Due cagliaritani doc, due pugili discreti ma soprattutto capaci di far divertire al di là dei risultati: Salvatore Boi, un peso medio e un grande fisico, e Tore Melis, peso gallo, noto “Galletta”.
Due autentici personaggi dei quali, più che i risultati, si ricordano storie e facezie che per anni hanno fatto sorridere il mondo cagliaritano della boxe. Melis, pur essendo tecnicamente ben dotato, da professionista disputò soltanto quattro combattimenti. “Alla boxe -mi raccontò più volte Tore- mi avvicinai trascinato dai successi di Gianni Zuddas, un pugile di grande talento, idealizzato da noi ragazzi. Il pugilato, come sport, mi piaceva, ma non ho mai accettato l’idea di prendere pugni, soprattutto in faccia. Dietro consiglio dell’amico Salvatore Boi, “I pugni fanno male”, la feci finita molto presto e mi dedicai all’insegnamento”.
Di Tore Melis si ricordano molti episodi divertenti. Ovviamente la più gustosa riguardava il soprannome. Aveva ereditato il nomignolo del nonno, di professione pescatore. Quando l’antenato e altri suoi sei fratelli lasciavano l’abitazione per andare al lavoro, trasportavano viveri e, soprattutto, il pane di lunga conservazione, appunto le gallette, l’alimento tipico di chi deve sostare per più giorni in mare. La famiglia Melis abitava in Castello e praticamente tutto il quartiere poteva vedere il cibo che veniva portato a bordo della barca ormeggiata in porto. Primeggiavano le gallette e, di conseguenza, “fratelli galletta”. Tore mai accettò che lo chiamassero così. Dal ring, mentre combatteva, rispondeva per le rime agli amici che gridavano “Forza galletta”; distraendosi, correva spesso il rischio di buscare qualche colpo poco gradito. Si offese perfino quando, a Bologna, affrontò un avversario che di cognome faceva proprio Galletta. “Mi davano fastidio gli incitamenti; poi seppi che Galletta altro non era che il nome di famiglia del mio rivale. Ci ridemmo tutti sopra. Devo però confessare che ci rimasi molto male. In fondo potevano informarmi”.
Più lunga e più dolorosa la carriera di Salvatore Boi. Quarantatre combattimenti, 17 vinti, 14 perduti, 12 pareggiati. Come professionista esordì ad Iglesias, nel febbraio del 1955, e fu pareggio contro Emilio Sanna. Chiuse con la boxe sei anni dopo, in non buonissime condizioni di salute, dopo avere affrontato grandi picchiatori come Gino Rossi di Pordenone (ben tre volte) e Remo Carati (due volte), oltre che pugili particolarmente tecnici come Paolo Melis e il campione spagnolo Francisco Ortega. Persona semplice e pugile generoso, Boi pagò spesso sul ring queste sue qualità. Affrontò Paolo Melis, ad esempio, nonostante avesse ancora molto fresca una ferita al labbro inferiore rimediata in palestra durante gli allenamenti. Melis, sul ring, con i suoi pugni prese di mira soprattutto la bocca fino a costringere l’arbitro a sospendere il match e dichiarare Boi sconfitto per ferita. Mai un avversario di comodo, mai una vittoria facile. Sempre complicate le prime due-tre riprese a causa del suo lento entrare in azione. Questo suo limite gli costò la sconfitta per KO con Carati allo stadio Amsicora nel ’58, ed altri insuccessi, seppure ai punti, contro avversari meno bravi. Di Boi, in quegli anni, si raccontavano tante cose divertenti; mai una cattiveria, però. Era ben voluto ed al mercato di San Benedetto, dove operava come pescivendolo, davanti al suo box c’erano sempre decine di tifosi-ammiratori che si fermavano per parlare di pugilato. Il divertimento era assicurato.
Carmelo Alfonso