Il “novantesimo minuto” di quel Cagliari, del Grande Cagliari, era ormai arrivato. L’arbitro aveva già il fischietto in bocca e stava gettando occhiate sempre più attente e frequenti al cronometro. Forse eravamo già nei minuti di recupero quando, nel 1975, Luis Suarez fu chiamato ad allenare una squadra che stava, inevitabilmente e irreversibilmente, scivolando verso la Serie B. Perché i cicli finiscono. Prima o poi: anche i più belli.
La dirigenza rossoblù aveva puntato su un grande (ex) calciatore che, di fatto, non aveva mai allenato, se non nei settori giovanili delle due sue squadre italiane: Inter e Genoa. Va detto con sincerità: non era stata un’operazione particolarmente fortunata. Dopo una dozzina di partite, una decina in Campionato e una manciata in Coppa, Luisito, l’ex regista galiziano della Grande Inter di Helenio Herrera, fu esonerato. Difficile difenderlo: perché non aveva vinto neanche una partita. Però la sua presenza, coraggiosa perché non c’erano più i miliardi dei Petrolieri Milanesi che avevano avuto in gestione contemporaneamente sia “quel” Cagliari che “quella” Inter. Stavano ormai sbaraccando, e con essi la Petrolchimica sparsa qua e là nell’Isola oltre che un paio di quotidiani e perfino una squadra di basket all’epoca molto celebre. Mario Tiddia, l’immacabile Cincinnato, fu chiamato a salvare la baracca ma quella squadra non l’avrebbe salvata neanche Guardiola. Suarez aveva affascinato un po’ tutti, con le sue parole da gigante del calcio (è stato Pallone d’Oro), con i suoi aneddoti, i suoi ricordi. Ma anche la sua eleganza, il suo stile, la sua educazione. Ora riposa in pace, Luisito: sei comunque un Grande. Ti abbiamo soltanto conosciuto in un momento sbagliato. Per noi più che per te.
Nando Mura