiale inizia due settimane prima, in un caldo fine agosto, con la Coppa Italia. I rossoblù sono inseriti in un girone tutto meridionale con partite di solo andata contro Palermo e le squadre di Serie B Catanzaro e Catania. Tre partite in 7 giorni, due vittorie e un pareggio e facile passaggio al turno successivo. Ai quarti di finale, da disputare in match di andata e ritorno con eventuale “bella” in caso di parità di gol, i ragazzi di Scopigno incontrano i campioni in carica della Roma. A differenza di quanto si sente cianciare ai giorni nostri su quanto un tempo la Coppa Italia era valorizzata, equa, contava un sacco e altre parole che riempiono gli editoriali degli opinionisti, anche cinquanta anni fa la coppa nazionale si disputava nei ritagli di tempo, un impiccio in più, tanto da paventare una sua cancellazione. L’andata infatti si giocò nientepopodimeno che a San Silvestro, con Riva che garantì un buon inizio d’anno con un gol all’Olimpico mentre per il ritorno si dovette aspettare quasi due mesi, fine febbraio, per annotare il 2-0 casalingo contro i giallorossi a firma di Mancin e, ovviamente, Riva.
Il girone finale
E poi? La già allora contestata formula prevede direttamente il Girone finale, ma come detto si gioca nei ritagli di calendario, e c’è un problema. L’unico slot disponibile è a maggio e giugno, tre mesi dopo il turno precedente. Il Cagliari ha vinto lo Scudetto da quasi un mese ma la sua forza è anche la sua condanna. Maggio e giugno infatti significa una sola cosa: Mundial di Messico ’70. Il Cagliari nei fatti è la squadra più forte d’Italia, la Coppa sarebbe una formalità anche viste le inaspettate eliminazioni delle big, ma non è contemplato disputare la coppa prima della finestra internazionale. Essere i più forti significa che ben sei giocatori (Riva, Albertosi, Cera, Domenghini, Gori e Niccolai) devono prendere l’aereo per il Sudamerica. È una mazzata per il Cagliari, che a quel punto si ritrova a giocare la Pool che assegna la vittoria, contro Varese, Torino e Bologna, con i rimanenti della rosa e dovendo attingere dalla Primavera. A sostituire Riva e Domenghini giocano titolari Vittorio Petta (con una 11 coi laccetti prevedibilmente pesantissima tanto da far vacillare gli ingegneri dell’Ufficio internazionale dei pesi e delle misure di Parigi) e Claudio Taddeini, ma esordiranno anche Ferru, Sulis, Chessa, Bonelli, Nocera e Catuogno.
Un Cagliari a dir la verità con la pancia piena e per nulla timoroso di darlo a vedere. Nella prima partita casalinga contro il Torino le maglie bianche vennero già impreziosite del tricolore, senza aspettare la stagione successiva come è obbligatorio oggigiorno, mentre Scopigno tornò a Cagliari il giorno stesso della partita (dopo essersi trattenuto a Milano per seguire in prima persona il calciomercato!) e fu protagonista di un veloce scambio coi suoi giocatori incontrati in albergo: “Salve, avete voglia di giocare?”. “Sì”. “Bene, allora stasera andiamo in campo”. A Nenè nel mentre fu concesso di sposarsi. Filosofi e Campioni. I rossoblù sono quindi sì decimati, ma comunque temuti da stampa e avversari, e per la prima parte anche a ragione. Proprio Claudio Olinto decide di misura contro i granata, mentre due pareggi per 0-0 contro il Bologna e il botta e risposta al termine del primo tempo contro il Varese garantiscono il primo posto al giro di boa.
Il sogno svanisce
La magia di quella fine di primavera svanisce però al Comunale di Torino in un 4-3 sempre di rincorsa con Brugnera e doppio Nenè ad accorciare su Ferrini e Mondonico in avvio e Sala e Pulici nel mezzo, e definitivamente con lo 0-4 casalingo contro il Bologna con sardi trafitti da Savoldi, due volte da Bulgarelli e da un’autorete di Nenè. Gli emiliani alla fine saranno campioni. L’ultima ininfluente partita col Varese, terminata a reti bianche, è utile solo come passerella per i tanti ragazzi della Primavera e per calare definitivamente il sipario sullo Stadio Amsicora, con il nuovo Sant’Elia che avrebbe di lì a pochi mesi accolto il club. Il Double fu alla portata, a un certo punto forse quasi scontato, ma i bivi della storia lasciarono la bacheca di Arrica con uno spot libero. Oggi il Cagliari Calcio e la Sardegna tutta festeggia quel 12 aprile, ma non potrà celebrare altrettanto il 10 giugno. I se e i ma: Norber Hof, “Il boia del Prater”, sarebbe arrivato qualche mese dopo, ma la Nazionale di fatto già aveva colpito.
Da lì in poi il Cagliari non è più stato così ad un passo da un trofeo nazionale. Magari ci tornerà, magari “Quando Gigi Riva tornerà”, magari con meno Primavera in campo, magari con una format della competizione migliore. Del resto, il 1970 non era così diverso da oggi e c’è ancora tempo per conquistare quella Coppa mai nata e ci gusteremo nel caso un nuovo meritato post sui social.
Alessandro Frongia